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‘O filoscio, la ricetta napoletana tra omelette e frittata

La Cucina Italiana

Il filoscio ha il sapore di quelle sere in famiglia, quando si improvvisava una cena che doveva essere veloce, ma allo stesso tempo soddisfare la famosa voglia di “qualcosa di buono”. E per realizzare quel desiderio bastavano soltanto le uova e qualche pezzetto di formaggio, magari quel poco di mozzarella avanzata il giorno prima. Non c’era bisogno di impegnarsi nel difficoltoso capovolgimento di frittata e nemmeno in tecniche per omelette francesi impeccabili. È esattamente nel mezzo di queste due ricette che si trova ‘o filoscio, un piatto napoletano di umili origini e magnifica bontà. Così buono che, secondo le leggende, sarebbe stato molto amato da Carlo V di Spagna, che lo assaggiò durante una visita alla celebre Certosa di Padula, vicino Salerno.

Cos’è il filoscio?

Anche se le influenze francesi sulla cultura partenopea si fanno sentire, il filoscio napoletano si differenzia dalla classica omelette. Entrambe vengono cotte solo su un lato per poi essere ripiegate, ma gli ingredienti fanno la differenza: l’omelette viene cotta in una noce di burro e solitamente è farcita con ingredienti vari, in primis formaggio Gruyére, ma anche prosciutto, funghi, cipolle, erbe e così via; il filoscio, invece, va cotto nell’olio che sfrigola e come ripieno esige esclusivamente mozzarella o provola, garanzia per un cuore davvero filante, proprio come suggerisce il nome.

Come preparare il filoscio napoletano

Il bello della ricetta del filoscio è la sua estrema semplicità, per cui non è necessario seguire rigidi schemi. Il risultato finale potrà anche essere imperfetto, l’importante è che “fili”: per accertarvi che l’unica condizione sia rispettata, usate la mozzarella del giorno prima, che sarà più povera di liquidi e quindi più propensa a filare come si deve.

Ingredienti

uova 
mozzarella a fette 
sale, pepe 
olio extravergine di oliva

Preparazione

Rompete le uova in un piatto, aggiungete un pizzico di sale, abbondante pepe e sbattetele.

Ungete la padella con un filo di olio extra vergine di oliva e aggiungete il composto di uova solo quando sarà bello caldo. Iniziate a cuocere il filoscio a fuoco basso, aggiungete le fette di mozzarella solo su un lato e, non appena si sarà leggermente rappreso, ripiegatelo su se stesso.

Completate la cottura: in un paio di minuti il filoscio sarà dorato esternamente e custodirà al suo interno un ripieno di filante mozzarella.

Consumatelo al piatto oppure mettetelo nel cosiddetto cuzzetiello di pane, facendogli posto scavando un po’ di mollica dall’estremità di un filoncino di pane.

Ricerche frequenti:

Pane frattau: la ricetta sarda col pane carasau

La Cucina Italiana

A una prima occhiata potrebbe sembrare quasi una pizza un po’ strana, ma guardate più da vicino: questo è pane frattau (o pane fratau, con una sola t), un piatto della tradizione sarda, originario della Barbagia, zona centrale della Sardegna.

Il pane frattau consiste in una base di pane carasau ammorbidito nel brodo e condito con pomodoro, l’immancabile pecorino e un uovo cotto in camicia. Una ricetta semplice e antica, da provare a casa con alcuni consigli preziosi da parte di chi lo prepara ogni giorno. Ma partiamo dalle origini.

Pane frattau: origine

Secondo la leggenda, il pane frattau fu inventato dalle massaie sarde in occasione della visita in Sardegna del re Umberto I, per sorprenderlo con i pochi ingredienti che avevano a disposizione: pane carasau, conserva di pomodoro, pecorino grattugiato e uova del pollaio. Un piatto povero che entrò presto a far parte della tradizione dell’Isola.

