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Il ristorante di Primo Appuntamento esiste?

Il ristorante di Primo Appuntamento esiste?

La risposta è sì! Tutto quello che avreste voluto sapere sul ristorante icona del romantico programma tv, che torna con Flavio Montrucchio ogni martedì in prima serata dal 31 agosto

Flavio Montrucchio torna in città ed è pronto ad accompagnare nuovi single alla ricerca dell’anima gemella nel ristorante cult di PRIMO APPUNTAMENTO con nuove 5 puntate inedite al via ogni martedì in prima serata a partire dal 31 agosto alle ore 21.20 su Real Time canale 31, in attesa della nuova stagione in arrivo nel 2022.

Molto spesso, guardando il romantico programma, ci siamo fatti mille domande proprio sulla location: il ristorante ormai divenuto leggenda, che accompagna i single verso un possibile viaggio d’amore, esiste davvero? E cosa mangiano? E chi paga il conto? Allora, abbiamo chiesto direttamente alla produzione televisiva e ci hanno dato tutte le risposte autentiche, niente bufale.

Dove si trova il ristorante di Primo Appuntamento?

Si tratta del ristorante Geco, nel quartiere Eur di Roma, ed è la location originale fin dalla prima edizione del programma di Real Time.
L’indirizzo del ristorante di Primo Appuntamento è Piazza Guglielmo Marconi, 23.

Chi decide il menù di Primo Appuntamento?

Il menù varia da stagione a stagione e viene definito insieme al maître Alessandro Pipero, che nel programma è colui che vediamo accogliere i single all’arrivo, metterli a loro agio, accompagnarli al bar o ai tavoli – no, non è un attore! Nell’elaborare la proposta gastronomica si tengono in considerazione vari parametri, tra cui la velocità di preparazione visto che il programma è tutto girato in tempo reale e la cena avviene veramente.

Cosa si mangia al ristorante di Primo Appuntamento?

Il menù del ristorante di Primo Appuntamento è molto vario con ben cinque scelte di Antipasti, cinque di Primi, quattro di Secondi e cinque di Dessert. E’ un menù di terra e di mare, si passa dal Prosciutto di Langhirano e Mozzarella di Bufala alla Tartare di salmone su Patate alla Senape per iniziare, a seguire abbiamo dei classici romani come i Tonnarelli con Carciofi Violetti e Guanciale Croccante, fino ai secondi sostanziosi come la Tagliata di Angus con Porcini e Fonduta di Taleggio. Si denota una certa attenzione agli ingredienti, sempre selezionati e ricercati nella loro provenienza. I dessert sono da grandi golosi: dal Fior di Pastiera al Cuore di Napoli, si sente la veracità della proposta finale. Il dessert che più spesso forse abbiamo visto condividere è La Pera: Pera al cioccolato bianco, mousse alla vaniglia con cuore di pere e noci, crumble di pasta frolla e cioccolato fondente e noci caramellate. Nella photo gallery potete leggere i menù della stagione in corso.

Pagano davvero la cena a Primo Appuntamento?

Per quanto riguarda il conto sì, i single pagano davvero, perché è utile capire come si comportano quando bisogna “mettere mano al portafogli” e fornisce un dato in più del loro carattere e personalità.

Al ristorante di Primo Appuntamento, sono attori o camerieri veri?

Lo staff è composto da persone che sanno fare realmente il mestiere richiesto, ma sono stati scelti dal team produttivo Discovery e dalla casa di produzione Stand By Me con un criterio di “resa televisiva”. Durante il programma gestiscono realmente la sala al posto del normale staff del Geco e sono realmente diretti dal maître.

Chi prepara i romantici dessert di Primo Appuntamento?

I dolci di questa stagione sono tutti forniti dal maestro di cake design campano Renato Ardovino, che gli affezionati di Real Time e Food Network conoscono bene perché protagonista di tanti programmi sulla pasticceria.

Come si fa a fare la comparsa al ristorante di Primo Appuntamento?

Le comparse, che cenano al ristorante insieme ai protagonisti di puntata, sono in parte di agenzia e in parte auto candidature pervenute alla redazione. Ruotano ad incastro per variare insieme ai concorrenti. Non ci sono casting particolari per questo ruolo e vengono prese solo persone su Roma.

Come si fa a partecipare a Primo Appuntamento come single?

