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Dall’agricoltura alla fermentazione: i nuovi confini del cibo

La Cucina Italiana

Per anni abbiamo consumato cibo in maniera sicuramente eccessiva, nella convinzione che fosse illimitato e nella certezza che potessimo trovarlo economico. Un modello che l’America ci ha mostrato e insegnato bene, grazie alle maxi porzioni e alle molteplici forme e proposte di cibo. L’offerta sembrava infinita, finché non lo è stata. Negli ultimi decenni, un ritmo incessante di documentari, libri e disastri crescenti ha reso chiaro che l’attuale sistema alimentare americano, pieno di fabbriche e mangimifici, non può essere sostenuto senza far ammalare il pianeta e i suoi abitanti. L’agricoltura industriale, responsabile di un terzo delle emissioni di gas serra nel mondo, sta distruggendo gli ecosistemi.

Ma gli americani, come buona parte del resto del mondo, oggi sono più consapevoli di un tempo. Molte persone dichiarano di voler ridurre il consumo di carne e latticini. Tuttavia, i sistemi sono ostinati e i gusti sono difficili da cambiare. Gli scienziati sono quindi alla ricerca di soluzioni che rendano economici, accessibili e molto più sostenibili gli alimenti ricchi di proteine La buona notizia? Delle risposte ci sono già.

Il problema delle proteine

Partiamo dal presupposto che le persone hanno bisogno di proteine per una dieta sana ed equilibrata. Ma questo, sotto alcuni punti di vista e con certe modalità, è diventato un problema per il pianeta. Soprattutto l’industria nel suo complesso è la causa principale della distruzione degli habitat, della perdita della fauna selvatica, dell’estinzione, dell’uso del suolo, del degrado del suolo, dell’uso dell’acqua e una delle cause principali del collasso climatico.

Per questa ragione è aumentato lo sviluppo di alternative alla carne ad alto contenuto proteico ricavate dalle piante: prodotti che, fino a pochi anni fa, erano una novità, consumati solo da una piccola nicchia. Oggi la situazione è cambiata: le alternative vegetali sono più diffuse, come quelle di Beyond Meat e Impossible Foods. Anche la domanda di alternative ai latticini è cresciuta. Oggi, i prodotti a base di mandorle, avena e altri prodotti non caseari rappresentano una buona fetta di proposta nei nostri supermercati.

C’è da dire però che anche se le proteine sono disponibili in altre forme, non sono la stessa cosa. I ricercatori, infatti, stanno lavorando a una soluzione in grado di replicare questi nutrienti, sapori e consistenze.

Un futuro fermentato?

La fermentazione, essenziale per la produzione di pane, birra e formaggio a lievitazione naturale, esiste da secoli. Ma i progressi nella scienza della fermentazione stanno anche aiutando i ricercatori a separare gli animali dalle proteine che producono. In particolare, la “fermentazione di precisione” sta aiutando gli scienziati alimentari a coltivare gli ingredienti presenti nei prodotti animali senza la necessità di un allevamento tradizionale. Al contrario, gli scienziati isolano gli ingredienti specifici e poi ne moltiplicano le cellule in serbatoi in stile birreria. Il risultato? Uova, latte e carne senza animali, biologicamente simili ai prodotti animali.

Le recenti innovazioni nella fermentazione di precisione stanno permettendo agli scienziati di replicare, ad esempio, “l’esatto acido grasso” che rende la carne simile alla carne. Gli esperti sostengono infatti che questi sviluppi contribuiranno a colmare il divario tra i prodotti di origine vegetale e i loro analoghi di origine animale, rendendoli quasi indistinguibili in termini di gusto e consistenza.

Incremento

C’è molto entusiasmo per questa innovazione. Ma la domanda rimane: quanto velocemente ed efficacemente le aziende che lavorano in questo spazio possono incrementare il proprio lavoro e portare i prodotti in fase di sviluppo sul mercato? La crescita di questo spicchio d’industria delle carni alternative è stata in gran parte favorita dagli investimenti privati. E l’interesse è in aumento. Tuttavia, le start-up che lavorano all’innovazione degli alimenti fermentati devono affrontare “inefficienze intrinseche”. Per avere successo e ottenere un ritorno per gli investitori, devono costruire nuove infrastrutture e coltivare talenti in un’industria alimentare abituata a sostenere l’allevamento di animali. Insomma, sorgono problemi di redditività, monopolio e regolamentazioni. 

Non resta che aspettare per vedere gli effettivi sviluppi e crescita del settore.