La storia del pane frattau è da ricercare anche nel suo nome, che ne svela l’anima anti spreco. Fratau significa infatti grattugiato o ridotto in pezzi: in origine, i pastori in transumanza portavano con sé il pane carasau, l’acqua e un pezzo di pecorino o di salsiccia, il tutto riposto nella taschedda, un piccolo zaino in pelle; al ritorno a casa, il pane carasau che si era rotto in piccoli pezzi veniva recuperato proprio in questo modo, bagnandolo nell’acqua o nel brodo per ammorbidirlo e abbinandolo ai semplici ingredienti della tradizione contadina.

Pane frattau: ricetta

Come si prepara il pane frattau? L’abbiamo scoperto in un luogo dove il pane è protagonista: la Panefratteria di Sassari, una vera e propria trattoria del pane, guidata dal cuoco Paolo Pintus. Pane fratau, zuppa gallurese e zichi, tipico pane sardo, sono alcune delle specialità da assaggiare, ricette tramandate grazie alla passione di suo padre Giovanni e all’esperienza nel suo storico ristorante Li Lioni di Porto Torres, aperto 40 anni fa e guidato ancora oggi dagli altri fratelli Pintus.

Impanada (o panada): la ricetta dalla Sardegna

Impanada (o panada): la ricetta dalla Sardegna

Maria Antonietta Mazzone (nella foto) ci svela la ricetta di famiglia, tramandatale dalla nonna, delle impanadas o panadas, come spesso vengono chiamate in Sardegna questa specialità diffusa in tutta la regione e in particolare in tre località specifiche: Oschiri (Sassari), Assemini (Cagliari) e Cuglieri (Oristano). «Al mio paese – Buddusò, nella regione di Monteacuto – il suo nome è impanada (impanadas al plurale) ed esiste sia la versione piccola, che per mia nonna Ricchedda aveva la dimensione di un piattino da frutta, oppure s’impanadone ovvero la versione familiare, e quindi più grande, da cuocere rigorosamente al forno. C’è anche la parente povera della più nobile al forno, ed è s’impanadeda o petit-pâté. La versione al forno prevede un ripieno di carne di maiale (in genere la coscia) rigorosamente tagliata a coltello, lardo stagionato tagliato a tocchetti, e poi condita con aglio, prezzemolo, pomodoro secco, sale, timo e pepe fresco di macina. Mia nonna Ricchedda, fedele al detto che «Non si compra ma si fa, e si fa con quel che si ha», oltre che con la carne di maiale la preparava anche con la carne di pecora, racchiusa dentro uno scrigno di pasta violada (altra specialità sarda composta da farina di grano duro, sale, acqua e strutto) e chiusa poi con un decoro a pibiones (letteralmente “acini d’uva”, indica la tipica lavorazione sarda dei tappeti) realizzato a coltello, diverso dall’elegante cordoncino della panada di Oschiri. S’impanadeda o petit-pâté nella classica forma a mezzaluna ha invece un ripieno di carne macinata, pisellini o fagiolini, pomodoro secco, aglio e prezzemolo, sale, pepe e abbondante timo, sempre racchiusa in un velo di pasta violada. L’impanadone è un rito lento e cadenzato, sia nella preparazione sia nel consumo. La fretta è abolita nella preparazione della pasta violada che dà il meglio solo con il giusto riposo. Anche il ripieno è lento (una notte intera), per unirsi e fondersi amorevolmente con tutti i profumi: la dolcezza del pomodoro secco, il profumo pungente del pepe nero e l’odorosa freschezza del timo, almidda come si chiama dalle nostre parti. Il giusto riposo serve anche dopo la cottura, mai mangiarla subito. Mia nonna Ricchedda portava il suo impanadone in tavola e con una leppa (coltello tipico di Pattada) ne incideva il bordo sino a scoperchiarlo, la carne veniva servita a cucchiaiate a ogni commensale, iniziando dal più anziano. Distribuita la carne, porzionava poi un triangolo di coperchio e uno del fondo a ognuno, avendo cura di non sovrapporre mai i due triangoli per evitare che la parte interna, intrisa del sughetto di carne, andasse ad ammorbidire la croccantezza della parte esterna e soprattutto dei colorati pibiones».

Ricerche frequenti:

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