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Roberto Valbuzzi e la sua ricetta del filetto di capriolo

La Cucina Italiana

Roberto Valbuzzi, chef amatissimo e conosciuto grazie ai programmi TV che lo vedono impegnato su vari fronti, ci ha aperto le porte di casa sua e del suo ristorante per scoprire la sua cucina, fortemente legata alla tradizione, ma che guarda con intelligenza e maestria all’innovazione.

Figlio d’arte, anzi nipote, Roberto Valbuzzi porta avanti il ristorante Crotto Valtellina a Malnate. Tra i piatti più rappresentativi e apprezzati c’è un secondo, il Filetto di capriolo «1848». Gli abbiamo chiesto di spiegarci la storia di questo piatto. Ecco cosa ci ha raccontato:

Roberto Valbuzzi nella cucina del suo ristorante il Crotto Valtellina.

Claudio Tajoli

Filetto di capriolo «1848» 

Ingredienti per 4 persone

800 g filetto di capriolo
400 g ribes oppure mirtillo rosso
200 g farina di mais per polenta
12 cavolini di Bruxelles
2 mele Golden
2 pere Coscia
1 litro vino rosso
erbe aromatiche (salvia, rosmarino, timo)
chiodi di garofano
bacche di ginepro
chimichurri (salsa verde piccante a base di prezzemolo, aglio, olio, peperoncino, aceto, sale)
vino bianco secco
aceto balsamico invecchiato
olio extravergine di oliva
sale
pepe

Preparazione

  1. Pulite il filetto di capriolo e fatelo marinare per 2 ore con chimichurri, olio ed erbe aromatiche.
  2. Pelate le pere, tagliatele a metà in verticale, eliminate il torsolo e mettetele in una
    piccola casseruola con il vino rosso, 1 chiodo di garofano e qualche bacca di ginepro.
  3. Cuocetele per circa 10 minuti dal levarsi del bollore, quindi scolatele, filtrate il sugo di cottura e riportatelo sul fuoco.
  4. Unite un paio di cucchiai di aceto balsamico invecchiato, a piacere un cucchiaio di miele e fate ritirare fino a ottenere una salsa di consistenza sciropposa.
  5. Preparate una polenta abbastanza densa.
  6. Sbucciate le mele; usando uno scavino da 2,5 cm di diametro, ricavate delle sfere, cuocetele in una casseruola coperte di vino bianco, mezzo litro di acqua, le erbe aromatiche e fate bollire per 5 minuti. Sgocciolate le sfere di mela dal vino e fatele raffreddare.
  7. Mondate e lessate i cavolini di Bruxelles (non troppo, devono rimanere croccanti).
  8. Insaporite per 5 minuti gli acidi di ribes in una padella ben calda con una noce di burro, regolate di sale e pepe (se dovessero risultare troppo acidi, aggiungete mezzo cucchiaino di zucchero); frullate con il mixer a immersione e passate al setaccio a maglie fini per ottenere una salsa liscia.
  9. Massaggiate il filetto di capriolo con un filo di olio e poi cuocetelo in una padella antiaderente ben calda per circa 3 minuti per lato.
  10. Nel frattempo, saltate le mele e i cavolini di Bruxelles con una noce di burro, sale e pepe.
  11. Disponete gli elementi nel piatto, realizzando prima un anello con la salsa al vino, poi alternando una cucchiaiata di polenta, un cavolino di Bruxelles e una sfera di mela (ripetete la sequenza per 3 volte).
  12. Al centro versate la salsa al ribes rosso e la pera al vino.
  13. Tagliate il filetto di capriolo in piccoli tranci, poi disponeteli nei piatti accomodandoli sulla polenta. Guarnite a piacere con qualche germoglio fresco o erba aromatica e servite.

Cima alla genovese: la ricetta originale e contemporanea

La Cucina Italiana

Eccoci a raccontare la cima alla genovese, ovvero un piatto di recupero, almeno in origine, che nel tempo è diventato uno dei più conosciuti piatti di carne liguri. Questo, anche se in realtà di carne ce n’è ben poca. Si mangia sia fredda sia tiepida, è una tasca fatta con la pancia del vitello cucita e ripiena di frattaglie (tra cui: animella, cervella, testicoli e poppa), piselli, uova, formaggio e poi cotta nel brodo di verdure per qualche ora. Si serve dopo averla fatta riposare con un peso sopra. Squisita!

Cima alla genovese, la ricetta originale

Tratta dal grande classico Le Ricette Regionali Italiane interpretate da Anna Gosetti della Salda del 1967.

