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Cjarsòns dolci: la vera ricetta dei ravioli della Carnia

La Cucina Italiana

I cjarsòns sono il piatto simbolo della Carnia: ravioli di pasta di patate con ripieno a base di ricotta impastata con una ricchissima varietà di ingredienti: spezie, frutta secca, uva sultanina, aromi orientali, erbe aromatiche… si fanno sia dolci che salati e ogni famiglia, ogni ristorante e ogni paese ha la propria ricetta.

Una ricetta, tante varianti

La pasta viene fatta più o meno sempre allo stesso modo, il ripieno, però, può cambiare a seconda della ricetta di famiglia. Può essere realizzato in diverse varianti con uva passa, cioccolato fondente, cannella, cacao, spinaci, erba cipollina, ricotta, marmellata di vario genere, rum, grappa, prezzemolo biscotti uova o latte.

Cjiarsòns, le origini

L’origine dei cjiarsòns è legata ai cramârs, i venditori ambulanti di spezie che nel 1700 attraversavano a piedi le Alpi per vendere nei paesi germanici la loro esotica mercanzia acquistata a Venezia. Veniva riposta nella crassigne, una sorta di piccola cassettiera di legno che portavano a mo’ di zaino sulle spalle. Quando tornavano a casa i cramârs era festa grande e le donne preparavano i cjarsòns, questi ravioli fatti unendo alla ricotta quanto rimaneva sul fondo dei cassetti della crassigne. Ovviamente, gli ingredienti variavano a seconda di quello che c’era.

A Rivalpo, frazione del comune di Arta Terme, in provincia di Udine, li fanno così, dolci.

Cjarsòns: la vera ricetta

Ingredienti per 4 persone

Per il ripieno

200 g di patate
2 fichi secchi
1 pizzico di menta secca in polvere
1 cipolla piccola
50 g di uva sultanina
1 scorza di limone grattuggiata
30 g di zucchero
1 cucchiaio di cannella in polvere
15 g di cacao amaro
1 grossa carruba grattuggiata
1 uovo

Per la pasta

200 g di farina
1 noce di burro
1 bicchiere di acqua tiepida
1 uovo per spennellare
1 pizzico di sale

Per il condimento

150 g di burro
150 g di ricotta affumicata

Procedimento

Preparate la pasta amalgamando bene la farina con l’acqua tiepida nella quale avrete sciolto il burro ed un pizzico di sale. Lasciatela riposare per 20 minuti coperta con un panno.

Per fare il ripieno, in una casseruola soffriggete le patate lessate e passate al setaccio la menta, i fichi e l’uva sultanina macinati, la scorza del limone grattugiata, la cannella, il cacao, la carruba grattugiata, l’uovo, lo zucchero e mescolate formando un composto omogeneo; lasciate riposare per 20 minuti.

Su una spianatoia infarinata tirate la pasta sottile, ricavate dei dischi del diametro di cm. 7, spennellateli con l’uovo sbattuto, ponetevi al centro 1 cucchiaio di ripieno, ripiegate e chiudete bene premendo sui bordi.

Preparati i cjarsòns, cuoceteli in acqua bollente salata finché verranno a galla, raccoglieteli con un mestolo forato, quindi poneteli in una pirofila e conditeli con burro fuso color nocciola cospargendoli con la ricotta grattugiata.

Antonia Klugmann: 25 ricette da cucinare a casa

Antonia Klugmann: 25 ricette da cucinare a casa

Antonia Klugmann partecipò al progetto lanciato dalla nostra testata nel 2020 di candidare la cucina italiana come patrimonio immateriale all’Unesco. Insieme a illustri colleghi come Bottura, Cracco, Oldani, Romito, Cannavacciuolo, la chef stellata del ristorante L’Argine a Vencò fu Direttore Ospite per il numero di settembre, portando tutta la sua essenza delicata e decisa al tempo stesso. In occasione del suo compleanno, 2 settembre, ci fa piacere celebrarla pubblicando online il Ricettario da lei firmato. Auguri, cara cheffa!

Chef Antonia Klugmann (ph Monica Vinella).

