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Renon: dove mangiare e bere vista Dolomiti

La Cucina Italiana

Arriva a Bolzano, dirigiti alla funivia del Renon. Un dondolio tenue darà leggerezza al tuo salire veloce. Valli, prati, castelli, sentieri lontani e… le Dolomiti. Arrivato, avrai alla tua destra il Park Hotel Holzner 1908. Con la sua elegante architettura liberty, come nell’aria di quella operetta*, «tra i monti azzurri ed il ciel, è dolce asilo che invita a farci godere la vita». Accadrà cenando al 1908 Restaurant. Stephan Zippl, lo chef, ti condurrà in un «mercato» di sapori. Il piatto che svela uno dei segreti di questa impareggiabile cucina è il «100% Aspinger» e capirai presto perché.

Di fronte al ristorante, la stazione del treno del Renon, realizzata nel 1907. Il piccolo treno rosso attraversa boschi di abeti e pascoli. Fermandosi a richiesta, collega villaggi e fattorie arrivando puntuale alla stazione di Collalbo. Un consiglio: il caffè Lintner a pochi metri dallo storico hotel Bemelmans Post. Ti suggerisco un bicchiere di latte con una fetta delle loro torte: quella di ricotta, la Sacher, la torta di grano saraceno con marmellata di ribes rosso, la Linzer con il lekvar* di lamponi, il loro confortevole strudel. Da Collalbo, la SP73 ti porterà a Barbiano. Chiedi del maso Aspinger. Harald Gasser e la sua famiglia vivono in questo podere che fu del padre, del nonno, comperato dal bisnonno. Erbe e piante ovunque: nei vasi grandi e piccoli del garage, negli orti lungo la collina, nelle cassette di legno accanto al fienile, sotto le finestre del soggiorno, lungo la strada che sale al paese. Osserva: nel maso Aspinger, le piante, gli ortaggi, le erbe, sono coltivate e vivono come in un’unica, grande, composita, «dinamica» comunità che sembra in costante movimento. Presta attenzione se Harald parlerà del diritto di migrare delle piante. Comprenderai quante cose restano ancora da svelare, capire. Petra, la moglie, è maestra d’ospitalità. Sa convincere un’amica della suocera a cucinare per te la «zuppa di trippe» come nessuno più fa: farina bruciata, aglio, burro (se c’è), alloro e un po’ di aceto di vino prima di servirla calda. La sua insalata, servita nella terrina smaltata, è un giardino che va raccontato, stagione per stagione. Harald e il padre Gebhard panificano il loro pane con farina di grano duro, segale, cumino selvatico, anice e un po’ di «trifoglio del pane»; qui lo chiamano anche «erba zingara». Sentirai friggere nella padella le polpette servite poi con un purè fatto con la varietà di patate Sieglinde, la migliore. Sappi che la polpetta è di sola carne di zebù nano: niente farina, niente pangrattato, niente uova, niente di niente. Croccanti, succose, saporite. Harald ha scelto di allevare lo zebù nano srilankese perché è razza rustica, sana, mansueta. Bevi con attenzione il loro vino rosso servito nel coccio grigio. Il sapore è pieno, soddisfacente e consolatorio. La vigna la impiantò il bisnonno, il vitigno è antico, in giro se ne è persa la memoria. Sarà una giornata perfetta se Petra avrà preparato anche la torta di papavero, servita con la panna della latteria di Lagundo montata a mano. Farina di nocciole, burro, uova, zucchero, le piccole mele Gravensteiner e farina di semi di papavero. Le piante sono coltivate vicino alla stalla, solo due metri quadrati di coltura, come vuole la legge. I sapori indimenticabili che l’ospitalità di Petra e dei figli Aron e Noah offrono sono saperi se li saprai cogliere. «L’ascolto» e l’attenzione che Harald dedica alle sue essenze vegetali ridonano al verbo coltivare il senso, l’intenzione del gesto primigenio: colere = coltivare, incolere = abitare, coltura = cultura. Mettiti in viaggio…

*Al Cavallino Bianco, operetta in tre atti di Ralph Benatzky, su libretto di Hans Müller-Einigen e Erik Charell e testi di Robert Gilbert rappresentata la prima volta l’8 novembre 1930, Großes Schauspielhaus.
*Una confettura densa o burro di frutta di origine ungherese.

