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I dolci di Carnevale italiani: tante ricette

I dolci di Carnevale italiani: tante ricette

Chiacchiere, castagnole, pignolata, cicerchiata: i dolci di Carnevale italiani sono tanti e variegati. oltre che tutti ovviamente buoni e golosissimi. Ma a scorrere le ricette, sorge spontanea una domanda: perché, a qualsiasi regione appartengano, sono tutti (o quasi) fritti?

Perché i dolci di Carnevale sono fritti?

Friggere è storicamente legato alla necessità di preparare velocemente i dolci per offrirli a quante più persone possibile e soprattutto a basso costo (un po’ le origini della pizza fritta). Ecco perché anche a Carnevale si frigge l’impossibile. Negli anni, lungo tutto lo Stivale, si sono radicate nella tradizione tantissime ricette di dolci fritti che allietano il periodo di Carnevale: croccanti, soffici, ripiene, fragranti con tanto zucchero e colori. Le feste in maschera si festeggiano così. Ma ciò che rende importante e unica la varietà delle ricette delle regioni italiane è l’innumerevole patrimonio di usanze che legano il Carnevale ai dolci. Qualche tempo fa ogni regione usava i prodotti locali, oggi le tradizioni si sono lasciate contaminare dalle esigenze di mercato.

I dolci di Carnevale tradizionali in tutta Italia

Assodato che i dolci tipici di Carnevale sono perlopiù fritti, le ricette per prepararli sono spesso diverse da regione a regione: a volte la stessa ricetta – con leggerissime varianti o addirittura uguale – prende anche un nome diverso secondo l’area geografica. Succede con le chiacchiere, prodotte in tutta Italia ma chiamate in Toscana cenci, sfrappole in Emilia, bugie in Liguria e in una parte del Piemonte, crostoli in Friuli, Trentino e in alcune zone del Veneto, frappe a Roma e galani a Venezia e Verona. E succede con le castagnole, altro dolce simbolo di Carnevale, diffuso in tutto il Paese, ma nato nell’Italia settentrionale, a Bordighera. Le frittelle dolci con un cuore soffice – dette anche favette o tortelli, sono così chiamate per la loro forma che ricorda vagamente quella di una castagna. Tra i dolci più tradizionali, rientrano anche altre le frittelle di mele, chiamate in Alto Adige Apfelkiechl, e realizzate con fette di mele spesse, rivestite da una pastella croccante.

I dolci di Carnevale del Nord Italia

Se in Lombardia la tradizione del Carnevale ambrosiano vuole che si friggano i làciàditt a base di mele, nel Mantovano si preparano i riccioli (in dialetto, risulèn) ovvero dei biscotti preparati con la farina di mais macinata molto sottile (fioretto), a cui si aggiunge burro, zucchero, strutto, tuorli d’uova e scorza di limone grattugiata. Dal lato opposto, nel Nord Est, a farla da padrone ci sono le le fritole veneziane, arricchite con uvetta e pinoli. E i krapfen dall’Alto Adige (oltre alle frittelle di mele) che qui vengono chiamati Faschingskrapfen, ossia “krapfen del Carnevale”.
In Piemonte è viva la tradizione dei farciò, frittelle del carnevale alessandrino che si differenziano dalle castagnole perché sono gonfie e vuote all’interno, e di dimensioni più importanti, che possono anche essere guarnite con crema pasticcera. Senza contare il fatto che qui le chiacchiere si chiamano bugie.

