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Cibo stampato in 3D: ENEA spiega cos’è e perché è (già) futuro

La Cucina Italiana

Niente di futuristico: il cibo stampato in 3D è tra noi. È un creativo terreno di sperimentazione per chef e pasticcieri – l’ultimo esempio è il tiramisù stampato con gli esperti della Tiramisù World Cup -, una tecnica che usano diverse aziende anche per creare prodotti di largo consumo come la pasta, ed è destinato a diventare sempre più popolare per merito della scienza che fa continui passi in avanti. A che punto siamo ora e cosa succederà in futuro? Cosa spinge gli scienziati a sviluppare tecniche sempre più innovative per il cibo stampato in 3D? Abbiamo posto questa e molte altre domande a Silvia Massa, ricercatrice della Divisione Biotecnologie e Agroindustria di ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – che alla XI edizione della Maker Faire Rome ha presentato anche un progetto relativo al 3D printing del cibo.

Cosa è il cibo stampato in 3D?

«Tecnicamente la tecnologia di stampa tridimensionale è un processo additivo di deposizione di materiale strato per strato che produce oggetti tridimensionali a partire da un modello computerizzato in tre dimensioni. Si parla di cibo 3D quando si usano stampanti alimentari specificamente destinate. Normalmente si stampa per estrusione di materiali commestibili abbinati con elementi che mantengano la forma del cibo che è stata progettata».

Come funziona una stampante per il cibo in 3D?

«Si parte da un modello digitale che si può creare al computer o scansionando un oggetto, che poi viene “scomposto” in sottili strati orizzontali, ciascuno dei quali corrisponde a uno strato fisico che la stampante aggiungerà per creare l’alimento. La creazione del modello genera un file con le istruzioni per la creazione di ciascuno strato da parte della stampante. Parte fondamentale del processo è la preparazione dell’inchiostro con un materiale appropriato: ogni strato deve essere autoconsistente e contemporaneamente fondersi al precedente per creare una struttura tridimensionale solida, pronta per essere consumata sul momento o previa cottura e/o essiccazione».

Quali cibi si possono stampare in 3D?

«Le stampanti 3D alimentari sono progettate per poter utilizzare una grande varietà di materie prime, purché sia possibile, a partire da quegli ingredienti, creare “inchiostri” con caratteristiche (viscosità, elasticità, etc.) idonei alla stampa. Non tutte le matrici alimentari, però, sono adatte a questa tecnologia (spesso sono necessari degli additivi) e i risultati possono variare a seconda degli ingredienti di partenza e della complessità del modello 3D. Puree di vari ortaggi e legumi, per esempio, si possono stampare grazie agli additivi (come trealosio, fecola di patate, alginato o agar, k-carragenina, gomma xantana)».

A cosa serve stampare il cibo in 3D?

«I primi esempi di stampa 3D alimentare sono stati principalmente ludici, in genere limitati a dolciumi a base di cioccolato, caramello o gelatine, decorazioni, impasti a base di farina tra cui pizza, pasta e biscotti, surrogati della carne. In tempi più recenti, questa tecnica ha rivelato il proprio potenziale mostrando tante altre applicazioni, inclusa la personalizzazione dei cibi in base alle esigenze dei singoli consumatori e la riduzione degli sprechi alimentari. Ad esempio, la 3DP (3D printing, ndr) è stata utilizzata per ricreare un cibo composito costituito da puree (tonno, bieta rossa, zucca) di consistenza adatta a pazienti disfagici e dotata di forme accattivanti per rendere il cibo più appetibile. Questo ha un impatto sulla salute e sulla qualità della vita».

Si può stampare in 3D anche la carne coltivata?

«La carne coltivata e la stampa 3D sono due cose distinte: la prima è ottenuta da cellule staminali in laboratorio, mentre la stampa 3D di alimenti a base di carne utilizza la tecnologia di stampa 3D per creare piatti a base di carne usando carne macinata o miscele di carne. Tuttavia in un caso la carne coltivata in laboratorio incontra la 3DP. Per produrre carne in coltura, infatti, le cellule staminali muscolari animali vengono coltivate su strutture di supporto che consentono il trasporto di sostanze nutritive e donano consistenza e struttura. È possibile creare queste “impalcature” utilizzando una tecnologia emergente di stampa 3D, mediante la quale le impalcature diventano parte del prodotto a base di carne, a base di gelatina e collagene».

Perché la produzione di cibo con questo procedimento è sempre più diffusa?

