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Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Il cono gelato da 70 euro si mangia a Ruvo di Puglia

Per chi viaggia alla ricerca dei luxury food (dall’inizio di giugno si potrà tornare a farlo), la gelateria Mokambo è una tappa irrinunciabile. Qui si può gustare lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto solo con gelato di zafferano iraniano

Sentirsi reali a tavola è possibile. Ce lo ha insegnato Gualtiero Marchesi con il suo Riso, oro e zafferano. Ma una foglia d’oro da sola, senza materie prime eccezionali, è niente. Lo sanno bene Franco, Giuliana e Vincenzo Paparella che nella loro gelateria Mokambo, a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, hanno creato lo Scettro del Re, un cono da 70 euro fatto con gelato allo zafferano, panna e oro alimentare. E non è quest’ultimo, l’ingrediente più costoso.

Gelateria Mokambo: dai Borbone alla quarta generazione dei Paparella

La storia di Gelateria Mokambo inizia nel 1910, quando Luigi Marseglia, garzone prima, poi capo di pasticceria del Caffè Gambrinus di Napoli, si trasferisce a Ruvo di Puglia, per seguire la sua sposa pugliese. «È lui è il pazzo che ci ha infettati di questa malattia», racconta Franco Paparella». Qui apre il suo Caffè Gambrinus, uno dei bar simbolo del secolo scorso in città, e prende sotto la sua ala Vincenzo Paparella senior. Proprio lui, l’8 novembre 1967, in corso Carafa 56, apre il Bar Mokambo, dove vivono le ricette dell’arte bianca di Marseglia. Nel locale lavorano Franco e Antonio, i due figli di Vincenzo. Alla sua morte, i fratelli si dividono: Antonio resta nel Bar Mokambo e Franco intraprende un’avventura nel mondo della ristorazione. Negli anni Novanta il bar chiude, ma la nostalgia condivisa per quel gelato eccezionale non si placa. Galeotto fu Facebook. Una utente pubblica un post in cui ricorda quel locale e le sue delizie. Il messaggio cade sotto gli occhi dei fratelli Giuliana e Vincenzo Paparella, figli di Antonio, che iniziarono a fantasticare sul riaprire la gelateria di famiglia. Ma la chiave di tutto era convincere zio Franco, appassionato di donne e motori, ma soprattutto abile maestro gelatiere, a rimettersi in pista. Ce la fanno e riaprono alla fine dell’estate 2016, «una scelta imprenditoriale vincente!», scherza Giuliana. Vincenzo si occupa del marketing, sua sorella “ruba” il mestiere al maestro di lungo corso e si occupa del servizio e della produzione, mentre ancora oggi zio Franco – come lo chiama chiunque entri nel mondo Mokambo – si sottrae ai fotografi e non ama la ribalta. Ma fa un gelato che marchia a fuoco le papille gustative.

Otto gelati e ingredienti “d’Altri Tempi”

Nei pozzetti ci sono otto gusti (elencati da Giuliana rigorosamente in ordine cromatico): Crema del Re 1840 (la ricetta del 1840 tramandata da Luigi Marseglia e premiata dal Re Ferdinando II di Borbone), Torrone croccante di mandorle (con frutti locali, «Ruvo è da sempre un territorio vocato per la coltivazione delle mandorle», spiega Giuliana), Pistacchio di Bronte DOP, Nocciola delle Langhe IGP, Gianduia IGP, Cioccolato Puro (ottenuto da venti fave di cacao differenti, selezionate in giro per il mondo; viene proposto il gusto monorigine o creato con un blend di fave), Tartufo (cioè la variante speziata del cioccolato). Alcuni gusti ruotano durante l’anno: c’è il Caffè superior, la Granita di Limoni di Sorrento IGP (disponibile da maggio a settembre), il Gelato di Gelsi rossi, quello alla Mela cotogna, e il Nonna Lena, fatto con fichi secchi, scaglie di mandorle e pepite di cioccolato puro 100 per cento). Ogni cono viene guarnito con panna («rigorosamente fresca, di origine animale»), granella di mandorle, granella di Pistacchio di Bronte DOP, di Meringhe home made e di Fave di cacao in abbinamento a quelle usate per il gusto al cioccolato disponibile nel pozzetto in quel momento.

