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Ricetta Polenta dura – La Cucina Italiana

Ricetta Polenta dura - La Cucina Italiana
  • 250 g farina di mais gialla
  • 8 sale
  • Parmigiano Reggiano Dop

Versate la farina in 1 litro di acqua bollente salata e mescolate con una frusta fino a quando il composto non avrà ripreso il bollore.
Abbassate la fiamma al minimo e cuocete con un coperchio per 40 minuti.
Versate la polenta in uno stampo da plum cake foderato con la pellicola e fatela raffreddare.
Tagliate a fette la polenta, abbrustolitela sulla griglia e servitela con pezzetti di parmigiano.

Ricerche frequenti:

i frutti esotici coltivati a Bergamo. Ma non solo

i frutti esotici coltivati a Bergamo. Ma non solo

Lo sapevate che in realtà solo quattro frutti sono d’origine europea? Ecco perché il Tropico dei Colli ha iniziato a coltivare in Italia alcune varietà esotiche finora sconosciute

In provincia di Bergamo c’è un’azienda, Tropico dei Colli, che sta rivoluzionando il mondo dei frutti esotici in Italia. Infatti, se molti più frutti di quelli che pensiamo non sono originariamente europei, perché non provare a coltivare anche altre varietà, fino a qualche anno fa impensabili? Più o meno è così che è nata questa giovanissima azienda, che ha giustamente anche vinto diversi premi per l’innovazione del prodotto nel settore agroalimentare.

La nascita dell’azienda

Mirko Roberti nasce a Osio, in provincia di Bergamo, e fin da piccolo nutre una passione viscerale per le piante e in generale il mondo della natura. Per anni si dedica alla collezione di alcune varietà rare, poco conosciute in Europa, ma che secondo i suoi studi sarebbero potute crescere ugualmente. «Non vedevo l’ora di assaggiare i frutti che avevo piantato, di sentire come venivano in un territorio diverso». E da questi primi esperimenti (riusciti), capisce che cosa vuole fare nella vita: progettare parchi e giardini utilizzando piante esotiche, che sono più resistenti, necessitano di meno trattamenti e hanno una bella fioritura. Così si iscrive ad Architettura Ambientale al Politecnico di Milano ed è proprio durante questi viaggi da pendolare che conosce Giulia, studentessa di Agraria, che faceva lo stesso percorso per andare all’Università. I due scoprono subito di avere talmente tante cose in comune che nel giro di poco decidono di provare a coltivare frutti esotici e di aprire un’attività insieme: ecco come nasce il Tropico Dei Colli. «Alla fine non ho nemmeno finito gli studi», racconta Mirko, «perché mi sono buttato a capofitto in questa cosa». Il punto iniziale di tutto è stato la scoperta che ad avere un’origine europea sono in realtà pochi frutti, come prugne, ciliegie, castagne e alcuni piccoli frutti come ribes, lamponi e more (anche se sul tema ci sono opinioni contrastanti). Quindi se altri frutti non sono originariamente europei, ma fanno ormai parte della nostra alimentazione, e soprattutto cultura, perché non essere pionieri e iniziare a coltivare in Italia anche altre varietà? Dopo vari studi e tentativi, individuano alcuni frutti che crescono in luoghi dove il clima è molto simile al nostro. E nel 2015 piantano i loro primi frutti esotici su una superficie di circa due ettari sui Colli di Bergamo, senza l’utilizzo di alcun trattamento. Perché, alla fine, questi frutti ritenuti esotici finiscono per essere più sostenibili di molti ritenuti locali che consumiamo abitualmente, ma che in realtà subiscono trattamenti continui, con un impatto negativo sull’ambiente.

