Tag: bontà

I dolci di Pasqua pugliesi: 4 ricette, un trionfo di bontà

La Cucina Italiana

I dolci di Pasqua pugliesi sono un trionfo di sapori. In questa regione si tramandano antiche tradizioni dolciarie e le donne in Puglia hanno sempre le mani in pasta quando si avvicina il periodo delle Feste. La farina è sempre sul piano di lavoro e lo zucchero la accompagna. Volete sapere cosa esce dalle cucine pugliesi nel periodo pasquale? Ecco 4 dolci tipici della regione e le ricette per farli in casa in questi giorni di festa.

Quali sono i dolci di Pasqua pugliesi?

Taralli di Pasqua

I taralli in Puglia non mancano mai, tantomeno a Pasqua. Per la preparazione di quelli dolci, prendete 500 grammi di farina e disponetela a fontana aggiungendo un po’ di bicarbonato e dieci grammi di lievito. Aggiungete poi sei uova sbattute, un pizzico di sale, scorza di limone e 30 ml di grappa, prima di impastare a lungo con le mani e fare riposare per 30 minuti. Lavorate l’impasto per ottenere dei bastoncini da cui realizzerete degli anelli, la forma tipica dei taralli. In una pentola capiente, fate bollire dell’acqua salata e cuocete, poco alla volta, per due minuti i taralli scolandoli con uno scolapasta. Disponete i taralli bolliti su una teglia e lasciate riposare dodici ore; poi cuoceteli in forno a 190 gradi per 20 minuti. Per la glassa utilizzate 500 grammi di zucchero, un albume, scorza di limone e acqua.

Le pastatelle

Tra i dolci pasquali pugliesi ci sono le pastatelle, simili per forma ai panzerotti, contengono all’interno marmellata di vari gusti. Si preparano con 500 grammi di farina, 150 grammi di zucchero, tre uova e dieci grammi di lievito. Impastate con le mani gli ingredienti aggiungendo un po’ di latte e un filo di olio; fate riposare l’impasto in frigo per tre ore circa, quindi lavoratelo con un matterello. Formate dei cerchi e inserite all’interno la marmellata che preferite, richiudendo poi a forma di mezza luna. Spennellate con un po’ di latte e rosso d’uovo, prima di infornare per  25 minuti a 170° C. Decorate con zucchero a velo.

Scarcelle o panareddre

Scarcella (ruota) o panareddra (cestino) sono due nomi dialettali che indicano dolci con lo stesso impasto, ma forme diverse. Si tratta di biscotti friabili e colorati con l’uovo. Le uova crude, che in passato venivano anche dipinte a mano, vengono inserite nella frolla con il guscio per farle cuocere in forno. Per preparare questo dolce occorrono 500 grammi di farina, 12 grammi di lievito, 100 grammi di zucchero e tre uova. Impastate con le mani e aggiungete un po’ di latte e un filo d’olio extravergine d’oliva per ammorbidire. Fate riposare l’impasto per tre ore in frigo, poi create le forme che desiderate per i vostri biscotti e decorate con l’uovo. Preparate una glassa con 500 grammi di zucchero, un albume, acqua e scorza di limone, spennellatela sui biscotti e infornate per 25 minuti a 170 °C.

L’agnello di pasta di mandorle

Come in tutta l’Italia meridionale, anche in Puglia si preparano e si regalano ai bambini gli agnellini pasquali. Per prepararli occorre sbollentare un chilo di mandorle, quindi sbucciarle e tritarle con 750 grammi di zucchero a velo e scorza di limone. Si deve rendere omogeneo il composto, poi realizzare il busto degli agnellini lasciando uno spazio per farcire la pancia con plumcake, pan di spagna sbriciolato, cioccolato fondente a pezzi e liquore (o marmellata biologica se preferite). Rifinite i vostri dolci con altra pasta di mandorle: se dovesse risultare poco modellabile, ammorbiditela con acqua tiepida. Sempre con la pasta di mandorle, create le decorazioni sugli agnelli simili ai ricci della lana. Lasciate riposare almeno due giorni prima di servire.