Dalle Ricette di Marsiglia al Libro di Ciocca passando allo Zafferano Iraniano

Nei primi anni del secolo lo stesso Luigi Marsiglia collaborò con l’invio di alcune delle sue ricette alla stesura del volume Il Pasticciere e Confettiere Moderno, scritto da Giovanni Ciocca, probabilmente uno dei più famosi pasticceri del XX secolo. Alcune di queste ricette, prevedevano l’utilizzo di ingredienti esclusivi come lo zafferano, appunto, in quel periodo comune solo nelle cucine delle più importanti famiglie. La diffusione di questo ingrediente “al grande pubblico” risale a partire dal 1860 grazie all’introduzione a opera del cavalier Giuseppe Alberti del liquore Strega. È infatti questa spezia che conferisce il caratteristico colore gallino al liquore di Benevento.

Scettro del Re.
Scettro del Re.

Perché questo è il miglior zafferano

Lo zafferano viene valutato in base a 3 parametri: il potere colorante, dato dalla crocina, quello odoroso, dato dal safranale, e quello amaricante, dato dalla picrocrocina. I valori in termini comparativi dello zafferano coltivato in Italia e quello utilizzato presso la gelateria Mokambo parlano chiaro. Lo zafferano iraniano scelto dal team Paparella contiene 233 nm di crocina, quindi ha un colore più intenso, rispetto a quello noto come 1 cat. in ISO3632, che ne ha 190 nm. La quantità di safranel nello zafferano di 1 cat. in ISO3632 è di 70 nm; quello iraniano utilizzato da Mokambo arriva a 100 nm. Quindi ha un profumo più intenso. La picrocrocina dello zafferano di 1 cat. in ISO3632 si attesta tra i 20 e i 50 nm, mentre quello iraniano arriva a 35 nm. «La principale differenza tra lo zafferano made in Italy e quello che usiamo noi è la nota amara, molto marcata, quel sapore metallico della spezia», spiega Giuliana Paparella. «Il primo assaggio del nostro gelato allo zafferano è sì leggermente metallico, ma poi inizia subito a liberare note agrumate e floreali. Se lo zafferano italiano costa un terzo rispetto a quello iraniano un motivo c’è». Il prezzo della spezia italiana si attesta attorno ai 20 euro al grammo, contro i 60-70 euro di quello proveniente dall’Iran.

Un’amicizia preziosa

L’arrivo dell’attuale zafferano iraniano tra le mani di zio Franco e Giuliana è merito di Giuseppe Ladisa e Yuki D’Innocenzo, due avventurieri glocal di Bari, che nel proprio tempo libero vanno a caccia di chicche gastronomiche e no. Durante una domenica in giro tra i colli murgiani, Yuki scova la gelateria Mokambo su TripAdvisor. «All’epoca aveva solo 15 recensioni», ricorda la ragazza di origini italo-giapponesi. «Le ho lette tutte, attentamente, e ho detto a Giuseppe “Perché non facciamo un salto a Ruvo?”». Combattendo lo scetticismo, i due si dirigono verso la cittadina del nordbarese e si innamorano del gelato, della simpatia dei Paparella bros e della sagacia di zio Franco. Tornano molte altre volte. Durante uno dei loro assaggi, raccontano di essere in procinto di partire verso l’Iran. Giuliana non si fa sfuggire l’occasione e chiede a questi due clienti ormai amici di portarle un po’ di zafferano “vero”. Durante il viaggio Yuki e Giuseppe si informano sulla zona di produzione e si tengono in contatto con la gelateria. Scovato il prodotto giusto («perché in Iran il livello di contraffazione è altissimo», spiega Yuki), lo acquistano e lo consegnano ai gelatieri, che ne ricavano un gusto davvero unico. «In Iran fanno il gelato allo zafferano con pezzi di pistacchio o con l’acqua di rose. Ma ci mettono un sacco di gomma di guar, che lo rende tipo una chewing gum», spiega Giuliana, che ha fatto molto di meglio.

