Impanada (o panada): la ricetta dalla Sardegna

Impanada (o panada): la ricetta dalla Sardegna

Maria Antonietta Mazzone (nella foto) ci svela la ricetta di famiglia, tramandatale dalla nonna, delle impanadas o panadas, come spesso vengono chiamate in Sardegna questa specialità diffusa in tutta la regione e in particolare in tre località specifiche: Oschiri (Sassari), Assemini (Cagliari) e Cuglieri (Oristano). «Al mio paese – Buddusò, nella regione di Monteacuto – il suo nome è impanada (impanadas al plurale) ed esiste sia la versione piccola, che per mia nonna Ricchedda aveva la dimensione di un piattino da frutta, oppure s’impanadone ovvero la versione familiare, e quindi più grande, da cuocere rigorosamente al forno. C’è anche la parente povera della più nobile al forno, ed è s’impanadeda o petit-pâté. La versione al forno prevede un ripieno di carne di maiale (in genere la coscia) rigorosamente tagliata a coltello, lardo stagionato tagliato a tocchetti, e poi condita con aglio, prezzemolo, pomodoro secco, sale, timo e pepe fresco di macina. Mia nonna Ricchedda, fedele al detto che «Non si compra ma si fa, e si fa con quel che si ha», oltre che con la carne di maiale la preparava anche con la carne di pecora, racchiusa dentro uno scrigno di pasta violada (altra specialità sarda composta da farina di grano duro, sale, acqua e strutto) e chiusa poi con un decoro a pibiones (letteralmente “acini d’uva”, indica la tipica lavorazione sarda dei tappeti) realizzato a coltello, diverso dall’elegante cordoncino della panada di Oschiri. S’impanadeda o petit-pâté nella classica forma a mezzaluna ha invece un ripieno di carne macinata, pisellini o fagiolini, pomodoro secco, aglio e prezzemolo, sale, pepe e abbondante timo, sempre racchiusa in un velo di pasta violada. L’impanadone è un rito lento e cadenzato, sia nella preparazione sia nel consumo. La fretta è abolita nella preparazione della pasta violada che dà il meglio solo con il giusto riposo. Anche il ripieno è lento (una notte intera), per unirsi e fondersi amorevolmente con tutti i profumi: la dolcezza del pomodoro secco, il profumo pungente del pepe nero e l’odorosa freschezza del timo, almidda come si chiama dalle nostre parti. Il giusto riposo serve anche dopo la cottura, mai mangiarla subito. Mia nonna Ricchedda portava il suo impanadone in tavola e con una leppa (coltello tipico di Pattada) ne incideva il bordo sino a scoperchiarlo, la carne veniva servita a cucchiaiate a ogni commensale, iniziando dal più anziano. Distribuita la carne, porzionava poi un triangolo di coperchio e uno del fondo a ognuno, avendo cura di non sovrapporre mai i due triangoli per evitare che la parte interna, intrisa del sughetto di carne, andasse ad ammorbidire la croccantezza della parte esterna e soprattutto dei colorati pibiones».

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