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La ricetta delle genovesi, un dolce tipico della… Sicilia!

La ricetta delle genovesi, un dolce tipico della... Sicilia!

Tipiche del borgo di Erice sono a base di pasta frolla e crema pasticciera. Non dimenticate poi una spolverata di zucchero a velo!

Le genovesi dolci sono una ricetta tipica della tradizione siciliana, del borgo di Erice a voler esser precisi, a base di pasta frolla, crema pasticciera e una spolverata di zucchero a velo.

Il nome – non proprio siculo a dire il vero – di questa prelibatezza, deriva probabilmente dalla sua forma che ricorda il berretto dei marinai genovesi che tra il 1300 e il 1500 sostavano nei porti della Sicilia. Un’altra ipotesi, decisamente più romantica, fa derivare le genovesi dall’amore tra una ragazza ericina e un giovane ragazzo ligure: la fanciulla diede il nome al dolce che stava preparando in onore del suo amato.

A parte il nome, quello che fa delle genovesi un dolce davvero eccezionale sono la ricchezza della sua farcitura con la crema pasticciera e la bontà della frolla che la racchiude. Ci sono poi alcune varianti di questa ricetta: tra le più interessanti c’è quella con la ricotta dolce, le gocce di cioccolato e la zuccata, la zucca candita tipica siciliana.

A Erice e in molti paesi della provincia di Trapani, le genovesi sostituiscono a colazione addirittura le classiche brioches siciliane come accompagnamento alla granita.

La ricetta delle genovesi

Ingredienti per la frolla

350 g di farina di grano duro
350 g di farina di 00
250 g di burro
5 tuorli di uovo

Ingredienti per la crema pasticciera

250 g di zucchero
la buccia di un limone grattugiata
3 tuorli di uovo
60 g di amido di mais
750 ml di latte

Procedimento

Iniziate la preparazione di questo dolce tipico della tradizione siciliana dalla pasta frolla: in un recipiente abbastanza capiente mescolate le due farine e aggiungete lo zucchero e il burro tagliato a pezzettini. Amalgamate bene il composto e solo quando sarà omogeneo inserite i tuorli di uovo (sempre uno alla volta) e un po’ di acqua.

Lavorate quindi la pasta frolla su una superficie piana e formate una palla, avvolgetela con della pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigo per almeno un’ora.

Mentre la pasta frolla è al fresco iniziate la preparazione della crema pasticciera per la farcitura delle genovesi. Fate sciogliere in un po’ di latte l’amido di mais e, in un recipiente a parte, mescolate bene lo zucchero con i tuorli di uovo. Aggiungete quindi al composto di uova e zucchero il latte con l’amido e quello rimasto e mescolate bene con l’aiuto di una frusta da cucina.

Mettete quindi il composto a cuocere in una pentola a fuoco basso per circa un quarto d’ora, fino a farlo diventare molto denso (quasi come un budino) e aggiungete la buccia del limone grattugiata. Versate tutto il contenuto in un recipiente, copritelo con la pellicola e lasciatelo raffreddare.

Prendete la pasta frolla dal frigo e stendetela con l’aiuto di un matterello. Fate dei rettangoli di pasta di circa 12×8 cm e mettete due cucchiai di crema pasticciera su una delle due metà, quindi ripiegate la pasta su se stessa. Con l’aiuto di una formina rotonda tagliate a cerchio la pasta e mettete le genovesi su una teglia con della carta forno.

Cuocete nel forno a 220° per circa 10/12 minuti, fino a quando non sono ben dorate in superficie. Spolverate con lo zucchero a velo e mangiatele calde, quasi bollenti, come vuole la tradizione.

Pesche di Prato: dolce tipico di Prato

Pesche di Prato: dolce tipico di Prato

Dolce tipico, riportato alla ribalta grazie alla tv e al maestro Paolo Sacchetti. Tre elementi, come per il tiramisù, e nessuna parte croccante: la formula magica della pasticceria italiana

Le Pesche di Prato non sono un frutto. Sono un dolce, tipico della città di Prato, e una delle attrazioni della città. Per merito di un pasticciere, Paolo Sacchetti.
Il primo cenno storico scritto sulle pesche si ha quando nel 1861 alla locanda Contrucci in piazza del Duomo di Prato l’oste servì un menù dedicato alle ricette della penisola durante la festa per l’Unità d’Italia. Il dolce era questo, da qui il nome Pesche di Prato.
Il dolce è apparentemente semplice, composto da due semisfere di pasta brioche immerse in una bagna al liquore con l’alkermes, ricoperte di zucchero e farcite con crema pasticcera, in modo che fuoriesca per legare le due metà: un terzo di impasto, un terzo di bagna, un terzo di crema, solo i migliori ingredienti, per un risultato perfetto. È un dolce della tradizione, è dolce, soffice, croccante in superficie, mai stucchevole grazie al liquore, interessante ad ogno morso grazie alle diverse consistenze. Negli anni Cinquanta e Sessanta, con il boom economico e la routine del cabaret di paste alla domenica, anche le Pesche hanno avuto il loro momento di gloria, poi sono state quasi dimenticate. Troppo lunghe da fare, poco innovative e cosmopolite, troppo radicate per essere rinnovate… Si è dovuta aspettare la riscoperta del prodotto tipico, il rinnovato orgoglio regionale, la moda della tradizione per rivederle apparire nelle vetrine delle pasticcerie, persino in quelle della sua città dove erano via via cadute nel dimenticatorio. La Regione Toscana le ha inserite nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) per le province di Firenze e Prato ma il merito è però soprattutto di un pasticcere, neanche pratese ma fiorentino, che nella sua pasticceria si è dedicato al buono e al giusto senza compromessi.

