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Alessandro Borghese 4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano della Costa Azzurra

Alessandro Borghese 4 Ristoranti: il miglior ristorante italiano della Costa Azzurra

Riparte dai colori mediterranei, dal mare cristallino e dalle atmosfere glamour della Costa Azzurra il viaggio di 4 Ristoranti. Questa volta, Alessandro Borghese, con il suo van, è andato alla ricerca del miglior ristorante italiano fra i tanti che sorgono su quel tratto di costa, famoso in tutto il mondo, che va da Mentone e Cassis e attraversa località iconiche come Saint Tropez, Nizza e Cannes.

Le regole di 4 Ristoranti sono sempre le stesse, tranne una: il piatto special non è più solo in valutazione di Alessandro Borghese, ma anche dei 4 ristoratori partecipanti. Tornando alla formula base del format tv, ciascuno dei quattro ristoratori in gara invita nel proprio locale gli altri tre pretendenti, accompagnati da chef Alessandro Borghese, che prima di sedersi a tavola ispeziona la cucina del locale per assicurarsi che tutti gli elevati standard della ristorazione vengano rispettati. La valutazione continua durante il pasto: i commensali assegnano un punteggio da zero a dieci ad accoglienza, servizio e preparazione. E valutano anche un piatto speciale, diverso di volta in volta, che in Costa Azzurra è stato la pasta allo scoglio, un simbolo della tradizione culinaria. Il giudizio di chef Borghese, però, viene svelato solamente alla fine.

Qual è miglior ristorante italiano della Costa Azzurra?

Nella prima puntata della nuova stagione di 4 Ristoranti, al primo posto si è classificato il Villa Marina Salvatore, a Villeneuve – Loubet, che si distingue per la freschezza suo ingredienti: il titolare, Salvatore, tratta personalmente con i pescatori della baia per ottenere il pesce migliore. Al secondo posto si è piazzato il ristorante Tina 33, che si trova in una delle vie più centrali di Cannes: l’orgoglio della titolare, la napoletana Tina, è proprio la sua pasta. Terzo classificato, Chez Vincent-Le Bord de Mer, ristorantino a bordo mare a Juan Les Pins, frazione balneare di Antibes. Vincent, il proprietario, ha origini calabresi e, per tutta la vita, si è dedicato alla ristorazione. Chiude la classifica il Diva Restaurant, situato nel porticciolo di Saint Jean Cap Ferrat: il titolare, Francesco, accoglie spesso vip in vacanza nel suo locale.

Venezia: spaghetti aglio, olio e peperoncino speciali (e non solo)

Venezia: spaghetti aglio, olio e peperoncino speciali (e non solo)

Dove ho mangiato i migliori spaghetti aglio, olio e peperoncino? A Venezia, sì.

Venezia è un museo a cielo aperto che affascina per le bellezze del passato e una città con lo sguardo rivolto al futuro, impavida e fiera come solo la Serenissima sa essere. Al The Gritti Palace, A Luxury Collection Hotel, ieri e oggi dialogano in un continuo scambio di idee e proposte originali al fine di offrire un’accoglienza ad alto livello sotto ogni punto di vista. Infatti, anche al suo ristorante di fine dining Club del Doge, l’attenzione all’eccellenza gastronomica passa attraverso la continua ricerca tra tradizione e novità, che oggi viene trasmessa dal nuovo Executive Chef, Alberto Fol.

Novità in laguna

Classe 1974, chef Alberto Fol ha una lunga esperienza, anche in stellati, che l’ha portato a prediligere le cucine degli alberghi, ambiente che ben conosce – «ci sono cresciuto, mio nonno aveva due alberghi, poi anche mio padre», racconta con affetto. Soprattutto ne apprezza il movimento come un piccolo mondo completo che regala tante opportunità di mettersi in gioco, «dalla frittata all’astice a colazione fuori menù al corso presso la The Gritti Epicurean School», aggiunge sorridente. A proposito, le cucine dell’iconico hotel veneziano non sono per lui una novità: una ventina abbondante di anni prima aveva mosso qui i primi passi come commis di chef Celestino Giacomello. Non sappiamo se era un segno del destino, ma di certo la vita è bizzarra a volte ed è bello quando i cerchi si chiudono.