Fonte: The New York Times

Mai assaggiato kebab vegetale? | La Cucina Italiana

Mai assaggiato kebab vegetale? | La Cucina Italiana

Mai provato il kebab vegetale? Abbiamo assaggiato per voi un ingrediente che ormai per molti non è più avanguardia ma quotidiana realtà, soprattutto tra gli under 30: la ‘carne vegetale’. E se il termine vi fa scorrere un brivido lungo la schiena, ricredetevi: questo è il futuro, ed è davvero deliziosamente sorprendente.

La storia che raccontiamo è quella di Planted, ex start up oggi un caso (anche finanziario, visto il successo commerciale) tra le varie proposte plant-based intorno a voi. Magari la conoscerete già, soprattutto se scrollate religiosamente le vostre app-delivery preferite.

Molte catene infatti, come KebHouze e I Love Poke, propongono piatti con carni vegetali proprio succulente. Il comune denominatore è Planted, ormai numero uno in Europa per commercio e sviluppo di carne vegetale gustosa, saporita per ricettazione e proposta visiva molto simile a quella animale. Il risultato al palato è davvero interessante.

Come funziona? L’azienda  acquista farine vegetali provenienti da diversi fornitori europei di legumi, semi e cereali. Nel loro quartier generale a Kemptthal vicino a Zurigo, all’interno di una serra di vetro, veicolo di trasparenza e correttezza, Planted trasforma le materie prime in un impasto a fibra allungata, aggiungendo acqua calda, vitamina B2 e olio di canola. Questo viene successivamente tagliato in macchina a seconda della forma di prodotto che si vuole ottenere.

Cactus Kitchen & Bar, l’oasi green e naturale a Milano | La Cucina Italiana

Cactus Kitchen & Bar, l'oasi green e naturale a Milano
| La Cucina Italiana

Cactus è capitanato dallo chef Alessio Sebastiani, classe 1990, che dopo anni di esperienza nei più raffinati ristoranti d’Europa, Inghilterra e Stati Uniti, ha acquisito competenze culinarie internazionali riportando oggi nei suoi piatti sapori e saperi legati alla sua terra e ai suoi ingredienti con un estro e creatività tali solo di chi ha assaporato e conosciuto il mondo. La linea di pasticceria, affidata a Eva Galimberti, è un’altra perla della proposta gastronomica green e salutare.

La mission del locale è far vivere agli ospiti un’esperienza totalmente nuova, creando curiosità e stupore su quanto possa essere delizioso il cibo sano, portando, magari in futuro i commensali ad aumentare l’interesse sulla provenienza del cibo che quotidianamente mangiamo.
La sfida attuale di Cactus? Portare, in una zona blasonata come quella di Moscova, una proposta di alta ristorazione con un principio etico basato sulla sostenibilità e attento al pianeta.

L’intervista allo chef di Cactus Kitchen & Bar Alessio Sebastiani

Come definisci l’anima di Cactus Kitchen & Bar?

“La definisco un’anima verde, come un’onda da dover cavalcare. Verde nella totalità del termine, come filosofia. Vogliamo eseere giovani e genuini, con un’anima facile da capire: vera e genuina e sensibile. Ho creato un locale modaiolo con una filosofia specifica, il mio obiettivo è di aprire le porte a tutti i consumatori, con un intento e profondità di ricerca green ben specifica”.

Il cliente di oggi capisce il tuo messaggio?

“Chi lo ha capito è una clientela internazionale che era già arrivata a questo punto e ha già cavalcato quest’onda. Il cliente italiano lo deve ancora capire ad oggi, ma questa è la mia sfida”.

Il rapporto con i fornitori?

“Ho scelto fornitori locali, in Lombardia, chiedendo prodotti di stagione. Con i produttori ci aiutiamo a vicenda per servire un prodotto giusto e consono rispetto al momento e alla domanda”.

Qual è il tuo punto forte?

“La mia passione”.

La tua sfida più grande?

“Anzitutto riuscire a trasmettere almeno il 10% della mia filosofia”.

Il tuo piatto preferito di cactus?

“L’orto di Cactus. È un piatto che cambia sempre e che mi fa sentire libero: può avere frutta o verdura a seconda della stagionalità e di quello che mi va. L’orto è il piatto se vuoi più “banale” ma anche il più concettuale”.

La tua è una cucina vegetale e l’unica proteina animale con cui lavori è il pesce, come lo scegli?

“Cerco di lavorare con piccoli pescatori, e pescato, nulla di allevamento. Per etica ho scelto di non proporre carne e pescato di allevamento, focalizzandomi sulle verdure”.

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