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Gennaro Esposito invita tutti, partiamo? | La Cucina Italiana

Gennaro Esposito invita tutti, partiamo?
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I grandi chef, il meglio della nostra cucina, la costa della Dolce Vita che il mondo ci invidia: tutto in un sola volta. A Festa a Vico, a Vico Equense, un soffio da Sorrento: una delle feste più grandiose, più divertenti e più particolari mai dedicate al cibo. E il merito è tutto di Gennaro Esposito, perché lo chef due stelle Michelin alla Torre del Saracino è un cuoco molto amato, da tutti. Non solo per la sua cucina. Se così non fosse, i migliori cuochi d’Italia (e del mondo) non risponderebbero con tanto entusiasmo, da ben vent’anni, all’invito a partecipare alla «sua» Festa a Vico.

Le date di Festa a Vico 2023

L’idea è stata sua e la porta avanti grazie al Comune di Vico Equense e tanti partner istituzionali e non solo che come gli chef hanno risposto alla chiamata. Quest’anno, dopo tre edizioni saltate per via della pandemia, hanno messo su una festa carica di novità, dandoci appuntamento da domenica 11 giugno a martedì 13 giugno. «Sarà la più bella di sempre», assicura lo chef Gennaro Esposito.

Per la presentazione ha scelto il mercato ortofrutticolo di Milano. E poi, con quel modo che riesce solo a lui – nel giro di 48 ore, tra una telefonata e l’altra nel weekend di Pasqua – ha chiamato a raccolta i giornalisti di mezza città riuscendo a radunarli di primissima mattina. «Ho scelto il mercato ortofrutticolo di Milano perché è un luogo simbolico, e perché è in fase di ristrutturazione: sta attraversando una fase di rinascita, che è il tema della Festa a Vico di quest’anno», ha cominciato a raccontare Esposito circondato da una piccola rappresentanza di chef amici che ritroveremo a Vico: da Gianluca Fusto a Bobo Cerea, e poi Giancarlo Morelli e Massimo Spigaroli. «Festa a Vico: è nata durante una tavolata tra amici che ogni anno tornano a Vico Equense per vivere un’esperienza che unisce sempre di più», ha proseguito. «Ormai è diventata una celebrazione della grande cucina italiana: di anno in anno ne ha raccontato l’evoluzione con chef e grandi artigiani del cibo», ha detto Esposito descrivendo spesso con le parole «emozione» e «condivisione» un evento che ha anche il merito di aver fatto conoscere al mondo la grande ricchezza culinaria, oltre che naturalistica e storica, di quella terra piena di grazia che è la Costiera Sorrentina.

Il programma della Festa a Vico 2023

Ecco, se volete andarci, Festa a Vico è il momento perfetto: un’ottima occasione per scoprirla visitando luoghi bellissimi mangiando sempre in modo diverso. Si comincia con «La Repubblica del Cibo», l’11 giugno, appuntamento inaugurale che trasformerà Vico Centro in un ristorante a cielo aperto con chef di tutta Italia che realizzeranno i loro piatti tra strade, giardini, palazzi e botteghe. Serviranno – come sempre durante Festa a Vico – a raccogliere fondi da destinare alle onlus del posto e non solo. Si continua poi, sempre l’11 giugno, con un brindisi e un after party: un classico della festa, praticamente ogni sera. «Ricordo una volta che siamo rimasti fino alle 5 di mattina in spiaggia e sono arrivati i carabinieri. Mica ci eravamo resi conto dell’ora? Ci stavamo divertendo così tanto», dice Esposito sorridendo, nel rendere ancora meglio la vivacità e la voglia di stare insieme che anima la festa.

Lunedì 12 giugno, invece, in programma talk sul futuro della cucina nel piccolo teatro di Vico Equense, brunch e l’ormai leggendario «Cammino di Seiano» per assaggiare piatti stellati e street food in quel piccolo paradiso che è la Marina di Seiano, antico e affascinante borgo di pescatori, dove c’è la Torre del Saracino dello chef.

