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Amari Calabresi: i migliori del mondo

Amari Calabresi: i migliori del mondo

Se l’Italia fosse un liquori, sarebbero gli amari. Gli amari sono infatti i liquori identitari della cultura italiana e l’amaro è il gusto che più rappresenta la nostra cucina. Dai vini aromatizzati con erbe e spezie degli antichi romani fino ai monaci medievali e poi ai bitter come il Campari, amaro è una parola italiana che non viene neppure tradotta all’estero e che descrive una peculiare tipologia di liquori alle erbe. Li beviamo in Italia, in Europa e anche negli Stati Uniti: «La tradizione europea di fare liquori agrodolci, chiamati amari in italiano, esiste da secoli. Ma è solo di recente che questi digestivi erbacei sono passati dal retro di bar polverosi al centro della scena negli Stati Uniti e sono diventati un ingrediente chiave nelle liste dei cocktail nei migliori bar e ristoranti del paese», scrive Brad Thomas Parsons nel best seller Amaro: The Spirited World of Bittersweet, Herbal Liqueurs with Cocktails, Recipes, and Formulas

Il ritorno al gusto italiano

L’Italia ha una propria geografia di amari: ci sono gli amari di montagna, quelli dei Carabinieri, della Polizia, dei monaci e quelli dei ciclisti. Quelli che permettono di assaporare il gusto pieno della vita e quelli che non sai perché perché perché non bevevi prima, come Raz Degan nel celebre spot degli anni Novanta. Ma se si dovesse dire oggi la regione regina degli amari, questa sarebbe senza dubbio la Calabria, patria dell’amaro più bevuto in Italia e di un rinascimento di micro produzioni e nuove bottiglie. «In Italia, tutta la crescita del comparto Amari è trainata da Vecchio Amaro del Capo come dimostrano in modo inconfutabile i dati ufficiali», aveva dichiarato Caffo in occasione del Vinitaly 2022 facendo riferimento al primato che vuole l’etichetta di punta della Distilleria F.lli Caffo coprire il 35% delle vendite degli amari al supermercato. Nel 2021, secondo i dati IRI, l’intero segmento Amari cresce del 6,7%, trainato proprio dal +12.2%. C’è in atto un revival dei liquori vintage e di bottiglie appannaggio dei salotti della nonna che oggi sono al centro di un rilancio commerciale e di consumi di liquori a base di liquirizia, anice, amaretto e sambuc; e, giurano gli analisti, non è colpa (o mertito) del lockdown, bensì di un ritorno al gusto italiano di un tempo.

Gli specialisti degli amari

La storia di Caffo comincia in Sicilia, alle pendici dell’Etna, come produttori di liquori ottenuti da antiche ricette e oggi dopo un secolo si confermano gli specialisti degli amari e detengono il 40% (dato Iri Infoscan) dei consumi degli amari in Italia. Merito dell’Amaro del Capo, che deve il nome a una località poco distante dalla sede della distilleria, Capo Vaticano. A Limbadi in Calabria Caffo ha il più grande stabilimento per la produzione di alcolici del meridione. Ma Caffo ha anche acquisito marchi storici come l’olandese Petrus Boonekamp, Ferro China Bisleri, liquore usato per la malaria e l’anemia, l’Elisir S.Marzano Borsci, Specialità Orientale, insieme all’aquila bicipite, simbolo dell’Albania, patria di origine della famiglia Borsci prima di trasferirsi in Puglia, e l’ultima sfida, il ligure Amaro di Santa Maria al Monte. Tradizione e innovazione, perché la nuova Red Hot Edition di Amaro del Capo, piccante, vola con un +1238% raggiungendo, in un anno circa, il quattordicesimo posto nella classifica nazionale degli amari.

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7 cocktail per svuotare le bottiglie dimenticate

Biodiversità e monachesimo

Se Amaro del Capo sta tirando un intero settore, la storia degli amari in Calabria è ben più radicata, strettamente connessa alle tinture medicinali prodotti dai monaci nei monasteri e dai primi farmacisti quando la scienza era solo quella erboristica. Perché in Calabria c’è questa tradizione così radicata? L’ho chiesto al botanico, etnobotanicocalabrese Carmine Lupia, consulente per il foraging nelle cucine del Praia Art Resort di Capo Rizzuto e come consulente botanico dalle distillerie. «C’è una sovrapposizione di ragioni. La Calabria è una terra con una grande biodiversità e con una grande tradizione storico culturale dovuta alla presenza del monachesimo orientale, ossia quello proveniente dalla Siria, dalla Turchia, dalla Grecia e dal Nord Africa, e quella del monachesimo latino». Questi due fattori sono alla base del primato della Calabria come terra di amari. «La Calabria ha una grande biodiversità: è stretta è lunga, ha due mari, montagne alte duemila metri, spiagge; ma soprattuto in una regione condensa tutte le fasce fito-climatiche del pianeta. Si va dal palmetum, la fascia tropicale, fino al faggetum e poi all’alpinetum proprio dei territori polari e dell’alta montagna». Si va quindi dal microclima tropicale umido fino ai boschi di sempreverdi, e le erbe che si possono raccogliere sono moltissime. Ma non solo: è ricca di piante endemiche, esclusive di queste terre, il che rende possibile fare amari molto diversi da quelli delle altre regioni.