I casting dei single sono aperti quasi tutto l’anno, si compila il form online e poi si viene contattati dalla redazione. La scelta è fatta su vari criteri, con particolare attenzione alla varietà e all’inclusività in ogni sua forma (età, generi, provenienza, preferenze sessuali, caratteristiche “speciali”), ma la cosa più importante è che non abbiano altre partecipazioni televisive recenti e che abbiano una storia da raccontare. La simpatia e la voglia di mettersi in gioco è ovviamente molto importante.

E ora che ci siamo tolti ogni curiosità, prepariamo il telecomando: PRIMO APPUNTAMENTO, 5 episodi x 60’, è realizzato da Stand by Me per Discovery Italia. Le puntate sono disponibili in anteprima streaming su discovery+.

Sfoglia la photo gallery!

La carbonara liquida dello chef Valerio Braschi esiste davvero

La carbonara liquida dello chef Valerio Braschi esiste davvero

Lo chef Valerio Braschi, che l’ha inventata, ci ha spiegato come si prepara e come è nata l’idea di questo distillato. Che non è il primo

Sembra acqua, ma sa di carbonara. Dopo la lasagna in tubetto, la carbonara liquida è l’ultima trovata di Valerio Braschi, vincitore della sesta edizione di Masterchef, nel 2017. 23 anni, originario della provincia di Rimini, è il titolare del ristorante 1978, a Roma. È lì che ha servito ai suoi clienti, come amuse-bouche, prima degli antipasti, la carbonara liquida, uno shottino analcolico, un vero e proprio distillato di carbonara.

Non è uno scherzo, vero?
«Certo che no. Ho comprato il rotavapor, un distillatore, e ho provato a distillare gli ingredienti che utilizzo nel ristorante. La carbonara liquida non è il primo distillato che ho proposto».

Quali sono gli altri?
«I distillati di pasta al pesto, di cacio e pepe e anche di pizza. La pasta al pesto liquida è un distillato di estratto di basilico molto concentrato, allungato con brodo di parmigiano e pinoli tostati, il tutto frullato. Cacio e pepe si fa con brodo di pepe e brodo di pecorino, ovviamente distillati, e la pizza liquida è un distillato del sugo di pomodoro che facciamo noi in estate, di acqua di mozzarella affumicata e di una sorta di pasta per pizza molto ben cotta, in modo che si senta bene l’odore della crosta».

Davvero la carbonara liquida sa di carbonara?
«Sì, e chi l’ha assaggiata lo può confermare: è un distillato non alcolico, ma gli odori rimangono nel composto e si sentono in modo deciso».

Come l’ha preparata?
«Ho frullato uno zabaione al pecorino molto stagionato e del guanciale arrostito, e ho allungato il composto con un infuso di pepe nero cotto a bassa temperatura per 6 ore. Poi ho distillato il composto e sono riuscito a riprodurre il profumo della carbonara. Gli ingredienti devono venire bilanciati molto bene».

Tre ore di lavoro per produrne 300 millilitri: avrà un prezzo esorbitante.
«In realtà non ho mai servito come portata la carbonara liquida ai miei clienti: la regalavo come amuse-bouche. E devo dire che è stata apprezzata da tutti: per me il feedback è fondamentale».

Online, però, sono arrivate anche delle critiche.
«Se una persona prova una portata e la critica, il suo parere mi interessa. Chi parla senza avere assaggiato, invece, è come chi vuole discutere di un libro senza averlo letto».

Qualcuno dice di preferire la carbonara classica.
«Chi vuole mangiarla può trovarla nelle trattorie, che sicuramente la sanno preparare a regola d’arte. Noi proponiamo piatti innovativi, anche giocando con le ricette tradizionali. La carbonara classica non si addice al tipo di cucina che presento. E con la carbonara liquida non ci si deve sfamare».

Chi vuole assaggiarla la trova nel suo ristorante?
«Non più: abbiamo cambiato menu, come facciamo ogni tre mesi. Adesso proponiamo il bitter di melanzana, fatto con l’acqua ambrata rilasciata dalle melanzane al forno, mixata con salsa di soia, angostura, riso affumicato e birra acida. Viene servito freddo di frigo e apre lo stomaco».

E se qualcuno le chiedesse le sue ricette innovative?
«Non avrei problemi a darle: la cucina è condivisione, e se qualcuno si ispira a me, è una gioia. Fare da mangiare significa anche scambiarsi idee, e questo è il bello della cucina: avvicina tutti».