Pasta alla Genovese, la ricetta come la fanno in casa a Napoli

La Cucina Italiana

Non bisogna per forza essere di Napoli per comprendere il senso profondo di un piatto come la Genovese. Certo il suo odore per un napoletano sarà sempre legato a infinite domeniche in famiglia; ma in realtà quel profumo resta impregnato addosso anche a chi è solo di passaggio, anche solo una volta. Perché in un’era dove gli imperativi restano la velocità e l’efficienza, per fare la Genovese ci vogliono ore e ore, passate a pelare chili di cipolle con le lacrime agli occhi; lacrime che non si arrestano nemmeno tra i fumi dei suoi lunghi tempi di cottura; lacrime che basta un respiro. Per questo nella Genovese c’è Napoli e quella sua intrinseca abilità di trovare sempre soluzioni, nella vita così come davanti a resti, scarti o sovrabbondanze di cibi; quella stessa genialità che da sempre caratterizza le cucine cosiddette povere, che poi in realtà di povero non hanno proprio nulla e si rivelano sempre la quintessenza della creatività, come ci dimostra la storia. Perché è quando non si ha niente che si riesce a fare tutto, mo, ambress ambress, in un eterno presente: “il futuro non ci appartiene, e se domani non mi sveglio? Allora meglio che la Genovese me la faccio oggi”. È questa la filosofia di Patrizia, per tutti zia, una delle tante donne che la prepara da una vita, perché gliel’ha insegnata sua mamma, Angela, e prima ancora sua nonna, Fortuna, secondo una tradizione tramandata con il semplice saper fare. Negli anni l’ha preparata in tutta Italia per diverse occasioni e ovunque ha sempre riscosso un gran successo. Ma resta un dubbio: perché una delle ricette più napoletane che ci sia, si chiama proprio così?

Perché “la Genovese” si chiama così visto che è di Napoli?

Ci sono varie ipotesi, dal periodo aragonese in cui pare che il porto di Napoli fosse pieno di cuochi genovesi, a un cuoco napoletano che la cucinava ed era soprannominato “o genoves”, fino a chi pensa che il nome derivi da Ginevra in Svizzera e non dalla città ligure…

Ma la realtà è più semplice: la Genovese appartiene al Mediterraneo e risale a quell’epoca in cui gli scambi tra i porti erano talmente comuni che la condivisione di un piatto era un’abitudine. A maggior ragione se ad averlo poi fatto suo è stata una città come Napoli, incapace a non dare confidenza, con quella sua indole innata predisposta all’incontro senza preconcetti e alla contaminazione senza indugi.

Dunque, poco importa l’origine o l’appartenenza di qualcosa che alla fine affonda le sue radici in mezzo al mare, intriso di un antico e profondo senso di condivisione; quello stesso che oggi non fa mancare nessuno a tavola quando lei è finalmente pronta.

Come si prepara la Genovese

Per la preparazione delle Genovese, è fondamentale scegliere bene la carne, che deve essere sempre il più tenera possibile: zia Patrizia predilige la gallinella di maiale, tra i tagli meno noti, ma ugualmente validi, vicino allo stinco, nella parte inferiore della gamba, dove le masse muscolari abbracciano la faccia posteriore della tibia.

Ingredienti per 4/5 persone

  • 500 g di penne grandi (o ziti e candele)
  • 1 kg di gallinella di maiale (o girello di manzo tenero)
  • 2 kg di cipolle
  • 2 carote
  • 1 sedano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 5 pomodorini
  • basilico – sale – prezzemolo – Parmigiano – olio evo

Procedimento

  1. Pelate le cipolle e tagliatele a pezzettini.
  2. Poi pulite carote e sedano e tagliate anch’essi a pezzetti; in una pentola mettete l’olio extravergine d’oliva e fate rosolare la carne precedentemente tagliata.
  3. Dopo circa un quarto d’ora, togliete la carne e nella stessa pentola aggiungete ancora un po’ d’olio con cipolle, carote e sedano e fate cuocere con il coperchio chiuso per qualche minuto.
  4. In seguito mettete un bicchiere di vino bianco, poi riaggiungete la carne con cinque pomodorini schiacciati; aggiustate di sale, aggiungete ancora un po’ di vino bianco e lasciate cuocere a fuoco basso per almeno un’ora, anche se il tempo dipende dalla cottura della carne.
  5. Una volta che la carne è quasi pronta, fate bollire l’acqua, buttate la pasta e infine condite direttamente nel piatto, senza mai dimenticare una spolverata di parmigiano ‘ncoppa.

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