Casatiello, che bontà: la ricetta e i consigli per farlo bene

La Cucina Italiana

Il casatiello è una torta rustica tipica della Campania che si prepara in genere durante il periodo pasquale insieme ad altre ricette tipiche del territorio. Scopriamo insieme la tradizione e la ricetta del casatiello.

Differenza tra casatiello e tortano

Molti confondono il casatiello con il tortano anche se non sono esattamente la stessa cosa perché nelle due ricette le uova vengono utilizzate in maniera diversa. Nel casatiello infatti le uova sono una decorazione e vengono posizionate intere e crude sulla superficie della torta, chiuse all’interno di una croce di impasto. Nel tortano, invece, vengono utilizzate sode, tagliate a pezzettini e aggiunte nell’impasto.

typical neapolitan casatiello with salami and cheeseenzodebernardo

La tradizione del casatiello

Questo rustico farcito con tante prelibatezze è servito come colazione o merenda nel periodo delle festività pasquali. È perfetto soprattutto per il pranzo al sacco nel giorno di Pasquetta quando si è soliti organizzare gite fuori porta. Si prepara il venerdì che precede la domenica di Pasqua perché deve lievitare per tutta la notte per poi essere cucinato nella mattina del sabato. Ha in genere la forma di una ciambella, ma alcuni la preparano ance a forma di torta.

Ripieno classico e rivisitato

Il ripieno classico è a base di salame di tipo napoli e formaggi misti, ma volendo si può osare anche con qualcosa di più. In alcune ricette, per esempio, troverete salsicce e friarielli, e altri ingredienti tipici della cucina campana.

Ricetta del casatiello

Sciogliete per prima cosa due panetti di lievito di birra in un bicchiere di acqua tiepida. Disponete poi a fontana 1 kg di farina su una spianatoia e ponete al centro il lievito sciolto, 100 g di strutto, un pizzico di sale e pepe e acqua tiepida quanto basta per creare un impasto liscio ed omogeneo. Lavorate l’impasto per circa dieci minuti in una planetaria o a mano sbattendolo sulla spianatoia con forza. Lasciatelo poi lievitare per due ore all’interno di un recipiente leggermente oliato e coperto da un canovaccio. Intanto tagliate a cubetti 400 g di formaggi misti come provolone piccante, grana, emmental e fontina e 400 g di salame tipo Napoli. Aggiungete un pizzico di sale e di pepe e riempite con questi ingredienti l’impasto una volta steso con il matterello. A questo punto potete seguire due strade: o lavorare nuovamente l’impasto e mescolarlo con formaggi e salumi, oppure potete arrotolare la massa sul ripieno creando un rotolo lungo e sistemarlo così all’interno di uno stampo a ciambella unto con lo strutto e leggermente infarinato. Sistemate poi sulla superficie della ciambella delle uova ben lavate e asciugate e chiudetele con delle croci di impasto. Lasciate lievitare tutto ancora per un’ora e poi cuocete a 180° per un’ora circa finché la superficie non sarà dorata e il casatiello non si staccherà dai bordi dello stampo. Servitelo tiepido, ma è buonissimo anche freddo.

La bontà della nostra biodiversità

La bontà della nostra biodiversità

A colloquio con un Docente di storia dell’Alimentazione, un Consorzio vinicolo e con una storica azienda proiettata nel futuro. Per assaggiare la bellezza e la pluralità delle nostre eccellenze

Questa nuova serie di webinar sul portale ilfuturocheciaspetta.lacucinaitaliana.it parte da una domanda che è anche il simbolo di uno stile di vita: Perché in Italia si parla sempre di cucina?

Maddalena Fossati Dondero, Direttore de La Cucina Italiana ha dialogato con Massimo Montanari, Docente di Storia medievale e Storia dell’alimentazione Università di Bologna sulle molteplici identità della cucina italiana, ma anche di stagionalità, e di valore culturale e storico della nostra alimentazione «tutti hanno presente, nel mondo la cucina italiana e i nostri piatti-simbolo. Ma in realtà la nostra cucina è fatta di cose diverse. L’identità nazionale italiana è qualcosa che denota appartenenza, ma è fatta di una pluralità questa identità. Esempio? C’è un archetipo nazionale che è indiscutibilmente la pasta. Ma da quante ricette è composta la pasta e quante parole e quanti condimenti ci sono per la pasta? Solo di formati se ne contano 300 e più di 1700 modi diversi per chiamarli: è davvero il trionfo della biodiversità culturale», ha commentato lo studioso con un calzante esempio.