Il rilancio degli amari: freddi e miscelati

Gli amari tornano in auge, ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa: infatti se le formule antiche restano sempre le stesse, cambiano le modalità di consumo e di servizio. Meno bar e partite a briscola e invece temperature gelide e miscelazione. L’Amaro del Capo si è imposto sul mercato servito a una temperatura ghiacciata, dal freezer, e per stimolare i consumi e la diffusione si guarda alla miscelazione. Si è svolta a luglio 2022 la prima edizione dell’evento “Amara Calabria” che si è tenuto a Reggio Calabria al Piro Piro, lido tra i più belli del Sud Italia sul lungomare Falcomatà. «L’Amaro Silano ha più di 150 anni , è dal 1884 che l’Amaro Calabrisella tramanda una ricetta benedettina, la Tedesco Liquori è un marchio che esiste e resiste dal 1908 mentre risale al 1915 la nascita del Gruppo Caffo e, ancora, l’Azienda Moliterno dal 1938 perpetua il lavoro delle Reali Distillerie Borboniche. E questi sono solo degli esempi», mi spiega Giovanna Pizzi, che ha ideato l’iniziativa. «Prima che siano gli altri, fuori dai confini regionali, ad accorgersene e comunicarlo, si è deciso di focalizzare questa tendenza produttiva, quella degli amari in Calabria, organizzando un contest che rendesse giustizia a una tradizione che affonda le radici nei secoli scorsi e che negli ultimi anni sta rivivendo una sorta di nuova giovinezza», spiega la promotrice del concorso. «Sapori in grado di stupire, grazie all’infinita tipologia di erbe officinali, agrumi unici, spezie, semi e radici, appunto, che permettono di comporre ricette fantastiche e mai banali». 
Davanti a una giuria di esperti si sono sfidati venti bartender: vincitore Valerio Cutellè con il drink Trigulu a base di rum Sailor Jerry, Amaro del Capo, una banana in osmosi col pimento e gassosa al caffè (altro prodotto tipico calabrese). «È in vero e proprio fenomeno quello della produzione degli amari in Calabria che ha visto negli ultimi anni nascere decine di aziende, piccole, medie o grandi che siano, che hanno affiancato quelle storiche che raccolgono l’eredità delle produzioni del Regno Borbonico o le ricette delle abbazie dei monaci o quelle delle antiche farmacie».

Sfatiamo un mito: non sono digestivi

Gli amari sono ottimi da bere, ma non fanno bene. L’Amaro Partigiano fa digerire tutto meno i fascisti? La leggenda che li vuole digestivi purtroppo non è realtà. Al contrario: l’alcol è un potente irritante per lo stomaco, e, parlando di erbe, genziana, tarassaco, achillea e altri ingredienti che spesso si trovano negli amari hanno effettivamente proprietà digestive, ma andrebbero assunte prima dei pasti, non dopo. Per digerire, i consigli degli esperti dicono meglio evitare alcolici o bibite gassate e meglio invece fare una passeggiata. In quanto a tisane, però, proprio un marchio storico come quello dell’amaro Bisleri firma oggi una linea di bibite con agrumi di Calabria, acque toniche a base di china e sei diversi tipi di tisane alle erbe, fra cui quella (davvero) digestiva.

Una selezione di bottiglie, pluripremiate, di amari calabri

Gateau, gattò o gatò di patate: come si dice in modo corretto?

La Cucina Italiana

Sformato a base di patate dal cuore filante e la caratteristica crosticina croccante gratinata, il gateau di patate può essere un piatto unico, un contorno o un cibo da aperitivo. Ma qual è l’origine del suo nome?

Gateau o gattò di patate? Ecco l’origine del nome

Il gateau di patate nasce in Francia nel ‘700 e come suggerisce la traduzione del nome si tratta di una letterale torta di patate fatta di soli 4 ingredienti: patate, sale, pepe e burro. Nel 1768 i cuochi francesi vennero chiamati dalla regina Maria Carolina d’Asburgo, moglie di Ferdinando IV di Borbone, nel Regno di Napoli affinché la regnante potesse gustare le loro prelibatezze. La brigata di cucina tuttavia era mista: i cuochi partenopei lavoravano a stretto contatto con i cuochi francesi, i cosiddetti monsieurs, che ben presto vennero soprannominati monzù in dialetto napoletano.