Per i gastrofili l’evento più particolare sarà la sfida tra grandi chef che il 13 giugno, sull’isola di Vivara, riserva naturale popolata da specie rare di fiori, piante, dovranno cucinare insieme al pesce fresco che porteranno i pescatori: un esperimento culinario, come un ritorno alla cucina primordiale, all’essenza dell’ingrediente, e uno spettacolo per chi potrà vederli all’opera e assaggiare. Per finire, sempre il 13 giugno, ci sarà la tradizionale cena di gala e infine un’altra grande festa: l’ultimo brindisi dell’anno a Festavico, preparandosi già al prossimo.

cosa vedere, dove mangiare e dormire in 48 ore | La Cucina Italiana

cosa vedere, dove mangiare e dormire in 48 ore
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Scegliere di passare un weekend a Palermo è come scegliere il menù degustazione per poi andar via desiderando di tornare per il pasto completo alla carta. Il capoluogo siciliano è un caleidoscopio di stili e influenze frutto di oltre 60 etnie che hanno transitato sull’Isola nel corso della sua storia infinita. Lasciando lo sguardo libero, è una successione confusa e felice di palazzi liberty e muri diroccati, cupole arabe e chiese barocche, teatri neoclassici e mercati storici. Una città viva di giorno come di notte che promette e mantiene la sorpresa, tra contraddizioni e meraviglie. Senza dimenticare la ricchezza eno gastronomica. Impossibile non innamorarsi di Palermo ad ogni boccone, ad ogni sorso – una città da mangiare con gusto.

Nonostante le origini siciliane di famiglia, non ero ancora stata in Sicilia, a parte una felice tappa a Favignana molti anni fa ormai. L’occasione del mio 50esimo compleanno ha fornito la scusa giusta per un back to the roots. Detto, fatto: mio marito Cesare ha organizzato un romantico weekend a Palermo già a gennaio per metà marzo. Certo in 48 ore non si può fare molto, ma sono più che sufficienti per farti tornare a casa con la convinzione che l’estate prossima la passerai a Mondello.

Weekend a Palermo: 48 ore di sapori, colori e felicità

Una tiepida mattina di metà marzo, siamo partiti da Orio (Bergamo) con un comodo volo RyanAir senza pretese – per un’ora e mezza circa non c’è bisogno di fare i capricci. Giunti all’aeroporto Giovanni Falcone e Paolo Borsellino di Punta Raisi, sono le acque cristalline e la Montagna Longa a dare il benvenuto. In circa mezz’ora si arriva al cuore della città, noi abbiamo scelto di viverla dal suo centro storico e di alloggiare a Palazzo Sovrana in piazza Giuseppe Verdi. Non è un hotel e non è nemmeno un classico b&b, anzi. Si tratta di un immobile rinnovato di recente, l’ex calzaturificio Di Varese fino agli anni 50, con circa una decina di suite e appartamenti finemente arredati. Il plus? L’impagabile vista sul Teatro Massimo che ti sveglia ogni mattina. E la cosa geniale è che non devi nemmeno richiederla: tutte le soluzioni hanno balcone e vista privilegiata. Questo scrigno di ospitalità gestito con piglio internazionale da Paola e Filippo Schillaci promette di diventare il place-to-be di Palermo non solo per alloggiare. Infatti, molto presto ci sarà l’espansione ristorativa con chef Domenico Basile. Sarà il talentuoso chef dall’esperienza variegata in giro per il mondo e amante della tradizione siciliana rivisitata ad offrire un’esperienza culinaria esclusiva: tenetevi pronti per aperitivi, pranzi e cene dalla meravigliosa terrazza di Palazzo Sovrana per un colpo d’occhio eccezionale.

La mia selezione

Ecco una piccola selezione dei posti che abbiamo visitato e assaggiato – ma sappiamo già che nessuna lista sarà mai esaustiva al 100% (n.d.r. sì la Cattedrale di Palermo l’abbiamo visitata e le arancine le abbiamo mangiate, non temete). Conviene provare di persona, giusto?