«Questo ricettario è un piccolo viaggio nelle tradizioni di una famiglia ricca di sapere gastronomico, che affonda le sue radici in tanti luoghi diversi: tra Ferrara e Perugia grazie alla nonna paterna, che ha poi acquisito da nonno Klugmann spunti mitteleuropei come l’uso di abbinare la frutta con la carne e altre pietanze salate; poi c’è la Puglia, terra di Antonio, il nonno materno, che privilegiava la leggerezza di verdure e pesce. Antonia Klugmann, ci fa sfogliare il suo album dei sapori, ha vissuto un’infanzia felice nelle cucine dei nonni, dove ha interiorizzato anche la cura dei dettagli e la gioia di stare ai fornelli. Quando, durante il lockdown, ha costruito con la sorella Vittoria il sistema «Antonia a Casa» per il delivery, l’intento era quello di portare agli altri un po’ della sua casa. «Utilizzando, però, una tecnica contemporanea, quella che ho approfondito come professionista. Non si dovrebbe guardare al passato con nostalgia, inseguendo sapori perduti. E non penso che una ricetta di ieri sia per forza migliore di come la faccio oggi. L’approccio contemporaneo è quello più giusto». Non ricostruzione, quindi, ma evoluzione: su questo Antonia è molto sicura. La tradizione e i ricordi sono una mappa per orientarsi, ma bisogna viaggiare liberi. La sua polenta è un esempio: dosata perfettamente, non si deve mescolare, restando inchiodati al fornello. D’altra parte, il passato a volte offre insegnamenti proprio in quello che non ricordiamo e che andrebbe riscoperto, come l’essiccazione al sole, la fermentazione, certe lentissime cotture: tecniche validissime che producono sapori particolari. «Abbiamo un grande giacimento di memorie familiari, in Italia. La sfida è di riportarle in vita con gioia, per goderne appieno nel presente».

Testo di Laura Forti

Prosciutto di San Daniele, una qualità spettacolare | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Non c’è Paese al mondo con tanta ricchezza e varietà di prodotti naturali – come il Prosciutto di San Daniele – come li regala il territorio, o lavorati da mani esperte in modi semplici che sono antichi e insieme i più contemporanei. Prosegue il viaggio alla scoperta delle nostre bontà da bere e da mangiare, da quelle più conosciute a quelle meno note lontano dalla zona di produzione.

Il prosciutto di San Daniele

Dei trenta prosciutti italiani, l’unico con lo zampino e la forma a chitarra è il San Daniele. Lasciare il piedino – spiegano i 31 produttori del Consorzio – favorisce il drenaggio dell’umidità e la stagionatura. La forma è invece data dalla pressatura, un’esclusiva del San Daniele Dop. Un altro primato – secondo l’Atlante dei salumi dell’Istituto nazionale di sociologia rurale – è l’antica tradizione. Che risale agli anni Mille, epoca in cui il patriarca di Aquileia pretendeva prosciutti come pagamento delle tasse. Valevano tanto che, cinquecento anni dopo, soldati armati dovettero scortare fino a Trento «trenta paia di parsutti» destinati ai vescovi riuniti in Concilio. Tra gli «ingredienti», fondamentale è il microclima creato dall’incontro tra le brezze dell’Adriatico e i freddi venti delle Alpi Carniche. Solo qui, negli arieggiati saloni di San Daniele del Friuli, stagionano i famosi prosciutti, dopo una preparazione nel rispetto del disciplinare su allevamenti, razze e peso dei maiali (non meno di 160 chili), salagione (solo con sale marino e nazionale), quantità di grasso (almeno 15 mm ai bordi).

Prosciutto di San Daniele, Focaccia, Albicocche e Burrata

MASSIMO BIANCHI

Carta d’Identità

DOVE NASCE – A San Daniele del Friuli, dove stagionano le cosce provenienti da allevamenti di razze italiane di 10 regioni d’Italia.

CARATTERISTICHE – Il colore è rosso-rosato nella parte magra, bianco candido in quella grassa. L’aroma si fa più persistente con la stagionatura, con note di crosta di pane, frutta secca e malto d’orzo. Inconfondibile la sua dolcezza.

CONSUMO – Se acquistato già affettato – sempre molto sottile – va consumato
in giornata. In frigorifero si conserva tra 1 e 7 °C. Se intero, va tenuto in luogo fresco, avvolto in un panno umido con l’eventuale taglio protetto da un foglio di alluminio.

PREZZO – Dipende dalla stagionatura (almeno di 13 mesi). Nella grande distribuzione, già affettato, si trova a partire dai 35 euro al chilo.

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