A essere soprannominati però non furono solamente i cuochi francesi. Ben presto infatti i cuochi napoletani rivisitarono la ricetta del gateau di patate farcendolo con ingredienti tipicamente italiani quali la mozzarella fior di latte, il salame napoletano e il prosciutto cotto e lo rinominarono gattò di patate napoletano. Qualcuno in Italia lo chiama anche gatò di patate che è un’ulteriore italianizzazione del termine francese, un po’ come successe con la storia del ragù.

Concludendo quindi, si può dire che tutti e tre i termini sono corretti, dipende dal contesto in cui vengono utilizzati, magari al ristorante troveremo scritto gateau sul menù, mentre in un contesto meno formale lo troveremo scritto come gattò.

Gattò di patate: le varianti

Per provare a cucinare il gattò di patate napoletano consultate la nostra ricetta originale del gattò di patate che prevede tra gli ingredienti anche parmigiano reggiano e uova, mentre se amate sperimentare vi consigliamo il gattò di patate e cotechino e il gattò di patate e carote.

Per la forma da dare al vostro gattò potete decidere: c’è chi lo fa alto e chi basso, chi rotondo come una vera e propria torta e chi rettangolare. L’importante è che la superficie sia dorata e croccante e il ripieno bello ricco! Considerate infine che il gattò è un piatto che può essere preparato in anticipo e che potete conservare in frigo sia crudo, già assemblato in teglia pronto da cuocere, sia cotto. Il giorno dopo, riscaldato in forno o al microonde è ancora più buono.

Sfogliate la gallery per altri suggerimenti:

Tra Napoli e Salerno, dove fare la spesa dai limoni alle alici

La Cucina Italiana

Dove> Corso Umberto I, 64 – 84010 Cetara (Sa), Costa d’Amalfi
nettunocetara.it

Azienda Agricola Raffaele Palma

L’Azienda è situata nelle incantevoli terre della Costiera Amalfitana. Nata nel 2005 dal proprietario Raffaele Palma su terreni impervi che si innalzano sino a 450 metri sul livello del mare  per produrre prodotti quali vino, limoni e olio prodotti in totale regime biologico. L’Azienda ha messo in atto una politica di preservazione del territorio, riportando alla vita produttiva oliveti e agrumeti abbandonati e impiantando vigneti, nel pieno rispetto della flora e della fauna presente nell’areale incontaminato circostante la zona agricola. La conduzione aziendale è totalmente all’insegna dell’eco-compatibilità.

Dove> Via Arsenale, 8 – 84010 Maiori (SA)
Tel +39 335 76 01 858
raffaelepalma.it

Marisa Cuomo

Siamo nella Costa d’Amalfi, dove troviamo una suggestiva cantina scavata nella roccia cantina di vino della zona. Dal 1980, anno della sua fondazione, Cantine Marisa Cuomo è l’azienda vinicola di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo che si estende lungo 10 ettari di territorio, dove i due scelgono di puntare sulla qualità con vini dal sapore unico e straordinario come il territorio della costa di Furore. La roccia della Costa d’Amalfi custodisce i vini Gran Furor Divina Costiera. Affacciate sul mare a 500 metri di altezza, le Cantine Marisa Cuomo dominano una parte della Costa di Amalfi.  I suoi vini sono disponibili in un percorso degustazione o da comprare direttamente in cantina.

Dove> Via Giambattista Lama, 16/18, 84010 Furore SA
Telefono: 089 830348
marisacuomo.com

Terra amore e fantasia

Sabatino Abbagnale è un personaggio unico, di rara simpatia e vitalità, che vi accoglierà sempre come foste famiglia. L’azienda, a carattere familiare, nasce circa dieci anni fa i cui obiettivi sono rivalutare l’economia agricola del nostro paese e costruire un futuro di speranza.
L’agricoltura è sempre stata l’attività dei nonni e la principale fonte economica del territorio. Oggi l’azienda produce tra altri prodotti tipici del nostro territorio, pomodori San Marzano, pomodorini di Gragnano, carciofi violetti di Castellammare, fagioli mustaccielli, piselli cornetti di Gragnano. Si possono acquistare conserve e passate, di quelle che raramente avete assaggiato!

Dove>  Via de Luca, 23, 80057  Napoli 
Telefono: 081 873 5300 / +39 347 113 5440
terraslow.it

Pastificio Afeltra

Il Premiato Pastificio Afeltra venne fondato nel lontano 1848 da Vincenzo Afeltra, quando la lavorazione della pasta rappresentava il fulcro dell’economia di Gragnano, piccolo comune ubicato nei pressi di Napoli, in Campania. Il Pastificio Afeltra è noto per la qualità della sua pasta di Gragnano, prodotta a partire da farine di grano duro, con l’uso di acqua pura dai Monti Lattari e un processo che prevede una lenta essiccazione, che consente di preservare il sapore del grano e le qualità alimentari del glutine. 
A Gragnano potrete trovare lo shop dove comprare la pasta!

Dove> Via Roma, 8, 80054 Gragnano 
Telefono: 366 211 0539
astificioafeltra.it

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