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Il minestrone di Bruno Barbieri: la ricetta da chef

Il minestrone di Bruno Barbieri: la ricetta da chef

Per chef Bruno Barbieri – 62 anni splendidamente portati il 12 gennaio – non ci sono dubbi. «Il minestrone è uno dei piatti più creativi e contemporanei della cucina». Un piatto che può sembrare banale, poco invitante, spesso «snobbato dalla cucina internazionale, percepito come dietetico, da ospedale, ed è invece un piatto iper versatile che si può trasformare in mille modi, sempre diversi, aggiungendo, per esempio, crostini, pane raffermo, pane tostato, cialde, carni, formaggio. Asciutto o meno asciutto». La sua ricetta del minestrone è molto contemporanea e piena di gusto, ci sono alcuni step fondamentali da seguire.

«Preparare un buon minestrone significa valorizzare ogni singola verdura, con i suoi colori, profumi e sapori, partendo anche da parti genericamente considerate scarti, per arrivare ad un’armonia di una ricchezza senza paragoni».

E allora cosa non deve mancare e cosa invece non bisogna mettere nel minestrone? «La cosa più complicata è l’aggiunta del pomodoro, perché è la parte più acida, che va ad aggiungersi a quella delle verdure e del brodo, il rischio è che non sia buono. Ma il pomodoro non da escludere, perché dà anche dolcezza».

Altro consiglio di chef Barbieri è non solo sull’eccesso di acidità, ma anche sull’eccesso di dolcezza. «Attenzione alle erbe che potrebbero essere troppo dolci, quindi le erbe estreme, quali basilico, cumino, sono da dosare con gentilezza, sennò sovrastano».

Altro consiglio importantissimo per un buon minestrone è giocare con le cotture diverse. «Sembra difficilissimo, ma non lo è. Le verdure son da cuocere piano piano, separatamente. Il sedano, per esempio, va all’inizio, perché più croccante, come le carote e i cardi che sono l’asso di briscola, ricordatevelo! Poi se aggiungete delle palline di salsiccia sarà stratosferico».

Cosa non può mancare nel minestrone

«Il mio deve sempre avere porri, cipolla con chiodi di garofano, no aglio, lo metto solo nel caso sia più asciutto. Ogni tanto aggiungo il pesce, tipo un trancio di baccalà, di tonno, cotti a parte, messi come se fossero una guarnizione. Filo di olio alla fine, anche aromatizzato». Altra accortezza è non mettere «mai i carciofi perché sono amari e hanno un colore che nel brodo non è bello. Mia nonna Mimì aveva un orto meraviglioso, faceva minestre eccezionali, e non ce li metteva mai».

Come suggerimento alternativo, molto campestre, chef Barbieri suggerisce «cinque foglie di ortica, che hanno un sapore genuino di fosso, del verde appena piovuto. Di sottobosco. Oppure le castagne, il risultato è sballo totale!».

I consigli di Bruno Barbieri per un minestrone buonissimo

■Tutte le verdure di scarto sono utili per dare più sapore
■ È più bello quando si riescono a riconoscere tutti i colori di tutte le verdure
■ Per dargli più carattere, passare alcune verdure al barbecue
■ Il pomodoro utilizzato per l’elisir è gustosissimo su una fetta di pane bruschettato

Bruno Barbieri: MasterChef, il futuro, …

Bruno Barbieri è un vulcano, sarà anche per questo che è il più longevo dei giudici-chef di Masterchef Italia. «I concorrenti vogliono tutto subito, poi succede che chieda come si fa una salsa béarnaise e mi si raccontano solo gli ingredienti. Io voglio sapere la storia degli ingredienti! Bisogna conoscere per poter cucinare», commenta lo chef parlando del più noto talent show di cucina. E quindi lui stesso, anche dopo tanta gavetta («In 30 anni ho sempre ascoltato e ho aspettato il mio momento, imparavo dai grandi chef, guardavo e incassavo. Adesso parlo io») è sempre pronto ad apprendere cose nuove.  «Sto partendo per gli Stati Uniti per scoprire la cucina creola, poi scendo in Sud America e procedo verso l’Africa». Qui gatta ci cova… Dopo il docufilm su di lui, Bruno Barbieri Sosia, chef BB sta lavorando a un grosso progetto. Un altro documentario? Una serie tv? Un film? «Non posso dirlo ancora, ma se va in porto sarà super interessante!».

Intanto ecco la sua ricetta del minestrone da replicare a casa, con altri due consigli: più resta lì più è buono. «Evitate mappazzoni, quindi occhio all’impiattamento».

4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano di Lisbona

4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano di Lisbona

Questa volta, nella nuova puntata di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese, c’è il miglior ristorante italiano di Lisbona. Lo chef, col suo mitico van, dopo avere esplorato le proposte gastronomiche della Costa Azzurra e dell’Oltrepò Pavese, si è spinto fino alla capitale del Portogallo per andare alla scoperta dei locali italiani del centro città dove si può gustare una cucina tradizionale. Baccalà mantecato o bacalhau, sarde a beccafico o sardinhas, zuppa maritata o caldo verde?

Anche questa volta, ognuno dei quattro ristoratori ha invitato nel proprio locale i tre colleghi sfidanti e lo chef Alessandro Borghese: i commensali, dopo avere assaggiato le specialità del ristorante, hanno assegnato un punteggio da 0 a 10 a location, menu, servizio e conto, ma anche alla «quinta categoria», che è un piatto differente in ciascuna puntata. Tutti e quattro i concorrenti, infatti, si devono misurare con lo stesso piatto, il più rappresentativo del territorio, che viene assaggiato da tutti gli sfidanti, per un confronto ancora più puntuale. A Lisbona, questo piatto è il baccalà, che viene proposto in tantissime ricette differenti, rivisitato o preparato secondo tradizione.

