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Insalata d’arance e carciofini, la ricetta della nostra cuoca

La Cucina Italiana

Scolarli e lasciare raffreddare, condire con olio. Tagliare le arance a vivo, tagliatele a pezzi, aggiungere le olive, le erbe tritate, i carciofini, grattugiato di limone, condire con olio, sale e pepe.

E un insalata freschissima e gustosa da mangiare come contorno o antipasto!

Il segreto di Joëlle

A rendere speciale questa insalata, non è solamente il modo in cui sono trattati gli ingredienti, ma anche la loro varietà. Come vedrete nella lista, questa insalata è preparata con due varietà di arance, due tipologie di olive differenti e arricchita dal sapore di diverse erbe aromatiche. Lo stesso principio può ispirarci nella preparazione di ricette ricche e gustose, anche molto lontane da un’insalata. Prendiamo ad esempio una pasta condita con un sugo di pomodorini freschi: sarà ancora più buona se scegliamo pomodorini datterino, ciliegino gialli, rossi e verdi. Quando prepariamo una pizza invece, possiamo giocare con le variazioni della farcitura. Una semplice margherita ad esempio, può diventare davvero speciale se aggiungiamo un po’ di mozzarella di bufala e qualche fettina di mozzarella di bufala affumicata.

Petronilla: storia e curiosità della cuoca medico

La Cucina Italiana

In realtà Petronilla, che si definisce spesso e volentieri «imperfetta», è solo un nome d’arte preso dai fumetti americani allora in voga, dalla moglie pestifera di Arcibaldo, armata di matterello, che sta comparendo sul Corriere dei Piccoli. Petronilla non esiste. È l’alter ego di Amalia Moretti Foggia, classe 1872, di professione medico pediatra (una delle primissime). Amalia è sposata a un collega, Domenico Della Rovere, e non ha figli. Amica di Anna Kuliscioff, la dottoressa in camice bianco (che tutti i giorni presta servizio alla Poliambulanza di Porta Venezia a Milano, per curare le donne del popolo e i loro figlioli) si è legata alla vita un grembiulino e con l’aiuto delle sue cuoche di famiglia mette insieme il sapere nutrizionale, l’arte dell’economia domestica e il palato buongustaio per proporre sulle pagine di una delle riviste più lette cose buone e sane da mettere in tavola tutti i giorni. Continuerà a farlo anche durante la guerra, inventandosi la cucina dei «senza», la maionese senz’olio e la cioccolata senza cioccolato.

Divulgatrice fantastica, Amalia diventerà anche il dottor Amal, dando consigli di medicina, con uno pseudonimo al maschile, per farsi ascoltare anche da chi conserva vecchi pregiudizi. A lei poco importa: parla sempre alle donne, per metterle in grado di svolgere la propria funzione di fulcro della famiglia, di nutrire e guarire, da sempre «diversamente multitasking» come noi, le loro nipotine di oggi.

Vanity Fair dedica la copertina alle donne afghane: in copertina una cuoca di Kabul

Vanity Fair dedica la copertina alle donne afghane: in copertina una cuoca di Kabul

I volti della sofferenza, la faccia migliore dell’italia. Vanity fair dedica la copertina alle donne afghane fuggite dai talebani e arrivate nel nostro paese. Per loro lancia l’hashtag #noisiamoaccoglienza: un’iniziativa per dare più forza ai progetti di solidarietà che stanno nascendo e che svelano il cuore più autentico degli italiani

Una giovane cuoca di Kabul fotografata nella base logistica dell’Esercito a Riva del Garda, le mani sul volto a nascondere la sua vera identità. È lei la protagonista della copertina del nuovo numero di Vanity Fair, in edicola domani 8 settembre: una delle tante donne afghane costrette a scappare da un regime crudele, arrivate nel nostro Paese, e che tramite le pagine del settimanale lanciano il loro appello: non lasciateci sole, non dimenticateci, «qui e adesso, ma soprattutto nei prossimi mesi, quando le luci della ribalta mediatica si spegneranno e queste vicende rischieranno di essere scordate», sottolinea il direttore Simone Marchetti nel suo editoriale.

La dolorosa questione del ritorno in Afghanistan dei talebani è affrontata in due modi. Grazie all’Esercito e a Croce Rossa Italiana, Vanity Fair è entrato nel Centro logistico di Riva del Garda (Trento) dove è stata allestita una tendopoli in cui le famiglie afghane attendono di essere ricollocate. Sotto falso nome (nessuna vuole rivelare la propria identità per paura di ritorsioni in patria) Amina, Samira, Omulbanin ci hanno raccontato le loro storie di paura e speranza. Paura per quello che hanno lasciato, speranza per quello che verrà. Fondazione Veronesi, inoltre, ci ha presentato Nilofar, una ginecologa che ad Herat lavorava presso il loro centro di prevenzione e cura del tumore al seno. Che è riuscita a mettersi in salvo con sua madre e sua sorella. Che non smette di tremare al pensiero che, se fosse rimasta là, sarebbe stata costretta a un matrimonio combinato con un Mullah. E che ora, sentendosi al sicuro, è tornata a sognare: il desiderio più grande sarebbe quello di riprendere al più presto a fare la dottoressa qui in Italia o in un altro Paese europeo.

Sono tante le istituzioni, le università, le onlus, le aziende e anche i privati cittadini che in questi giorni si stanno muovendo per offrire un aiuto a Nilofar e a tutti gli altri rifugiati. Ci sono famiglie pronte a far spazio, all’interno delle proprie case, a un’altra famiglia afghana. C’è chi offre lezioni di italiano. Chi versa quanto può alle associazioni in prima linea. Ed è da qui che parte la seconda via per raccontare il dramma dei rifugiati in queste settimane, fare un cambio di prospettiva e mettere in luce l’incredibile movimento di solidarietà che si sta attivando nel nostro Paese. «Sui nostri canali digitali, sito e social, racconteremo con l’hashtag #NOISIAMOACCOGLIENZA tutte le iniziative, le associazioni e i progetti che si occupano e si occuperanno di dare una mano», continua Simone Marchetti nel suo editoriale. «Di più: raccoglieremo le storie di chi sta già portando un sostegno concreto. E non importa che siano grandi o piccole somme, né ingenti o trascurabili azioni: ciò che conta è fare un passo. Perché presto, lo sappiamo, arriveranno i soliti a dire che gli italiani vengono prima, che c’è ancora la pandemia, che le persone perdono il lavoro, che ci sono i poveri anche qui. È tutto vero, è tutto comprensibile. Ma è ancor più vero e ancor più comprensibile che esiste una faccia dell’Italia che guardando il volto che abbiamo messo in copertina non può che chiedersi: cosa posso fare? Come posso contribuire? È in quel viso che noi ci riconosciamo. È in quello spirito che possiamo definirci veramente italiani».

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