Tag: ricette francesi

» Flan parisien – Ricetta Flan parisien di Misya

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Innanzitutto preparate la pasta brisée: mettete tutti gli ingredienti in una ciotola e lavorate velocemente fino ad ottenere un panetto omogeneo, quindi copritelo con pellicola trasparente e fate riposare in frigo per 1 ora.

Iniziate ora a preparare la crema: sbattete le uova con lo zucchero, poi incorporate anche maizena e aromi.

Incorporate il latte bollente a filo, mescolando costantemente con una frusta per non far venire grumi, quindi trasferite sul fuoco e cuocete finché non si sarà addensato, sempre mescolando.
A fine cottura togliete dal fuoco, aggiungete il burro e mescolate.

Riprendete l’impasto e stendetelo in una sfoglia abbastanza sottile, con cui dovrete foderare lo stampo imburrato e infarinato.
Rifilate i bordi e bucherellate il fondo con i rebbi di una forchetta.

Versate la crema nel guscio, livellate la superficie e cuocete per 30-35 minuti a 200°C, in forno ventilato già caldo.
Una volta cotto, aprite lo sportello del forno e lasciatelo riposare per 5-10 minuti prima di estrarre lo stampo (deve iniziare a sgonfiarsi).

Il flan parisien è pronto: lasciatelo raffreddare completamente prima di tagliarlo a fette e servirlo, meglio se ben freddo di frigo.

Ricerche frequenti:

» Biscotti festa del papà

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Preparate la pasta frolla, semplicemente unendo tutti gli ingredienti in una ciotola (con il burro freddo a tocchetti) e impastare fino ad avere un panetto omogeneo, che avvolgerete con pellicola trasparente e farete riposare in frigo per almeno 30 minuti.

Riprendete la frolla e stendetela in una sfoglia non troppo alta (circa 1 cm).

Usate delle formine apposite o ritagliate i biscotti a mano usando un coltello a lama liscia e la vostra fantasia.
Disponete i biscotti sulla teglia rivestita di carta forno e cuocete in forno ventilato preriscaldato a 180°C per circa 10 minuti o finché i bordi non saranno dorati, quindi sfornateli e lasciateli raffreddare completamente.

Preparate la ghiaccia reale: unite zucchero e albume in una ciotola e mescolate fino ad ottenere un composto uniforme, quindi dividetela in ciotoline diverse e unite in ognuna un colorante alimentare, mescolando (mi raccomando, usate cucchiai diversi, per non contaminare i colori) fino ad ottenere colori uniformi, quindi trasferite le varie glasse in diverse sac-à-poche con foro piuttosto piccolo.

Glassate i biscotti a piacere, quindi fate asciugare completamente la glassa.

I biscotti festa del papà sono pronti, non vi resta che stupire i vostri papà.

Un pranzo artistico memorabile | La Cucina Italiana

La Cucina Italiana

Era l’inizio degli anni Duemila. Critico agli esordi, ero stato chiamato da una galleria d’arte milanese a redigere il testo di presentazione della mostra di Wolfgang Laib (1950), un artista tedesco che ha raggiunto fama internazionale sposando forme elementari e simboliche – il quadrato, l’ovoide, la ziqqurat – con materiali viventi come polline, latte, riso, cera d’api, insieme ad altri più tradizionali come il legno e il marmo; una poetica, la sua, ispirata tanto al Minimalismo quanto alla spiritualità orientale. Al posto della classica introduzione al catalogo avevo fatto un florilegio di citazioni molto eterogenee – da Novalis a un manuale di apicoltura –, accostandole a una serie di immagini che riecheggiavano le creazioni dell’artista. Il gioco colto gli piacque, tanto che mi disse: quando vuoi vieni a trovarmi a casa. Intendeva la sua casa in un paesino a nord del lago di Costanza, dove passa la primavera e l’estate per raccogliere i pollini necessari al suo lavoro; mentre per il resto dell’anno abita nell’India meridionale, dove ha viaggiato a lungo da giovane.

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Champagne, alta cucina e arte

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Non senza emozione, avevo accettato quell’invito per me così prestigioso e avevo chiesto a un’amica di Stoccarda che studiava arte contemporanea, Heike, di accompagnarmi. A sorpresa, lei si dimostrò riluttante, sostenendo – bizzarra idea, frutto della sua insicurezza – che gli artisti tedeschi detestassero gli studenti d’arte contemporanea. La persuasi dicendo che la visita sarebbe stata un breve saluto. Invece, una volta arrivati, Laib e sua moglie Carolyn, felici della visita, ci invitarono a pranzo. Il luogo era di una bellezza davvero fuori dal comune. La casa, collocata sul versante di una bassa collina, aveva un’impronta modernista che mi ricordava la «Casa sulla cascata» di Frank Lloyd Wright; più in basso c’erano un casolare tradizionale dove vivevano i genitori di lui e, in un fienile ristrutturato, lo studio. Gli spazi interni coincidevano con il senso del suo lavoro artistico: nudi pavimenti di granito, rari mobili, poche e intense opere d’arte: un frammento di calligrafia islamica, un piccolo dipinto su tavola toscano del Trecento, un meraviglioso Kounellis. E poi c’erano grandi vetrate aperte sul paesaggio, che lo rendevano bello e astratto come un paravento giapponese.

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Cucina e arte: Chef Giuseppe Bruno, patrimonio Italia a New York

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Il pranzo (rigorosamente vegetariano): a terra, scalzi, su una stuoia, senza altre posate che il cucchiaio per sorbire una zuppa di pasta, latte e menta. Poi la mia memoria salta a delle arance tagliate a fette e dei pezzi di cioccolato. In mezzo forse c’era qualcos’altro, ma io ero emozionato e l’ho cancellato. Per di più ero teso a evitare le goffaggini di chi mangia in una posizione del tutto insolita. E poi ero imbarazzato dalla mancanza di convivialità della mia amica: palesemente a disagio, parlava a monosillabi. E, dato che in quella casa nessuno fumava, pur essendo una fumatrice accanita non osava accendersi una sigaretta. Di lì a poco le arrivò un altro colpo: la signora raccontava di come fosse dispiaciuta perché la figlia adolescente era sempre vestita di nero in quella casa dove tutto era un inno alla luce e al colore. E la mia amica indossava un abito lungo, ampio e… nero!

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Idee per una cena vegetariana: 20 portate da provare

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Il cioccolato tornò nel pomeriggio insieme al tè, a conclusione del momento più alto di quella giornata: l’artista ci mostrò le sue opere nello studio mentre la luce del giorno pian piano svaniva, fino a quando, per lasciarle vivere ancora qualche istante, accese un’alta e sottile candela di cera candida appoggiandola direttamente sul pavimento. Il tutto, nel più grande silenzio.
«Fermatevi a cena!», esclamarono a un certo punto i padroni di casa. Ma io non volevo abusare della pazienza della mia accompagnatrice. Uscendo, tutto imbevuto della nobiltà del luogo, ero pieno di alti pensieri che spaziavano fra Goethe e Gandhi. Eravamo appena saliti in macchina che Heike, esasperata, sbottò: «Grazie a Dio è finita! Adesso ti porto a Stoccarda, nel quartiere delle prostitute, a mangiare hot dog, fumare e rintronarci di musica techno». Anche per lei, a suo modo, era stata una giornata memorabile…

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