Ad aggiudicarsi il titolo di miglior ristorante italiano di Lisbona è il Davvero, all’interno dell’Hotel Sublime Lisboa nel quartiere Amoreiras. Gli altri ristoranti in gara erano Makkà Restaurant, un locale romantico, dal design moderno e dal tocco vintage, nel quartiere Campo Pequeno, La Pasta Fresca, un autentico ristorante italiano nel quartiere Campo Pequeno, dove tutto è fatto a mano e Parao73 con Angelo, locale aperto di recente nel quartiere multiculturale di Arroios.

Il viaggio di Alessandro Borghese 4 Ristoranti continua nelle prossime settimane tra Ravenna, Sardegna, Gorizia e Lucca, poi ancora Monza e Mantova.

Intanto, andiamo a conoscere meglio i quattro locali di Lisbona che si sono sfidati per aggiudicarsi il titolo di miglior ristorante italiano di Lisbona, in equilibrio tra tradizione e contaminazione, e ricevere un contributo economico da investire nella propria attività.

Ricerche frequenti:

Italian Sounding: l’UE dichiara fuorilegge “Parmesan” e non solo

La Cucina Italiana

L’Unione Europea ha dichiarato fuorilegge l’Italian Sounding. Vuol dire che non sarà più possibile per i produttori stranieri usare nomi simili a quelli di prodotti tradizionali italiani tutelati da DOP e IGP. È questa la novità più attesa del Testo Unico per la Qualità Ue: una serie di regole per tutelare i prodotti agroalimentari, ma anche vitivinicoli e gli alcolici dell’Unione. Se ne discute da anni, ma solo ora sono state appena approvate a Bruxelles. Un risultato che l’Italia attendeva con particolare apprensione, dato che siamo uno dei Paesi più penalizzati dato che vantiamo il più alto numero di DOP, e che diventato realtà dopo l’accordo fra l’Europarlamento con relatore l’italiano Paolo De Castro e i negoziatori di Consiglio d’Europa (il ministro spagnolo Luis Planas) e Commissione europea (il commissario Janusz Wojcechowski).

I 120 miliardi dell’Italian Sounding

Di fatto è la fine di un’era: l’Italian Sounding per anni ha concesso a migliaia di aziende di tutto il mondo di usare denominazioni simili a quelle delle nostre eccellenze per vendere a caro prezzo formaggi, salumi, vini, distillati e molto altro ancora, che con queste eccellenze nulla hanno a che fare. L’elenco è lungo: va dal “Parmesan” – il falso Parmigiano probabilmente più famoso – al “Prosek” croato e persino fantomatici “aceti balsamici di Cipro”. Un affare che – secondo le stime Coldiretti – vale 120 miliardi di euro nel mondo. 

Le nuove regole, nel dettaglio

Il nuovo regolamento entrerà in vigore nei primi mesi del 2024, dopo gli ultimi passaggi formali in Parlamento e Consiglio Europeo. «Farà evolvere un sistema senza eguali nel mondo, capace di generare valore senza investire alcun fondo pubblico», ha commentato Paolo De Castro, primo sostenitore del testo, membro della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, nonché ex ministro delle Politiche Agricole, spiegando che le nuove regole mirano a rafforzare ulteriormente il ruolo dei marchi DOP e IGP in Europa, e dei loro consorzi. 

Appena entreranno in vigore su ogni etichetta dovrà esserci  anzitutto il nome del produttore, a ulteriore garanzia della sua provenienza, e le richieste di registrazioni di nomi simili a quelli tradizionali non potranno essere più prese in considerazione. Per intenderci: casi come quello della richiesta che la Croazia ha fatto all’Unione Europea per denominare “Prosek” il suo vino, non potranno più essere nemmeno prese in considerazione, in quanto “Prosek” troppo simile all’italianissimo Prosecco DOP. Oltre a questo, nessun produttore porrà utilizzare i nostri prodotti IG (a indicazione geografica, categoria usata esclusivamente per superalcolici e vini aromatizzati) come ingredienti dei propri prodotti trasformati senza indicare le specifiche quantità in etichetta e senza aver informato i rispettivi consorzi o aver avuto l’autorizzazione quando necessaria. Entrerà anche in vigore un sistema di geoblocking per cui anche i domini internet illeciti saranno bloccati con un alert system che sarà ottimizzato dai singoli Stati. 

Non è finita: potrebbe essere solo l’inizio, perché i singoli Stati potranno ulterioremente rafforzare il sistema di tutela delle proprie Dop e Igp, prevedendo procedure di autorizzazione a livello nazionale ancora più stringenti.

Perché la Dop Economy è strategica

«Si tratta di un risultato importante per l’Italia e per i Paesi che nelle indicazioni geografiche hanno non soltanto interessi economici, ma anche sociali», ha spiegato il relatore del provvedimento Paolo De Castro. «Il Testo Unico della Qualità tutelerà più di quattromila indicazioni geografiche in Europa, di cui 800 italiane. È stato un percorso lungo e faticoso, durato più di due anni, ma alla fine il risultato premia chi da sempre si batte per i prodotti della Dop economy, che non sono curiosità grastronomiche, ma rappresentano un pezzo importante dell’economia europea che ha ricadute importanti anche per il turismo, producendo valore che si distribuisce lungo la filiera. Abbiamo dato più forza ai consorzi e tutelato le produzioni, anche attraverso precisi obblighi di trasparenza nei confronti dei consumatori, come l’indicazione sull’etichetta del nome del produttore».

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