Ingredienti per 8-10 persone

  • 1,200 g pancetta di vitello
  • 100 g polpa di vitello
  • 80 g poppa (tettina) 
  • un’animella
  • mezza cervella
  • qualche pezzetto di filone (schienale)
  • due granelli (testicoli)
  • 50 g burro
  • pinoli, maggiorana, spezie
  • parmigiano grattugiato
  • 8 uova
  • aglio, sale
  • una manciata di piselli ed una di funghi secchi
  • 2 litri circa di brodo di verdure

Procedimento

  1. Farsi preparare dal macellaio una pancetta di vitello con la sacca già pronta; lavarla e lasciarla sgocciolare bene poi asciugarla.
  2. Preparare il ripieno: rosolare nel burro tutte le carni, poi scolarle e metterle sul tagliere.
  3. Tritare finemente la polpa, la polla e l’animella; tagliare a pezzetti il resto.
  4. Versare tutto in un largo recipiente e aggiungere i piselli, i pinoli, uno spicchio d’aglio schiacciato, un pizzico abbondante di maggiorana ed i funghi ammollati e strizzati.
  5. Sbattere bene le uova, poi unirle a freddo al composto.
  6. Insaporite con un pizzico di sale e di spezie, aggiungere abbondante parmigiano grattugiato. 
  7. Mescolare tutto accuratamente, ma con delicatezza e, quando il composto sarà ben legato, riempire per due terzi la sacca della pancetta, tenendo presente che la carne cuocendo si ritira, mentre il ripieno si gonfia. 
  8. Cucire l’apertura della sacca, avvolgere e legare la cima così pronta in una pezzuola di tela bianca.
  9. Porla al fuoco in brodo un po’ caldo e lasciarla cuocere per un’ora a recipiente scoperto, poi incoperchiare  e far bollire ancora per dure ore.
  10. Servirla fredda.

Cristiano Tomei: così non va bene. Ecco cosa bisogna cambiare

La Cucina Italiana

Cristiano Tomei? C’era anche lui all’ultima edizione del congresso internazionale di Identità Golose 2023, che raccoglie per qualche giorno a Milano i più grandi cuochi (e non solo) del panorama mondiale. Quest’anno il tema principale era la rivoluzione, Signori e signore, la rivoluzione è servita, da intendere in tanti modi, assecondando l’indole e il pensiero critico di ciascuno.
Per noi di La Cucina Italiana la rivoluzione deve andare oltre il piatto, deve partire dalla cucina per arrivare sulle tavole di tutti. Anche Cristiano Tomei, lo chef toscano del ristorante Imbuto a Lucca, che ha appena aperto anche Corteccia, il suo nuovo ristorante a Milano, ha detto la sua su quello che va, appunto, rivoluzionato soprattutto parlando della brigata. 

Intervista a Cristiano Tomei

Come si può conciliare il lavoro molto impegnativo di un ristorante gastronomico con il benessere della brigata?
«Partiamo dal presupposto che il ristorante è un microcosmo a sé stante.
Noi cuochi, che poi diventiamo chef quando abbiamo una squadra che lavora con noi, non siamo solo creatori di simpatici piatti che condividiamo con i nostri clienti. Noi siamo persone che devono creare un gruppo solido e solidale. Non certo un gruppo tutto rose e fiori con le farfalline. Un gruppo che lavori insieme in modo costruttivo».

Che cosa significa?
«Nel nostro mestiere (come naturalmente in tanti altri) lavorare significa sacrificio, significa orari intensi, significa eseguire alla lettera quello che viene impartito, ma significa anche confronto costruttivo e, se necessario, scontro, sempre corretto e mai umiliante. Il ruolo dello chef è cercare di far collimare tutto questo. C’è una cosa però che non va mai persa di vista: siamo esseri umani e non macchine. Ma mettiamola una musica ogni tanto in cucina, qualcosa che ci faccia sorridere, che alleggerisca il peso dell’impegno. Fare uno sformato alle 8 del mattino con 700 uova e un chilo di panna non è detto che sia piacevole».

Che cosa è piacevole allora?
«Il lavoro del cuoco, seppur veramente arduo, perché non è come tutti gli altri. Gli orari sono pesanti, si lavora quando gli altri festeggiano oppure si riposano. È inutile girarci attorno: la cucina, non solo quella “gourmet”, anche di trattoria e di pizzeria, diventa sostenibile dal punto di vista umano, quando la collaborazione è a due sensi (tra chef e brigata e viceversa) e il rispetto è la prima regola. Se qualcuno sente il bisogno di tirare un tagliere o usare il torcione come frustino per esprimere il suo disappunto, è meglio che cambi mestiere. Perché lo sta facendo male e sta facendo male ai ragazzi. Tutti perdiamo la pazienza, ma c’è modo e modo, non si deve arrivare mai all’esasperazione. Ti faccio un esempio: noi adesso chiudiamo due giorni alla settimana e il ristorante va meglio che mai. Perché? I ragazzi sono più sereni e spensierati, e poi hanno la possibilità di essere davvero ragazzi».

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