«Consumatori e industria sono sempre più interessati. Si stima che il valore di mercato del 3D food printing entro il 2025 raggiungerà i 360 milioni di euro. Di base c’è una necessità: gli esperti delle Nazioni Unite prevedono che entro il 2100 la popolazione mondiale avrà superato la soglia dei dodici miliardi di persone con conseguente e ulteriore erosione delle risorse naturali, peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, particolarmente nei Paesi Emergenti. Immaginare come sfamare così tante persone, nelle condizioni che si prospettano, è probabilmente la sfida maggiore con la quale l’umanità dovrà confrontarsi nel prossimo futuro. La stampa 3D sembra destinata a giocare un ruolo di rilevanza nell’alimentazione del futuro, soprattutto in uno scenario in cui le pietanze siano orientate a dare nuova vita agli scarti della produzione alimentare e contenere al tempo stesso la giusta combinazione e misura di nutrienti e molecole bioattive necessari a sostenere una vita sana».

Cosa potrebbe cambiare con la diffusione del cibo stampato in 3D su larga scala?

«L’applicazione della stampa 3D a fini alimentari potrebbe “democratizzare” l’accesso a esperienze culinarie del tutto nuove. Gli esempi sono tanti: la 3DP può permettere la produzione di cibo personalizzato cioè anzitutto “strutturato” e basato su più componenti e categorie nutrizionali, ma anche arricchito con i nutrienti necessari e quindi adattato allo stato di salute, delle carenze nutrizionali. Non da ultimo, il cibo prodotto con questo sistema può contribuire a recuperare sottoprodotti della trasformazione agroalimentare (per esempio della frutta) ai fini dell’arricchimento nutrizionale, per una maggiore sostenibilità ambientale».

Quali sono le applicazioni future che noi consumatori possiamo immaginare? 

«In un futuro non molto lontano potremmo trovare tra i corridoi di un supermercato preparati a elevato valore nutrizionale da poter inserire all’interno di una stampante 3D domestica per ottenere uno spuntino salutare con sapore, consistenza, texture e forma che più ci piacciono. In particolare il futuro che in Enea vediamo è legato a una visione della stampa alimentare 3D che possa aiutarci a superare le sfide ambientali attuali. Ad esempio, le piante sono da sempre considerate fonte di principi nutritivi necessari per la nostra salute (per esempio per la presenza di antiossidanti), ma in futuro sarà sempre più difficile fornire alle persone alimenti di buona qualità di origine vegetale perché le prospettive di sicurezza alimentare sono influenzate dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute e sulla produttività delle piante, con effetti sull’intero settore agroalimentare. Inoltre, la prospettiva di aumentare la superficie coltivabile è insufficiente e l’agricoltura intensiva rappresenta già un onere ambientale, essendo responsabile di circa il 20% delle emissioni globali e comportando l’uso di pesticidi. Per questo esiste una forte necessità di nuovi sistemi di approvvigionamento di materie prime commestibili di origine vegetale finalizzate a una dieta sana e sicura. Le cellule vegetali possono essere coltivate in bioreattore ed essere sfruttate come una biomassa alimentare completamente nuova per il consumo umano. Studi condotti presso prestigiosi istituti di ricerca europei indicano come, con questo sistema, molte colture (ad esempio derivanti da bacche e piccoli frutti) conservino i rapporti qualitativi e quantitativi di sostanze nutritive di riferimento, digeribilità, contenuto in carboidrati, fibre, colori e caratteristiche organolettiche simili al frutto fresco di partenza».

Sarebbe come spostare la produzione dai campi al laboratorio?

«Si, è così. Questo approccio alternativo di produzione di alimenti vegetali sposterebbe il paradigma della produzione agricola dal campo al laboratorio in considerazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute e produttività delle varietà di interesse agronomico, divenendo indipendente dalla qualità dei suoli coltivabili e senza intaccare risorse naturali. Sulla base di questo principio ENEA non solo effettua ricerca per valutare il potenziale delle cellule vegetali come ingredienti alimentari, ma sta studiando le proprietà delle materie prime, seconde e di scarto provenienti dall’industria agroalimentare vegetale per creare delle ricette di “inchiostri” da combinare o no alle cellule vegetali e che possano portare alla stampa di alimenti di forma e consistenza opportune ai fini della produzione di alimenti ad alto valore aggiunto e sani senza aggiunta di additivi strutturanti».

