Mettere l’acqua in un pentolino con un filo di olio e pochissimo sale, appena bolle, tuffare la farina e la semola con l’alga spirulina e girare energicamente con un cucchiaio di legno. Se la pasta richiede ancora farina si può mettere fino al raggiungimento della consistenza ottimale. Lasciar riposare e intanto preparare la farcia.
Procedimento per la farcia:
Grattugiare la caciotta secca, rompere le uova man mano che si assorbono, aggiungere il parmigiano grattugiato e la maggiorana. Le uova servono per dare morbidezza all’impasto e la quantità dipendono dalla stagionatura della caciotta e dalle dimensioni delle uova stesse: potrebbero bastarne anche solo tre o addirittura due, quindi si consiglia di metterle una alla volta. La consistenza deve essere simile a quella della ricotta, non molle. Trasferire la farcia in un sac à poche e tenere da parte.
Chiusura e cottura dei ravioli:
Una volta riposata la pasta, tirare la sfoglia molto sottilmente e spennellarla con tuorlo d’uovo. Fare delle palline di farcia con il sac à poche, tenendole a una distanza di circa 2cm l’una dall’altra. Coprire con un’altra sfoglia e dar forma ai ravioli. Una volta pronti, cuocere i ravioli in acqua bollente salata per circa 3-4 minuti e chiudere il piatto spadellandoli con dei pomodorini tagliati e cotti velocemente con aglio. Servire con una manciata di basilico fresco e una spolverata di parmigiano.
Seppie e piselli è il risultato del matrimonio perfetto tra il pesce e una delle primizie dellaprimavera. La ricetta è tipica del napoletano ma è diventata nel tempo un piatto classico della cucina italiana.
Si può mangiare sia caldo che tiepido, è semplice da preparare e ha il merito di esaltare sia il gusto delle seppie che quello dei piselli. Il risultato è un piatto buonissimo, ideale da mangiare come secondo ma anche come piatto unico, a pranzo o a cena, magari accompagnato da crostini di pane o mollica per fare la scarpetta, praticamente d’obbligo alla fine del pasto.
Si può gustare anche il giorno dopo averlo preparato, basta scaldarlo un po’ in padella. Il consiglio quindi è abbondare un po’ nelle porzioni così da avere qualcosa di pronto già nel frigo.
Seppie e piselli alla napoletana: la ricetta
Ingredienti
1 kg di piselli freschi (oppure 300 g piselli in scatola o surgelati) 700 g di seppie (meglio se piccole, più saporite) 300 g di pomodori pelati aglio basilico fresco olio extravergine di oliva sale pepe
Procedimento
Per preparare seppiecon piselli alla napoletana la prima cosa da fare è pulire bene il pesce e tenerlo da parte.
Se usate dei pisellifreschi eliminate il baccello e poi sbollentali in acqua salata per 5 minuti, se usate quelli in scatola o surgelati, naturalmente, saltate la prima fase.
Mettete a scaldare in una padella antiaderente dell’olio extravergine di oliva con uno spicchio di aglio, aggiungete i piselli e poi a poco a poco i pomodori pelati, pressandoli un po’ con una forchetta. Lasciate cuocere il sugo per almeno dieci minuti, il tempo necessario per eliminare un po’ di acqua in eccesso.
Aggiungete le seppie al sughetto con i piselli – avendo cura di scolare bene il pesce per non aggiungere altra acqua alla padella – e continuate a cuocere per altri 15 minuti. Servite il piatto con il sughetto che si è formato e accompagnate tutto con del pane caldo e fragrante.
Mai provati così?
Tra varianti e consigli per la degustazione, sfogliate la gallery per leggere tutto ciò che dovete sapere su seppie e piselli.
L’arte della pizza napoletana è Patrimonio dell’Umanità. «Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza», si legge tra le motivazioni con cui, l’Unesco, ha proclamato ormai già quattro anni fa “L’arte del pizzaiuolo napoletano” Patrimonio culturale dell’Umanità.
Un traguardo che ben conoscono Francesco e Salvatore Salvo, della Pizzeria Salvo (due sedi, una a San Giorgio a Cremano, l’altra alla Riviera di Chiaia a Napoli) che da anni si dedicano con passione al proprio lavoro portando avanti una tradizione che si tramanda da tre generazioni. Per farlo sono partiti dalle basi, studiando e lavorando su impasti, cotture e ingredienti, sviluppando idee gastronomiche e imprenditoriali, guardando avanti e guardandosi attorno, forti anche di questo importante riconoscimento.
Niente “schiaffi”
«La manualità del pizzaiolo è stata per troppo tempo dimenticata. Ma è proprio l’artigianalità che ha reso unica l’arte della pizza napoletana». Tutti abbiamo in mente il pizzaiolo che fa volteggiare il disco di pizza, quasi come se lo prendesse a schiaffi. «Occhio però, la pizza non si schiaffeggia», sottolinea Salvatore Salvo. Nella memoria di Salvatore c’è il padre, cui deve tutto, ma anche un ricordo recente. «Durante il convegno Pizzaformamentis di qualche anno fa chiesi al professore enologo campano Luigi Moio quale fosse per lui il terroir della pizza; “nella vostra arte”, mi rispose». Cosa intendesse era più sottile di quel che sembri. «Il nostro terroir è la capacità di manipolazione, qualcosa che si apprende dopo 10-12 anni, quella che a me piace chiamare “bottega”». Eppure non è sempre stato così. «Oltre 50 anni fa, l’impasto era difficile da stendere perché si utilizzavano il più delle volte lievitazioni sommarie o con farine catalogate dai pizzaioli come “nazionali”, ma con una scarsa predisposizione a tenere dei punti di bassa lievitazione. Poi negli anni 80 e 90 questa capacità si è persa a favore di impasti più facili da lavorare, che non richiedevano chissà quale manualità, la bottega non serviva più», ricorda sconsolato Salvo. «Persino mio padre mi insegnava cosa fosse l’idratazione, usando esempi empirici non tecnici: “l’impasto s’adda fa’ muoll” diceva, solo dopo ho capito che l’acqua all’interno aumenta i processi chimici e favorisce la qualità enzimatiche di lievitazione. La pizza diventa più soffice, “si squaglia in bocca, non viene ammazzaruta”. Termini dialettali che oggi io stesso non saprei tradurre».
L’arte di stendere la pizza napoletana
Tra le cose fondamentali e più difficili da imparare per Salvatore Salvo c’è stata proprio l’arte del saper stendere la pizza. «Il terroir della pizza è la capacità di fare centinaia di pizze all’ora, saperle stendere e cuocere al meglio, un lavoro meccanico fatto con le mani, che si impara con l’esperienza. Lo stesso punto di pasta, che si traduce in un numero (che per me non ha senso: per esempio 69, 67, 71)in realtà nasce nelle mani del pizzaiolo, che si rende conto di quanta idratazione ha l’impasto sentendolo più appiccicoso, elastico, sensibile e, nonostante il supporto di tante tecnologie moderne, intervenendo in maniera empirica».