La spesa? Sempre più Green

Ecco una delle grandi domande del nostro tempo: «È possibile comprare etico al supermercato?». Abbiamo risposto grazie al prezioso aiuto di Sergio Bertini, Direttore di Iper Arese e di Valter Businaro, titolare dell’Azienda Agricola Businaro, affrontando la questione a partire dalla terra, dal seme.
Ci siamo interrogati per scoprire quale sia il ruolo del tempo in rapporto alla qualità e alla varietà dei prodotti che mangiamo (troviamo le diverse tipologie di verdure in grande distribuzione? teniamo in considerazione la stagionalità degli ingredienti?) e alla sostenibilità (riusciamo a rispettare l’ambiente quando facciamo la spesa?).
Dal campo al banco del supermercato, al menu dei ristoranti presenti all’interno di alcuni punti vendita, abbiamo fatto il punto per capire dove stiamo andando e come si stanno comportano i consumatori.

Che tempo farà? La viticoltura etica parte dalle Colline del Prosecco (Patrimonio Unesco)

Quale impatto hanno i cambiamenti climatici sulla produzione di vino e sulla tutela del paesaggio? Ne abbiamo parlato con il dottor Diego Tomasi, appena nominato direttore del Consorzio Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene e con Piero Benvenuti, professore emerito di Astrofisica all’Università di Padova.
Quello del Conegliano e Valdobbiadene è tra i pochi territori vinicoli al mondo protetto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità; come ha ricordato il direttore Diego Tomasi, è caratterizzato da un paesaggio «ricco di ripide colline e di biodiversità, forgiato nei secoli dal sapiente lavoro dell’uomo che, ancora, pratica a mano molte delle lavorazioni in vigna, compresa la vendemmia».
Per tutelarlo è stato messo a punto un protocollo viticolo che con l’aiuto delle tecnologie più moderne indirizza i viticoltori nella scelta delle migliori pratiche da intraprendere e si pone come obiettivo ambizioso quello di rendere biologica l’intera produzione delle uve in un futuro prossimo. La zona ha già vietato da qualche anno l’utilizzo del glifosate, una molecola di sintesi per la gestione dell’erba, che qui viene tagliata meccanicamente, rendendo così quello di Conegliano e Valdobbiadene il più ampio territorio d’Europa in cui questo prodotto chimico dannoso per l’ambiente è bandito. Un impegno per il futuro che passa dalla campagna alla bottiglia, in modo ormai indissolubile.

L’espresso e Milano: una storia d’amore (e di contemporaneità)

Ripercorriamo, tra storia e piccole leggende, la storia dell’espresso, grande vanto della nostra tradizione, conosciuto nel mondo e ripercorriamo, in un piccolo racconto, la sua evoluzione. Una storia che si interseca con l’azienda Gaggia e inizia a Milano negli anni Trenta. Nel cuore storico della città, in viale Premuda, il geniale barista Achille Gaggia, nel magazzino del bar di famiglia inizia la ricerca dell’espresso perfetto. Dopo molti tentativi e sperimentazioni, il 5 settembre 1938 deposita un brevetto che cambierà la sua storia e che creerà una tradizione che si è evoluta fino ad arrivare ad oggi. Percorriamo con l’azienda anche il tema della sostenibilità, del riciclo virtuoso dei fondi di caffè alla produzione 100% italiana delle macchine che hanno portato il piacere della tazzina  “Italian way” in giro per il mondo. Infine, discutiamo dell’internazionalizzazione del caffè da bar, l’espresso, tipicamente italiano, attraverso le macchine professionali da casa, che hanno reso possibile una personalizzazione sartoriale della «tazzina».

Si ringrazia per la collaborazione Iper La Grande I, il Consorzio del Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene, Gaggia Milano.

Proudly powered by WordPress