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La tecnologia innovativa agricola? È un bene per molti fattori

La Cucina Italiana

Tecnologia innovativa? Poiché l’agricoltura rappresenta la maggior parte del lavoro minorile a livello globale e il numero di persone coinvolte è in crescita, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) sta intensificando il lavoro con i partner per eliminare il lavoro minorile in settori chiave come il cacao, il cotone e il caffè. L’ultima iniziativa presentata traccia le modalità di utilizzo dell’innovativa tecnologia blockchain per il monitoraggio e la prevenzione.

Tecnologia innovativa?

Sospinto dalla povertà e da una crescente crisi globale di insicurezza alimentare, il lavoro minorile è tre volte più diffuso tra i piccoli proprietari rurali nel settore agricolo, della pesca o della silvicoltura rispetto alle aree urbane ed è spesso il risultato di complesse vulnerabilità e shock economici e sociali. «Il lavoro minorile viola i diritti dei bambini e, mettendo a repentaglio la salute e l’istruzione dei giovani, costituisce un ostacolo allo sviluppo di sistemi agroalimentari sostenibili e alla sicurezza alimentare» ha dichiarato l’economista capo della FAO Máximo Torero in un videomessaggio in occasione di un briefing FAO a Bruxelles, organizzato insieme all’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) per celebrare la Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2023.

Aumenta il lavoro minorile in agricoltura

L’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 8.7 mira all’eliminazione del lavoro minorile entro il 2025. Ma un rapporto congiunto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia UNICEF del 2021 ha indicato che più di 160 milioni di bambini in tutto il mondo sono ancora impegnati nel lavoro minorile, di cui 86,6 milioni nell’Africa subsahariana: più che nel resto del mondo messo insieme. 

A livello globale, il 70% dei bambini impiegati nel lavoro minorile si trova in agricoltura e, tra il 2016 e il 2020, è stato riferito che altri quattro milioni di ragazze e ragazzi saranno coinvolti nel lavoro minorile in agricoltura.

Tecnologia innovativa agricola: un approccio multiforme e integrato

La FAO e gli attori del settore agricolo hanno la responsabilità cruciale di lavorare insieme alle organizzazioni partner per affrontare il problema, ha detto Torero, sottolineando che per farlo è necessario un approccio multiforme e integrato. Diverse sono le iniziative in cui l’Organizzazione si è impegnata.
-Attraverso il Progetto CLEAR Cotton, che si è concluso quest’anno, la FAO, in collaborazione con l’Unione Europea (UE) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), ha affrontato con successo il problema del lavoro minorile nelle catene del valore del cotone in Burkina Faso, Mali e Pakistan. L’iniziativa ha raggiunto più di 10mila donne, uomini, giovani e bambini. Nell’ambito del progetto, la FAO ha contribuito al miglioramento dei mezzi di sussistenza delle famiglie, all’emancipazione economica delle donne e a una maggiore consapevolezza sulle competenze agricole sicure e adeguate all’età.
-La FAO collaborerà anche a una nuova iniziativa dell’Unione Europea da 10 milioni di euro (10,69 milioni di dollari) per porre fine al lavoro minorile nelle catene di approvvigionamento, lavorando in collaborazione con l’UE, l’OIL e l’UNICEF per affrontare le cause profonde del lavoro minorile nelle catene di valore del caffè in Uganda, Honduras e Vietnam. La FAO si concentrerà sul rafforzamento dei mezzi di sussistenza dei piccoli agricoltori nelle aree colpite dagli effetti del cambiamento climatico, per ridurre la loro dipendenza dal lavoro minorile. Il progetto porrà l’accento sull’empowerment dei gruppi emarginati, tra cui donne, giovani, bambini e comunità indigene.
-La FAO ha organizzato un Forum globale sulle soluzioni in collaborazione con l’OIL e il Partenariato internazionale per la cooperazione sul lavoro minorile in agricoltura per presentare soluzioni concrete in diversi sotto-settori agricoli e catene di valore selezionate.
-La FAO ha istituito lo Strumento di prevenzione del lavoro minorile in agricoltura, in linea con l’obiettivo di aumentare gli investimenti nelle aree rurali e in particolare nei piccoli produttori, che era al centro dell’Appello all’azione di Durban. Questo documento storico è stato adottato dai delegati alla 5a Conferenza mondiale sull’eliminazione del lavoro minorile il 20 maggio 2022. Il lungo lavoro di advocacy della FAO ha contribuito a far sì che l’eliminazione del lavoro minorile in agricoltura fosse una priorità assoluta del documento.
-Nell’ultimo sviluppo, la FAO e l’Università e la Ricerca di Wageningen hanno pubblicato il documento Digitalizzazione e lavoro minorile in agricoltura: esplorare la blockchain e il sistema informativo geografico per monitorare e prevenire il lavoro minorile nel settore del cacao in Ghana. Il documento esplora la potenziale applicazione di tecnologie innovative, in particolare blockchain e sistemi informativi geografici (GIS), per migliorare la raccolta dei dati e la stima dei rischi del lavoro minorile nel settore del cacao. Il documento definisce 13 elementi di dati chiave (KDE) per il monitoraggio del lavoro minorile e il rimedio, tra cui ad esempio la distanza dalle fonti d’acqua o dalle scuole.