Bergamo, ristoranti dove mangiare | La Cucina Italiana

Bergamo, ristoranti dove mangiare
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«Per cosa è famosa Bergamo in Italia? A sentire in giro, per il suo prospero settore manifatturiero, e per i suoi magütt, i muratori», dice ridendo Claudio Cecchinelli, Ufficio Cultura e Unesco del Comune. Eppure dal 2019 Bergamo fa parte della ristrettissima lista delle Città Creative dell’Unesco per la gastronomia: la terza in Italia, dopo Parma nel 2015 e Alba nel 2017. Un riconoscimento meritato, spiega Cecchinelli, perché «i bergamaschi – che sono orobici, per natura né conservatori né conformisti – hanno una tradizione plurisecolare di cura del territorio, una vocazione alla qualità della vita e una grande capacità di sfruttamento di risorse scarse, come la montagna».

Valori molto in linea con Rete delle Città Creative dell’Unesco, nata nel 2004 per fare della creatività e dell’industria culturale il centro dei piani di crescita a livello locale, in un’ottica di sviluppo sostenibile. È appunto il mix tra pragmatismo orobico, capacità di apprezzare la qualità dei prodotti e distanza dalle logiche della produzione industriale che ha portato a concentrare in questo territorio alcuni dei migliori formaggi al mondo, per nove Dop casearie (Formai de Mut, Taleggio, Bitto, Grana Padano, Gorgonzola, Quartirolo Lombardo, Provolone Valpadana, Salva Cremasco e Strachitunt), oltre alla più piccola Docg vinicola d’Italia: il Moscato di Scanzo, un passito da uve a bacca nera, dai soli trentuno ettari dell’omonimo vitigno nella zona collinare del comune di Scanzorosciate. L’accezione di creatività che Bergamo predilige non è l’inventiva pura, ma piuttosto il dialogo che la città sa creare con i territori che la circondano: mestieri antichi diventano così una delle chiavi possibili per la crescita sostenibile, come il mandriano che, abitando con i suoi animali le quote alte, diventa un presidio delle montagne. Di questi saperi, i ristoranti sono gli ambasciatori designati: un ruolo che i cuochi hanno scoperto da quando la sbornia collettiva degli chef-celebrità sembra in via di smaltimento. Oggi, sono in molti a deflettere i riflettori puntati su di sé per dare luce ai produttori da cui si riforniscono, e al territorio a cui devono pensiero e azione.

Far parte delle Città Creative Unesco non è una medaglia da appuntarsi al petto: per mantenere il titolo è necessario rispettare obiettivi misurabili, che comprendono aumento dell’occupazione, con l’ingresso di nuove generazioni nel settore agroalimentare, un elemento di concretezza molto coerente con il genius loci. Questa vocazione a «far girare l’economia» anima da sempre il più celebre locale cittadino, da quando nel 1966 Vittorio Cerea decise di aprire in città un ristorante che servisse pesce di mare invece dei tradizionali bolliti e arrosti. Cinquant’anni dopo Da Vittorio (appunto) sarebbe diventato uno dei ristoranti tre stelle Michelin d’Italia, ma all’epoca la creatività fu temperata da quello che abbiamo imparato a conoscere come il pragmatismo orobico. Come racconta la moglie Bruna (che ancora oggi, ormai ottantenne, accoglie gli ospiti al ristorante, seguita come un’ombra dai barboncini Gigi e Sissi) alla vigilia dell’apertura Vittorio le disse: «Se va male, al posto dei tavoli mettiamo un biliardo e lo trasformiamo in un bar». Vittorio non aveva studiato da chef, e i piatti classici del ristorante furono folgoranti intuizioni, come i celeberrimi paccheri al sugo di pomodoro. Durante una crociera a Disney World in Florida, la prima vacanza dopo venticinque anni di lavoro, assaggiò le fettuccine Alfredo, e intuì il potenziale di una gloriosa pastasciutta. «Un palato assoluto», lo definisce Bruna, accomunandolo ai figli Enrico e Roberto (per tutti Chicco e Bobo), attuali executive chef del Gruppo. Bergamo «è da dove parte tutto, perché qui c’è la nostra famiglia», spiega Bobo, perché oggi Da Vittorio è anche a Saint-Moritz e a Shanghai, e da settembre 2022 a Saigon.

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