La rinascita delle peschine

Paolo Sacchetti ha aperto con la moglie Edi la pasticceria Nuovo Mondo a Prato nel 1979, un outsider con l’ossessione per la qualità che è riuscito a portare le “peschine” alla ribalta.
Tutto è cominciato con Dolcemente Prato, la prima manifestazione di pasticceria a livello nazionale, nel 2003, sono arrivate le tv italiane ma anche quelle inglesi, giapponesi… e io che ero uno degli organizzatori avevo portato le mie peschine. Oramai in città non le faceva più nessuno… Hanno incuriosito perché erano un dolce tipico, poi nel 2006 con il libro Le pesche di Prato (Claudio Martini Editore) la loro fama si è sparsa ancora di più. Me le hanno cominciato a comprare tutti i ristoranti e le trattorie, le altre pasticcierie in città hanno ricominciato a rifarle cercando di seguire la stessa ricetta e io ho insegnato a farle anche anche a colleghi del calibro di Sal de Riso”.

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Merito della televisione

Racconta Sacchetti “Fino agli anni Ottanta in Italia di pasticceria non si parlava. Il primo nome è stato quello di Ernst Knamm, perché era il pasticciere di Gualtiero Marchesi. Quando da me venne Luigi Cremona, avevo appena aperto, mi disse che ero degno di entrare in ANPI, l’Accademia dei pasticcieri che era appena nata e mi disse di andare da Iginio Massari. Io non sapevo neppure chi fosse, eppure è trent’anni che è il maestro dei maestri! Ma le riviste erano poche, e si parlava di cucina la pasticceria era esclusa”. “La stampa e la televisione ti cambiano la vita, dal 2000 sono vice-presidente in Accademia eppure è dal 2012, quando sono stato eletto Pasticciere dell’Anno, che magicamente le scuole si propongono per mandarmi i ragazzi in stage, prima non mi si filavano mica!”

Il segreto del successo. La santa trinità

Ma perché questo successo? “Perchè sono il classico dolce all’italiana. È come il tiramisù, è una cosa genetica che abbiamo nel cuore, l’alcool dà freschezza e fa venir voglia di rimangiarle. Il mio segreto, la mia diversità è che le faccio ben bilanciate, con l’alchermes bono, gli ingredienti migliori e bilancio tutto per raggoiungere l’equilibrio. Il tiramisù ha un terzo di savoiardo, un terzo di inzuppatura e un terzo di mascarpone. Oggi ci raccontano che serve serve la parte croccante, l’acidità … non servono davvero, serve che sia buono e il buono è nella tradizione perché ci parla in modo istintivo”. Le ha cucinate a fianco di Massimo Bottura, le ha insegnate all’Accademia ANPI dei pasticcieri italiani, le ha servite ad eventi, fiere, cene e congressi. Ne ha studiato la ricetta, capito la chimica e la fisica, scoperto la formula magica per renderle perfette e non riesce a smettere, perché se non le porta è insurrezione popolare. “Ma so fare anche altre cose!” ci tiene a precisare davanti ad un banco di pasticceria colmo di dolci. Sono magiche perché risvegliano ricordi ancestrali, sapori incisi nel DNA nazionale e memorie di infanzia. Risvegliano i sensi, anche per chi di dolci non nutre una passione, esplodono in bocca e lasciano poi quel dolce retrogusto speziato e amaricante.

Parola di Iginio Massari

Darne la ricetta è insensato, ci sono cose che è inutile provare a fare a casa e che invece vanno mangiate da chi in anni di lavoro ha trovato la formula magica per farle. “Un dolce armonico, morbido, per gli amanti della tradizione – scrive Iginio Massari nel libro Le Pesche di Prato (Claudio Martini editore). “La qualità, non è solo un punto d’arrivo di un nobile mix di ingredienti, ma un modo di pensare, di esistere. Significa in pratica scegliere di lavorare con il cuore, sensibili e attenti al benessere degli uomini, creativi e fantasiosi nel soddisfare i desideri”. Difficile trovare una definizione migliore, le Pesche di Prato soddisfano desideri, anche quelli che non sapevi di avere, e ti rendono così inaspettatamente felice.

Paolo Sacchetti. Foto Daniele Mari.

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