Fonte Fao

Semi nello Spazio: il progetto della FAO e IAEA

La Cucina Italiana

I semi saranno sottoposti a un processo di importazione fitosanitaria, un requisito standard per il trasporto di materiale vegetale attraverso i confini nazionali per ridurre al minimo il rischio di introdurre nuovi parassiti, prima dell’arrivo finale ai laboratori.

Le radiazioni nei laboratori avvengono in genere in una macchina che utilizza raggi gamma e raggi X, accelerando il processo di variazione genetica spontanea. Gli scienziati lavorano per identificare i tratti positivi nei semi irradiati e introdurli nelle generazioni future. In questo modo, le piante si evolvono più rapidamente con qualità desiderabili, tra cui la resistenza alle malattie e la tolleranza alla siccità. L’ampia gamma di radiazioni più pesanti nello Spazio, combinate con altri estremi come la microgravità e la temperatura, potrebbero innescare cambiamenti genetici normalmente non riscontrabili con le fonti di radiazioni sulla Terra.

«Questo è il primo studio di fattibilità della FAO e dell’AIEA per determinare l’effetto delle radiazioni cosmiche, della microgravità e delle temperature estreme sul genoma e sulla biologia delle piante, al fine di generare una variazione genetica sufficiente per un maggiore adattamento al cambiamento climatico» ha dichiarato Shoba Sivasankar, responsabile della sezione di genetica e selezione delle piante presso il Centro congiunto FAO/AIEA.

L’Arabidopsis, un tipo di crescione facile ed economico da coltivare e che produce molti semi, sarà testato per la tolleranza alla siccità, al sale e al calore. Il sorgo, un cereale ricco di sostanze nutritive che può crescere in terreni aridi ed è resistente ai cambiamenti climatici, sarà testato per individuare i tratti desiderabili per la resilienza ai cambiamenti climatici. Entrambi i semi saranno coltivati fino alla generazione successiva prima della selezione dei tratti e, con l’Arabidopsis che cresce più rapidamente, a seconda di quando arriveranno nei laboratori di Seibersdorf, i primi risultati potrebbero essere disponibili nell’ottobre 2023.

In entrambe le specie coltivate, il DNA sarà estratto e sequenziato, per confrontare i cambiamenti tra i semi irradiati in laboratorio, quelli posizionati all’interno della ISS e quelli posizionati all’esterno della ISS, che hanno ricevuto l’esposizione completa a radiazioni cosmiche, microgravità e temperature estreme. Questi confronti, insieme all’analisi comparativa della biologia delle piante, aiuteranno a capire se le dure condizioni spaziali hanno un effetto unico e prezioso per il miglioramento delle colture e potrebbero potenzialmente portare benefici all’uomo sulla Terra.

Il contesto

Il Centro congiunto FAO/IAEA, con sede a Vienna, in Austria, da quasi 60 anni accelera la ricerca sulla selezione delle piante utilizzando le radiazioni per sviluppare nuove varietà di colture agricole. Nella storia dell’agricoltura vegetale, la selezione naturale o l’allevamento evolutivo, chiamato anche allevamento per mutazione, sono stati i motori della domesticazione delle colture e della selezione delle piante. Sono responsabili dell’adattamento genetico delle piante ai loro ambienti mutevoli e portano al miglioramento delle colture. Finora, grazie alla variazione genetica indotta dalle radiazioni e alla selezione per mutazione, sono state sviluppate oltre 3400 nuove varietà di più di 210 specie vegetali, tra cui numerose colture alimentari, ornamentali e arboree utilizzate dagli agricoltori di 70 Paesi.

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