«La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale» Patrimonio Unesco: parte la raccolta firme

La Cucina Italiana

Tra loro ora Jimmy Ghione, storico inviato di Striscia la Notizia, amato dal grande pubblico anche per l’impegno dimostrato negli anni per la tutela e la valorizzazione della cucina italiana e dei suoi prodotti. Ha raccontato l’importanza della raccolta firme per il sostegno della candidatura della cucina italiana durante la puntata dell’amato programma di Antonio Ricci andata in onda il 27 gennaio. Lo ha fatto in un modo simbolico, accompagnato dal presidente Pecoraro Scanio e Enrico Derflingher, presidente dell’associazione Euro-Toques Italia ed International, e per anni cuoco personale della regina Elisabetta II. Insieme hanno preparato un risotto con tartufo nero: un piatto che racconta la cucina del grande chef e un esempio dell’armonia dei prodotti italiani, Dop e Igp, che caratterizzano con i loro profumi e i loro sapori ciascun territorio del nostro Paese.

L’unicità della candidatura della cucina italiana

«La candidatura della cucina italiana italiana a patrimonio Unesco è anche questo: una campagna per valorizzare i prodotti e le tradizioni dei singoli territori. Perché la sua unicità sta anche in questo: nel fatto che è diversa da paese a paese, da provincia a provincia», racconta Alfonso Pecoraro Scanio, annunciando che ci saranno ancora altri esempi che racconteranno questa diversità, e biodiversità. «Sarà la pasta il prossimo filo conduttore: è la più identificativa della nostra cucina nell’immaginario comune e tra gli ingredienti che meglio si prestano a fare da trait d’union ai nostri prodotti, a rappresentarli e quindi a condividerli».

Una candidatura inclusiva

Condivisione, del resto, è la parola chiave alla base di ogni candidatura, fatta per promuovere un’arte, una tradizione, una cultura, perché venga conosciuta, apprezzata, e ancora una volta condivisa. «Le candidature Unesco sono esattamente l’opposto di una rivendicazione protezionistica. Se abbiamo candidato la pizza o il canto lirico non era per tenerceli stretti, per rivendicarne l’italianità, ma perché sono cose belle con una valore globale», spiega Alfonso Pecoraro Scanio. «Lo stesso è per la candidatura della cucina italiana, che vorremmo fosse valorizzata anche dall’Unesco per la sua sostenibiltà e biodiversità, per essere la base di una dieta – quella mediterranea – assurta a modello alimentare in tutto il mondo», dice ancora il presidente Univerde. E prosegue: «Per questo è importante firmare: questa candidatura riguarda tutti, è un percorso inclusivo, e io spero che coinvolga le persone proprio come è stato per la pizza».

Cosa succederebbe se la cucina italiana diventasse patrimonio dell’Umanità

Del resto, se effettivamente l’Unesco dovesse accettare la nostra proposta, ne guadagneremmo tutti, proprio come è già successo per la pizza. «In seguito all’ingresso dell’arte dei pizzaiolo napoletani tra i patrimoni si sono moltiplicate nel mondo le richieste di pizzaioli di scuola napoletana: non napoletani di origine, ma persone che nel mondo hanno imparato a fare la pizza seguendo le regole e le tradizioni dell’arte napoletana. Questo varrebbe anche per la cucina italiana: si tratterebbe di diffondere conoscenza, non mettere un recinto. Condividere un patrimonio». Un patrimonio di storia, storie, saperi, tradizioni, che coinvolge ciascuno di noi.
Per firmare cliccate su www.change.org.

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