I frutti esotici del Tropico dei Colli

I frutti esotici piantati dal Tropico dei Colli sono principalmente tre. Uno è la feijoa, il frutto nazionale della Nuova Zelanda, molto diffuso anche in Georgia e Azerbaigian, così come in Sud America, sugli altopiani montani di Brasile, Uruguay e Argentina. Eppure Mirko aveva notato la sua presenza anche sul Lago di Garda e in Toscana, perché, ci spiega, «cresce dove cresce l’ulivo, con l’esigenza di un agrume, quindi è perfetto per il nostro territorio». Si tratta di un frutto molto profumato, che ricorda un po’ il lime e il limone, perfetto per cocktail, gelati e sorbetti. Poi c’è il kiwi arguta rosso, chiamato mini-kiwi, che si trova nell’estremo Oriente, in particolare in Corea e  nel nord della Cina. È caratterizzato da una buccia rossa che indica la maturazione, per cui è facile capire quando è il momento di iniziare la raccolta, di solito tra fine agosto e settembre. Inoltre, la sua buccia è talmente liscia e sottile che si mangia, infatti viene anche chiamato «il kiwi che non si sbuccia»; la polpa al suo interno, dolce e succosa, ricorda un po’ la ciliegia. E infine l’asimina, che si raccoglie nello stesso periodo, quando è molto cremosa e si può mangiare al cucchiaio nel pieno della sua maturazione. È un piccolo albero che ha origine negli Stati Uniti, in particolare sul bacino del Mississippi, dove attualmente lo stanno riscoprendo anche lì. Ma non finisce qui: «Stiamo lavorando su una produzione di mirtillo siberiano, diverso da quello classico, ma con un buon potenziale vista l’alta quantità di vitamine concentrate. Inoltre ha un sapore molto intenso, che ricorda un po’ un insieme di frutti selvatici, una vera esplosione di aromi in bocca». E la ragione del successo di questi frutti è proprio questa: oltre a essere prodotti localmente in modo sostenibile, sono prima di tutto e soprattutto gusti nuovibuoni da mangiare.

Dove, quando e come trovarli

Questi frutti ormai li trovate anche in altre regioni, perché nel tempo un numero sempre crescente di aziende agricole ha iniziato a informarsi, seguire le loro orme e coltivare questi frutti. Così, nel giro di pochi anni, Mirko e Giulia hanno capito che l’unione sarebbe stata la loro forza e hanno reso il Tropico dei Colli un marchio nazionale, a cui è possibile affiliarsi, tant’è che oggi hanno una rete di circa cinquanta realtà tra Lombardia, Piemonte, Veneto e Emilia Romagna. Come “azienda madre” Tropico dei Colli, si occupano di seguire passo per passo la gestione dell’impianto, scegliendo insieme i frutti più idonei al tipo di terreno, al territorio e al clima, fornendo tutto il necessario fino all’organizzazione della raccolta e al ritiro della merce. L’importante, sottolinea Mirko, è che continuino a essere fedeli alla filosofia d’origine, cioè a coltivare (in Italia) piccoli appezzamenti di frutti esotici, senza trattamenti che abbiano un impatto negativo sull’ambiente e che siano quindi il più biologici possibile. Inoltre, continua Mirko, «i nostri prodotti si trovano solo ed esclusivamente nel periodo di maturazione, che va da settembre a dicembre, perché è fondamentale mangiare frutti di stagione». Nel periodo giusto, quindi, li trovate sia online, che in vari mercati, basta seguirli sulle varie pagine social per sapere dove si trovano. Ma in realtà ci sono delle novità: Mirko sta portando avanti un’innovazione nell’azienda con la creazione di un sistema dati estremamente all’avanguardia, che renderà tutta la rete del Tropico dei Colli più unita e connessa, tanto nella gestione quanto in quello che continua a essere l’intento, ovvero produrre frutti esotici biologici in Italia.

