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Cosa e dove mangiare a Napoli con 5 euro

Cosa e dove mangiare a Napoli con 5 euro

Mangiare a Napoli con 5 euro? Non è un sogno. Perché il capoluogo campano è la patria dello street food all’italiana. Vi basterà camminare tra le strade principali e secondarie della città, un quartiere dopo l’altro, per rendervi conto della grande quantità di posti che offrono ogni tipo di prelibatezza a delle cifre che dire popolari è poco.

La cucina di strada napoletana, poi, è una delizia per gli occhi e per il palato: la “pizza a portafoglio” o a libretto è la regina delle specialità da mangiare in un sol boccone (o poco più), ma ci sono tante prelibatezze da rosticceria e non solo da gustare: panini napoletani, frittatine di pasta, cuoppi di frittura. Per non parlare della pasticceria: dal babà alle sfogliatelle fino alla zeppola di San Giuseppe, il dolce simbolo del 19 marzo che ormai è diventato richiestissimo e si trova nelle pasticcerie tutto l’anno.

Una specialità antica: ’o pere e ’o musso

Come succede per tutti i piatti della tradizione, le origini di questo piatto si perdono nel tempo. Fatto – come dice il nome – con il piede (‘o pere) e il muso (‘o musso) rispettivamente del maiale e del vitello, ’o pere e ’o musso è un piatto della tradizione povera contadina nato dall’utilizzo di quelli che oggi considereremmo gli scarti degli animali: una volta il cibo era poco e non si buttava via niente. La preparazione è piuttosto semplice: piede e muso di maiale e vitello vengono depilati, bolliti, fatti raffreddare, tagliati a piccoli pezzi e conditi con sale e succo di limone. Se ne trovano anche varianti con la trippa (o solo la trippa stessa preparata alla stessa maniera) e di solito si acquista nelle botteghe, dai macellai o anche nei carretti ambulanti che si trovano in giro per la città.

Cosa mangiare a Napoli con 5 euro

Non solo pizza: le strade di Napoli sono un tripudio di sapori e preparazioni. Vi basterà entrare un una qualsiasi rosticceria per rimanere a bocca aperta davanti a tutte quelle preparazioni. Generalmente in ogni rosticceria si trovano: panini napoletani, montanare fritte, arancine, frittatine di maccheroni, rustici e poi tutte le preparazioni che vengono vendute a fette: danubio, tortano e pizza con le scarole, per esempio. Tutte queste prelibatezze non superano mai i 5 euro. E, anzi, di solito costano molto meno al pezzo! Il prezzo medio di ciascuna di queste preparazioni è di circa 2 euro al pezzo (alcune costano meno, altre di più).

E poi ci sono le pizze, classiche o a portafoglio, i fritti, la pasticceria tra babà, sfogliatelle, panna e fragoline… 

Dove mangiare a Napoli con 5 euro?

I banchi del cibo di strada sono i veri protagonisti di Napoli. Ovunque ci si giri, se ne trova uno. Ecco perché la lista dei posti in cui mangiare le prelibatezze potrebbe essere lunghissima. Noi abbiamo chiesto a tre “napoletani doc” qualche consiglio sui posti preferiti e li abbiamo raggruppati in questa gallery: ma sappiamo che tanti altri meriterebbero una capatina. Il problema è che non ci basterebbe un intero giornale per nominarli tutti! Quelli che trovate in questo elenco sono quelli più amati e frequentati dai nostri “insider” sul territorio, ma lo sappiamo: ogni napoletano ha nel cuore i posti preferiti, tra tradizioni, indirizzi storici e nuove aperture.

Ma ora, pronti a fare il vostro tour gastronomico a Napoli mangiando cose buonissime e a prezzi piccolissimi?

Uova di Pasqua 2022 sotto i 15 euro

Uova di Pasqua 2022 sotto i 15 euro

Scartare le uova di Pasqua e aprirle, svelandone le sorprese, è uno dei momenti più attesi dell’anno. E non soltanto dai più piccini.
In commercio è possibile trovare una grande varietà di prodotti capaci di accontentare ogni palato: che siate più per il cioccolato fondente o per quello al latte, qui sotto troverete l’uovo di Pasqua che fa per voi, spendendo intorno ai 15 euro. Dai grandi classici, come le uova di Pasqua Kinder, fino alle proposte che abbinano il cioccolato a ingredienti amatissimi come il pistacchio, la nocciola e la mandorla. 

Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Per chi viaggia alla ricerca dei luxury food (dall’inizio di giugno si potrà tornare a farlo), la gelateria Mokambo è una tappa irrinunciabile. Qui si può gustare lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto solo con gelato di zafferano iraniano

Sentirsi reali a tavola è possibile. Ce lo ha insegnato Gualtiero Marchesi con il suo Riso, oro e zafferano. Ma una foglia d’oro da sola, senza materie prime eccezionali, è niente. Lo sanno bene Franco, Giuliana e Vincenzo Paparella che nella loro gelateria Mokambo, a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, hanno creato lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto con gelato allo zafferano, panna e oro alimentare. E non è quest’ultimo, l’ingrediente più costoso.

Gelateria Mokambo: dai Borbone alla quarta generazione dei Paparella

La storia di Gelateria Mokambo inizia nel 1910, quando Luigi Marseglia, garzone prima, poi capo di pasticceria del Caffè Gambrinus di Napoli, si trasferisce a Ruvo di Puglia, per seguire la sua sposa pugliese. «È lui è il pazzo che ci ha infettati di questa malattia», racconta Franco Paparella». Qui apre il suo Caffè Gambrinus, uno dei bar simbolo del secolo scorso in città, e prende sotto la sua ala Vincenzo Paparella senior. Proprio lui, l’8 novembre 1967, in corso Carafa 56, apre il Bar Mokambo, dove vivono le ricette dell’arte bianca di Marseglia. Nel locale lavorano Franco e Antonio, i due figli di Vincenzo. Alla sua morte, i fratelli si dividono: Antonio resta nel Bar Mokambo e Franco intraprende un’avventura nel mondo della ristorazione. Negli anni Novanta il bar chiude, ma la nostalgia condivisa per quel gelato eccezionale non si placa. Galeotto fu Facebook. Una utente pubblica un post in cui ricorda quel locale e le sue delizie. Il messaggio cade sotto gli occhi dei fratelli Giuliana e Vincenzo Paparella, figli di Antonio, che iniziarono a fantasticare sul riaprire la gelateria di famiglia. Ma la chiave di tutto era convincere zio Franco, appassionato di donne e motori, ma soprattutto abile maestro gelatiere, a rimettersi in pista. Ce la fanno e riaprono alla fine dell’estate 2016, «una scelta imprenditoriale vincente!», scherza Giuliana. Vincenzo si occupa del marketing, sua sorella “ruba” il mestiere al maestro di lungo corso e si occupa del servizio e della produzione, mentre ancora oggi zio Franco – come lo chiama chiunque entri nel mondo Mokambo – si sottrae ai fotografi e non ama la ribalta. Ma fa un gelato che marchia a fuoco le papille gustative.

Otto gelati e ingredienti “d’Altri Tempi”

Nei pozzetti ci sono otto gusti (elencati da Giuliana rigorosamente in ordine cromatico): Crema del Re 1840 (la ricetta del 1840 tramandata da Luigi Marseglia e premiata dal Re Ferdinando II di Borbone), Torrone croccante di mandorle (con frutti locali, «Ruvo è da sempre un territorio vocato per la coltivazione delle mandorle», spiega Giuliana), Pistacchio di Bronte DOP, Nocciola delle Langhe IGP, Gianduia IGP, Cioccolato Puro (ottenuto da venti fave di cacao differenti, selezionate in giro per il mondo; viene proposto il gusto monorigine o creato con un blend di fave), Tartufo (cioè la variante speziata del cioccolato). Alcuni gusti ruotano durante l’anno: c’è il Caffè superior, la Granita di Limoni di Sorrento IGP (disponibile da maggio a settembre), il Gelato di Gelsi rossi, quello alla Mela cotogna, e il Nonna Lena, fatto con fichi secchi, scaglie di mandorle e pepite di cioccolato puro 100 per cento). Ogni cono viene guarnito con panna («rigorosamente fresca, di origine animale»), granella di mandorle, granella di Pistacchio di Bronte DOP, di Meringhe home made e di Fave di cacao in abbinamento a quelle usate per il gusto al cioccolato disponibile nel pozzetto in quel momento.

Dalle Ricette di Marsiglia al Libro di Ciocca passando allo Zafferano Iraniano

Nei primi anni del secolo lo stesso Luigi Marsiglia collaborò con l’invio di alcune delle sue ricette alla stesura del volume Il Pasticciere e Confettiere Moderno, scritto da Giovanni Ciocca, probabilmente uno dei più famosi pasticceri del XX secolo. Alcune di queste ricette, prevedevano l’utilizzo di ingredienti esclusivi come lo zafferano, appunto, in quel periodo comune solo nelle cucine delle più importanti famiglie. La diffusione di questo ingrediente “al grande pubblico” risale a partire dal 1860 grazie all’introduzione a opera del cavalier Giuseppe Alberti del liquore Strega. È infatti questa spezia che conferisce il caratteristico colore gallino al liquore di Benevento.

Scettro del Re.
Scettro del Re.