È stato lo stesso Paolo Lorenzoni, General Manager del The Gritti Palace, a voler fortemente lo chef bellunese, svelando il suo intento ben riuscito: «Lo conoscevo già dal 2009 (chef Fol arriva da cinque anni al Danieli, preceduti da quello che allora era il The Westin Europa & Regina, sempre a Venezia, n.d.r.), cercavo qualcuno che potesse fare cucina del territorio rispettando la stagionalità e la tradizione. E poi, Alberto ed io amiamo entrambi la montagna, un punto in comune che ci ha permesso di legare molto».

Infatti, la cucina di Alberto Fol si potrebbe riassumere nel concetto “mari e monti”, che esprime la sua personalità di uomo figlio delle Dolomiti integrato egregiamente a Venezia e ben rappresentato da un piatto signature come le Capesante alla cacciatora: «Sin da quando ho iniziato a lavorare sul menù ora in carta, una cosa mi è stata subito chiara: volevo portare le persone nei luoghi dove sono nato, cresciuto, formato. Attraverso questi piatti, volevo raccontare una storia, la mia». Il menù autunnale in carta al Club del Doge porta in tavola i profumi della montagna, dei frutti della terra e dei tesori nascosti nei boschi, in un connubio equilibrato con la ricchezza ittica delle acque del territorio, entrando in laguna e spingendosi fino al mare.

Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino di chef Fol

Burro di malga, farine selezionate, prodotti locali dal mercato, sono solo alcuni esempi che esprimono l’amore per gli ingredienti alla base della cucina di Alberto Fol, che parte dal grande rispetto per la qualità e l’attenzione per il benessere: «In media il 40% degli italiani ha problemi di salute legati all’alimentazione. È indispensabile iniziare sin dalla scuola a dare un’educazione alimentare, fornire informazioni complete, investire sul valore del cibo, fortemente legato alla nostra tradizione culinaria. Un consumo consapevole è quello che dovremmo insegnare, non andare al supermercato ad occhi chiusi presi dalla fretta. Istituzioni, comuni, regioni, insieme dovremmo lavorare per il benessere della collettività attraverso il cibo buono e semplice».

Come diventare ispettore della “Guida Michelin”: intervista

La Cucina Italiana

Come si inizia sul territorio?

«Con l’apprendistato: giri per alcuni mesi affiancato da un ispettore anziano che ti porta negli stellati, una, due o tre perché tu capisca i differenti livelli di qualità. Poi sei da solo e succede spesso che una volta libero da chi ti affianca, ci si toglie qualsiasi sfizio facendo pranzi natalizi in ogni luogo, ma il tutto si esaurisce in un paio di settimane. Sia per ragioni fisiche sia perché impari a scegliere oculatamente nel menù. Quando sei preparato, basta un piatto per capire il posto».

Il problema numero 1 per un ispettore qual è?

«La solitudine. Prendendo la mano, riesci a organizzare un fine-settimana in una bella località e farti raggiungere dai familiari o da amici, ma gli inizi sono duri per tutti. Mi è capitato di andare in crisi, magari in un posto sperduto dove mi avevano mandato, e persino di piangere. Chiaramente non ho mollato e sono rimasto per una vita in Michelin. Mi piace sempre, parafrasando una celebre aria, ricordare quello che potrebbe essere il motto della Guida Rossa: «Nessun goda perché se ti diverti, vuole dire che non stai lavorando».

In un’occasione ha detto: «Senti il fiato dei francesi sul collo, sempre. Cercano di condizionare ogni scelta, anche quelle delle singole stelle». In pratica, è come dire che gli italiani non contano o all’epoca, magari, non contavano.

«È più sottile la cosa. Intanto, va detto che le decisioni alla Michelin sono collegiali: non decide mai uno da solo, lo garantisco. Poi, ha preso sempre più piede la consuetudine di scambiarsi i paesi per le visite importanti: se è vero che nei nostri ristoranti, oltre a ispettori francesi, si notano sempre maggiormente quelli tedeschi, inglesi o giapponesi, è notorio che gli italiani vanno all’estero. Quanto al fiato dei francesi, nel corso del mio mandato, ho cercato di allargare i loro parametri di assegnazione dei “macaron”, elargendo anche stelle eretiche per lo spirito dell’epoca. “La stella è nel piatto”, si è sempre detto, io ho cercato di andare oltre, di valutare altri fattori. Per esempio, nel 1996 abbiamo assegnato una stella al Joia di Milano, eliminando una volta per tutte l’idea che vegetariano fosse sinonimo di penitenziale».

Forse lo hanno capito solo negli ultimi anni

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