la bibbia per i veri appassionati

la bibbia per i veri appassionati

Nella biblioteca dei veri appassionati di alta cucina c’è un nuovo libro che non potrà mancare: Tre Stelle Michelin, Enciclopedia dell’alta ristorazione mondiale con la storia dei 286 tristellati dal 1933 al 2020, edita da Maretti. Dire enciclopedia è tuttavia riduttivo, anche perché porta con sé un’aura di noia. Al contrario, questa è una piacevole lettura che attraverso la sconfinata cultura dell’autore riesce a fare una fotografia dell’alta ristorazione moderna, ma anche futura. L’ha scritta infatti un uomo che probabilmente avrebbe potuto entrare a buon titolo nel Guinness dei Primati, perché fino al 2007 era stato sempre in pari con le nuove assegnazioni delle tre stelle Michelin. Lui si chiama Maurizio Campiverdi, aka Maurice Von Greenfields, ed è il nonno, o il papà, che tutti i gourmet vorrebbero avere per andare sempre nei ristoranti migliori.

La passione di una vita

Primo ristorante tristellato a 12 anni. «Ero con papà in un viaggio d’affari. Eravamo in Francia, in Provenza: rimasi stordito dalla magnificenza di quella esperienza e fu come un’iniziazione che ti cambia il resto della vita», racconta Campiverdi. Bolognese, capitano d’azienda nella vita reale, Campiverdi ha la passione viscerale per la cucina e ha dedicato alla ristorazione e ai viaggi tutto il suo tempo libero, diventando accademico della cucina italiana, nonché possessore di una delle collezioni più grandi di menu che hanno fatto la storia. Ogni anno, quando la Rossa presentava le guide, lui metteva in carnet tutti i ristoranti per cui “vale il viaggio”, si organizzava e partiva. Dopo l’allargamento della Michelin verso Oriente, per sua stessa ammissione, l’autore ha dovuto mollare il tiro, ma vanta comunque il venerabile record di 194 ristoranti insigniti delle 3 stelle visitati nella sua vita, su 286 riconoscimenti assegnati in totale dalla guida. Nel libro, i tristellati che Campiverdi non ha potuto censire personalmente sono segnalati con la sigla N.V. (non visitato).

Tre stelle vuol dire esperienza

Inutile che i curatori della guida Michelin insistano sulla centralità della cucina, per Campiverdi è inverosimile che quella sia solo una componente, fondamentale, certo, ma non l’unica. Ci sono tristellati che Campiverdi definisce «culinary performance», come l’Ultraviolet di Shanghai: «Uno spettacolo di arte varia», lo definisce l’autore, «nel quale è coinvolta anche la gastronomia». Senza contare inoltre che l’esercizio di giudicare un locale, a qualsiasi livello, ha comunque una componente personale, influenzata perfino dall’umore del momento. Come dice Campiverdi, per andare in un qualsiasi ristorante, specialmente se si tratta di un tristellato dove si pagherà anche un bel po’, «bisogna essere di buonumore, andarci con entusiasmo e in buona compagnia». Perché basta poco per rovinarsi l’esperienza.

I piatti devono essere memorabili

Una chiacchierata con Campiverdi, per un appassionato di cucina, non stancherà mai, perché il buon Maurizio ha un bagaglio di aneddoti da raccontare per settimane. Come dimostra nel suo libro, una vera bibbia per appassionati, dei ristoranti ricorda benissimo lo chef, le atmosfere e, se lo meritano, anche i piatti. Perché è quello in fondo il confine: «Se uno chef ha davvero fatto centro ricordi anche i piatti che hai mangiato da lui».

Alta cucina ai tempi del Covid

Che la pandemia abbia dato un colpo di grazia al turismo in generale e con questo anche al settore della ristorazione è indubbio. Tuttavia Campiverdi è fiducioso che la paura cederà il passo alla voglia di concedersi piaceri edonistici. Magari allontanandosi un po’ meno da casa, ma in Italia ci sono ben 11 tristellati e si potrebbe pensare che è il momento giusto per approfittare di qualche posto liberatosi nelle lunghe liste d’attesa. C’è anche, fa notare Campiverdi, chi sta proponendo menu scontati per attirare la clientela. È il caso di Niko Romito con il suo menu dei vent’anni 20Reale20 a 150€: «Un’occasione da non perdere».

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