 

La biblioteca del lievito madre esiste davvero e si trova in Belgio

La biblioteca del lievito madre esiste davvero e si trova in Belgio

Sono oltre 125 gli esemplari provenienti da tutto il mondo conservati negli spazi del Center for Bread Flavour di Puratos. Ecco come visitarli anche in modo virtuale

Non soltanto cinema, scienze e arte contemporanea: anche sua maestà il lievito madre – per qualcuno sfida, per altri compagno fedele di questa lunga quarantena – può vantare un suo personalissimo museo. O meglio, una sorta di biblioteca, a tratti simile a una banca, realizzata e gestita da Puratos, azienda internazionale attiva nel settore della panificazione, della pasticceria e del cioccolato: lo spazio in questione sorge all’interno del Center for Bread Flavour di Sankt Vith, cittadina belga di 9mila abitanti sul confine con la Germania, e raccoglie oltre 125 tipologie di lieviti madre provenienti da 25 Paesi del mondo.

Foto: Puratos.

La biblioteca del lievito madre

Tutto ha inizio nel 2013, quando Puratos viene contattata da un panettiere siriano che chiede una sorta di “asilo politico” per il suo amato lievito madre: i suoi figli, eredi dell’attività familiare specializzata in biscotti di farina di ceci, hanno deciso di sostituirlo con un meno impegnativo lievito industriale, ma lui vuole comunque lasciare al mondo una traccia tangibile del suo prezioso alleato di panificazione. È qui che entra in scena Karl De Smedt, vero e proprio guru dell’argomento, che decide di avviare il progetto della Biblioteca del Lievito Madre. «Viaggiando per il mondo, Karl De Smedt aveva potuto già scoprire quanto i lieviti madre delle diverse aree geografiche fossero diversi tra loro», ci racconta Laura Cafasso, digital marketing & communication specialist di Puratos Italia. «Da qui la decisione di lanciare sul web l’iniziativa Quest for Sourdough: attraverso questo portale ogni panificatore avrebbe avuto la possibilità di candidare il proprio lievito madre per un posto stabile nell’archivio che Puratos stava costruendo in Belgio. Un qualcosa di molto simile alla Banca dei Semi delle Svalbard, in Norvegia, dove gli esemplari più preziosi di semenze vengono custoditi per essere protetti e tramandati alle generazioni future».
Le candidature avanzate attraverso la piattaforma web sono state così vagliate da De Smedt e dagli esperti dell’azienda: ogni lievito madre selezionato, perché giudicato come distintivo di una produzione degna di riconoscimento, è stato così prelevato attraverso uno speciale kit, analizzato a dovere e dunque inserito all’interno della biblioteca, con tanto di numero di riconoscimento e cerimonia di ingresso. Ad oggi, tutti i lieviti naturali presenti nel complesso di Sankt Vith sono mantenuti in condizioni ottimali in frigoriferi a 4°C, e vengono rinfrescati regolarmente con la farina originale con cui sono stati prodotti, per ricreare le condizioni originali del panificio. Senza alcuna alterazione rispetto alla loro versione originaria.

Foto: Puratos.

Le storie dentro il lievito

Il primissimo lievito madre a fare il proprio ingresso nella biblioteca belga è stato un esemplare italiano. Pugliese, per la precisione, utilizzato per la preparazione del celeberrimo pane di Altamura e alimentato con farina di grano duro. Ma le storie racchiuse nei frigoriferi di Sankt Vith sono davvero le più disparate, come racconta anche il New York Times: c’è il numero 100, giapponese, prodotto a partire dal sakè di riso; o il numero 72, messicano, costantemente alimentato con un mix a base di uova, lime e birra. Ma troviamo anche un originalissimo lievito madre canadese, il 106, in arrivo direttamente dalla fine dell’Ottocento e dalle storie di quei cercatori d’oro che giravano il continente nordamericano armati solo di speranza e di qualche provvista di sussistenza. Insomma, gli esemplari conservati nella Biblioteca del Lievito Madre di Puratos si presentano a tutti gli effetti come un album in barattoli a cavallo tra storia e tradizioni. «Il nostro spazio può ovviamente essere visitato di persona, contattando l’azienda e concordando il proprio appuntamento, ma in questo momento, a causa dell’emergenza sanitaria, è tutto rimandato», prosegue Laura Cafasso. «Per tutti gli appassionati che in queste settimane volessero approfondire le proprie conoscenze, però, è disponibile una visita virtuale molto dettagliata, con numerose testimonianze e svariati contributi video». Un modo prezioso, insomma, per ampliare le abilità apprese durante questa quarantena trascorsa tra forni e fornelli, che ci ha visti tutti quanti – almeno una volta – indossare orgogliosamente il grembiule del panificatore.

Foto: Puratos.

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