Gli ingredienti

Per fare lo Scettro del Re servono latte appena munto (proveniente dalla zona di Altamura, più precisamente dall’Azienda Agricola Santa Maria dell’Assunta, nel Parco nazionale dell’Alta Murgia), uova, zucchero e, naturalmente, lo zafferano. Per assaggiarlo, bisogna prenotare il gusto con tre giorni di anticipo, necessari per organizzare la lavorazione. La sola infusione dello zafferano si aggira attorno alle quattro ore. «Usiamo la parte alta, più nobile del pistillo più alto (ogni croco ne ha tre, ndr.), il sargol», spiega Giuliana. Inoltre, lo zafferano deve essere utilizzato a una temperatura non troppo alta. Dopo una mantecazione di 15 minuti nella storica Carpigiani SED L20c del 1972, il gelato allo zafferano è pronto per essere montato sul cono. Dopo aver farcito il fondo della cialda con panna e tre Pistacchi di Bronte DOP, si aggiunge il gelato e un velo di panna fresca. Non sarebbe un vero scettro regale senza un po’ di metallo prezioso: infatti, chiude la composizione un foglio di oro alimentare e qualche scaglia di zucchero caramellato. Lo Scettro del Re costa 70 euro a cono. Lo si può acquistare solo su ordinazione e per un minimo di due coni. Un’intera vaschetta da mezzo chilo costa tra i 450 e i 500 euro. Come per tutti gli altri gusti, si può ricevere anche a domicilio. L’assaggio è elegante, vellutato. Al contatto con il palato, i sentori agrumati liberano l’immaginazione: siamo nelle Mille e una notte e l’Oriente si può quasi toccare, anche da un paesino della Puglia.

Testo Stefania Leo

Cosa si mangia alla cerimonia degli Oscar?

Cosa si mangia alla cerimonia degli Oscar?

Le star attendono la premiazione a stomaco vuoto. Ma poi vengono ripagate da un menu… da Oscar, ovviamente

È quando le luci dei riflettori si spengono che il vero show ha inizio. Anche alla notte degli Oscar dove, stremati dall’ansia e dai discorsi sul palco, gli invitati possono finalmente godersi il meritato riposo e un’ottima cena. A differenza di quanto avviene alla consegna dei Golden Globe, con i candidati che banchettano intorno a tavoli rotondi già durante la cerimonia, gli Oscar prevedono che per le pietanze ci sia un momento a parte. Succede all’after party del Governors Ball: un’occasione per congratularsi con i vincitori, posare per le foto di rito e, soprattutto, mettere qualcosa sotto i denti. Ma cosa prevede esattamente un menu da Oscar?

La serata, che ogni anno ha luogo alla Ray Dolby Ballroom con circa 1500 persone fra attori, attrici, registi, produttori, candidati, star e starlettes da sfamare, permette finalmente di rifocillarsi come si converrebbe. La cerimonia al Dolby Theatre, per tradizione, li fa rimanere a stecchetto e l’unica, graditissima, eccezione è stata l’iniziativa della presentatrice Ellen DeGeneres che, nel 2014, pensò bene di ordinare pizza per tutti. A fiondarsi sui cartoni fumanti appena consegnati ci fu anche Meryl Streep, l’attrice con il più alto numero di nomination nella storia del cinema, ma che non si fece certo problemi a sollevare un trancio anche a rischio di sporcarsi il vestito. Nel 2018, lo chef Wolfgang Puck, che guida i “fornelli” degli Oscar dal 1994, ha fatto in modo che gli invitati fossero accolti da un ice bar dove erano serviti un parfait di caviale con foglie d’oro, chele di granchio reale, aragosta e capesante crude.

A seguire il menu prevedeva una tartare di manzo giapponese Wagyu con riso nero, dei tocos di taro (una tipica radice polinesiana) decorata con spicchi di lime e melanzane. Con le star, però, è meglio arrivare preparati, ed ecco anche l’opzione vegana, con la pasta al forno con tartufo tardivo e formaggio e le campanelle di spinaci fatte in casa con piselli, cipolline e pomodori al forno. Come dessert, la proposta di Puck, che a Los Angeles si è fatto un nome importante grazie al suo ristorante WP24 al Ritz-Carlton Hotel, frutto della contaminazione fra cucina californiana e asiatica, era tutto all’insegna della petite pâtisserie: macarons, tartelletes alla rosa e litchi e settemila statuette di cioccolato a forma di premio Oscar. Il classico, però, non muore mai e le immagini rubate nel 2016 di Leonardo DiCaprio che si abbuffava di donuts di granella poco dopo aver vinto l’Oscar rimarranno epiche. E che vinca il migliore.

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