Perché questo è il miglior zafferano

Lo zafferano viene valutato in base a 3 parametri: il potere colorante, dato dalla crocina, quello odoroso, dato dal safranale, e quello amaricante, dato dalla picrocrocina. I valori in termini comparativi dello zafferano coltivato in Italia e quello utilizzato presso la gelateria Mokambo parlano chiaro. Lo zafferano iraniano scelto dal team Paparella contiene 233 nm di crocina, quindi ha un colore più intenso, rispetto a quello noto come 1 cat. in ISO3632, che ne ha 190 nm. La quantità di safranel nello zafferano di 1 cat. in ISO3632 è di 70 nm; quello iraniano utilizzato da Mokambo arriva a 100 nm. Quindi ha un profumo più intenso. La picrocrocina dello zafferano di 1 cat. in ISO3632 si attesta tra i 20 e i 50 nm, mentre quello iraniano arriva a 35 nm. «La principale differenza tra lo zafferano made in Italy e quello che usiamo noi è la nota amara, molto marcata, quel sapore metallico della spezia», spiega Giuliana Paparella. «Il primo assaggio del nostro gelato allo zafferano è sì leggermente metallico, ma poi inizia subito a liberare note agrumate e floreali. Se lo zafferano italiano costa un terzo rispetto a quello iraniano un motivo c’è». Il prezzo della spezia italiana si attesta attorno ai 20 euro al grammo, contro i 60-70 euro di quello proveniente dall’Iran.

Un’amicizia preziosa

L’arrivo dell’attuale zafferano iraniano tra le mani di zio Franco e Giuliana è merito di Giuseppe Ladisa e Yuki D’Innocenzo, due avventurieri glocal di Bari, che nel proprio tempo libero vanno a caccia di chicche gastronomiche e no. Durante una domenica in giro tra i colli murgiani, Yuki scova la gelateria Mokambo su TripAdvisor. «All’epoca aveva solo 15 recensioni», ricorda la ragazza di origini italo-giapponesi. «Le ho lette tutte, attentamente, e ho detto a Giuseppe “Perché non facciamo un salto a Ruvo?”». Combattendo lo scetticismo, i due si dirigono verso la cittadina del nordbarese e si innamorano del gelato, della simpatia dei Paparella bros e della sagacia di zio Franco. Tornano molte altre volte. Durante uno dei loro assaggi, raccontano di essere in procinto di partire verso l’Iran. Giuliana non si fa sfuggire l’occasione e chiede a questi due clienti ormai amici di portarle un po’ di zafferano “vero”. Durante il viaggio Yuki e Giuseppe si informano sulla zona di produzione e si tengono in contatto con la gelateria. Scovato il prodotto giusto («perché in Iran il livello di contraffazione è altissimo», spiega Yuki), lo acquistano e lo consegnano ai gelatieri, che ne ricavano un gusto davvero unico. «In Iran fanno il gelato allo zafferano con pezzi di pistacchio o con l’acqua di rose. Ma ci mettono un sacco di gomma di guar, che lo rende tipo una chewing gum», spiega Giuliana, che ha fatto molto di meglio.

Gli ingredienti

Per fare lo Scettro del Re servono latte appena munto (proveniente dalla zona di Altamura, più precisamente dall’Azienda Agricola Santa Maria dell’Assunta, nel Parco nazionale dell’Alta Murgia), uova, zucchero e, naturalmente, lo zafferano. Per assaggiarlo, bisogna prenotare il gusto con tre giorni di anticipo, necessari per organizzare la lavorazione. La sola infusione dello zafferano si aggira attorno alle quattro ore. «Usiamo la parte alta, più nobile del pistillo più alto (ogni croco ne ha tre, ndr.), il sargol», spiega Giuliana. Inoltre, lo zafferano deve essere utilizzato a una temperatura non troppo alta. Dopo una mantecazione di 15 minuti nella storica Carpigiani SED L20c del 1972, il gelato allo zafferano è pronto per essere montato sul cono. Dopo aver farcito il fondo della cialda con panna e tre Pistacchi di Bronte DOP, si aggiunge il gelato e un velo di panna fresca. Non sarebbe un vero scettro regale senza un po’ di metallo prezioso: infatti, chiude la composizione un foglio di oro alimentare e qualche scaglia di zucchero caramellato. Lo Scettro del Re costa 70 euro a cono. Lo si può acquistare solo su ordinazione e per un minimo di due coni. Un’intera vaschetta da mezzo chilo costa tra i 450 e i 500 euro. Come per tutti gli altri gusti, si può ricevere anche a domicilio. L’assaggio è elegante, vellutato. Al contatto con il palato, i sentori agrumati liberano l’immaginazione: siamo nelle Mille e una notte e l’Oriente si può quasi toccare, anche da un paesino della Puglia.

Testo Stefania Leo

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