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La pizza esiste (almeno) da 2000 anni: ecco le prove da Pompei

La Cucina Italiana

In Campania si mangia pizza almeno da 2000 anni. A provarlo un affresco emerso in questi giorni nel Parco Archeologico di Pompei in cui è raffigurato un vassoio con sopra frutta, verdure, una zuppa e un disco di pasta che ha tutta l’aria di essere proprio l’antenato del piatto più famoso e amato del mondo. Certo, dato che Cristoforo Colombo allora non aveva ancora importato il pomodoro dalle Americhe, e che non era ancora stata inventata la mozzarella, il condimento è diverso, ma per il resto non c’è dubbio: gli antichi pompeiani già impastavano acqua e farina seguendo riti e movenze di un’arte  – quella dei pizzaioli – che nel 2017 è diventata Patrimonio dell’Umanità. 

La pizza a Pompei

Foto Facebook Parco Archeologico di Pompei

Gli archeologici del Parco Archeologico di Pompei, per la precisione, parlano di una focaccia di forma piatta che a sua volta funge da contenitori di frutti (un melograno  e forse un dattero) e condita con spezie e un tipo di pesto (i puntini color giallastro e ocra). Non è una rarità, va detto anche questo. Immagini di questo tipo sono comuni nell’iconografia pompieana: si chiamano «xenia», e raccontano di doni ospitali che venivano serviti agli ospiti, o alle divinità, secondo una tradizione greca. Quello che colpisce è però, appunto, questa «pizza». Perché è lì? Sempre secondo gli studiosi lo spiega un passo dell’Eneide in cui Virgilio parla di pani sacrificali, come «mense» raccontando che venivano usati per contenere la frutta e che poi venivano mangiati una volta finita la frutta. Ad avvalorare la tesi sulla pizza, il posto in cui è stato rinvenuto l’affresco: nell’atrio di una casa dell’Insula 10 della Regio IX in corso di scavo, a cui era annesso un panificio»

Un piatto povero e ricchissimo

Foto Facebook Parco Archeologico di Pompei

«Oltre all’identificazione precisa dei cibi rappresentati, ritroviamo in questo affresco alcuni temi della tradizione ellenistica, elaborata poi da autori di epoca romana-imperiale come Virgilio, Marziale e Filostrato», commenta il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. «Penso – prosegue –  al contrasto tra un pasto frugale e semplice, che rimanda a una sfera tra il bucolico e il sacro, da un lato, e il lusso dei vassoi d’argento e la raffinatezza delle rappresentazioni artistiche e letterarie dall’altro. Come non pensare, a tal proposito, alla pizza, anch’essa nata come un piatto povero nell’Italia meridionale, che ormai ha conquistato il mondo e viene servito anche in ristoranti stellati». 

Pompei e la cultura italiana

«Pompei non finisce mai di stupire, è uno scrigno che rivela sempre nuovi tesori», dichiara il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. «Va sottolineato il valore globale di questo sito al quale stiamo dedicando le nostre cure, con la chiusura del Grande Progetto Pompei ma anche con l’avvio di nuove iniziative. La tutela e lo sviluppo del patrimonio, in ossequio all’art. 9 della Costituzione, sono una priorità assoluta».

la scuola di pizza esiste davvero. E ci siamo stati. | La Cucina Italiana

la scuola di pizza esiste davvero. E ci siamo stati.
| La Cucina Italiana

La Pizzeria dell’Impossibile, che sopravvive esclusivamente grazie ai Fratelli La Bufala e ad alcuni suoi fornitori, per statuto accetta solo giovani i cui reati – seppure gravi – non coinvolgono donne e bambini. Ma per le lezioni interne al carcere di Finché c’è pizza… c’è speranza la selezione spetta all’Istituto Penitenziario. A Nisida si svolgono ogni giovedì, in una cucina che si affaccia su una stanza luminosa dai tavoli allineati lungo le pareti. Intorno, la vegetazione mediterranea si arrampica sull’isola vulcanica oltre la collina di Posillipo fino a cento metri di altitudine. In basso luccica il Golfo di Napoli.

«Ospitiamo tra i 50 e 55 ragazzi con un’età media di 18-19 anni, italiani nel 65% dei casi, molti dei quali con condanne pesanti», spiega Gianluca Guida, che dirige la struttura da un quarto di secolo. Nell’ottica di ridare un senso a vite piegate sul nascere spesso dalle stesse famiglie – attanagliate dalla miseria, dall’incuria e dalla criminalità in aree “a rischio” come i Quartieri Spagnoli o rione Sanità – i laboratori sono diversi. Si va da quelli destinati all’alfabetizzazione ai corsi per recuperare il senso di sé e per educare alla genitorialità, «perché qui i ragazzi, a 17 anni, vogliono già diventare padri. Un po’ per replicare la storia familiare e un po’ con l’idea infantile di costruire qualcosa». Poi ci sono le attività sportive e i progetti per imparare un mestiere, «prevalentemente nel campo edile e in quello del food che oggi aprono maggiori possibilità». Ecco dunque, oltre alla pizza, le lezioni di pasticceria, di catering e di street food napoletano.

Ma, una volta usciti, quanti riescono a imboccare una nuova vita? «Alcuni ce la fanno, altri possono avere un inciampo e ritornare. Ma non è mai una sconfitta. Il nostro compito, ogni volta, è fornire tutti gli strumenti possibili, poi tocca a loro: nella mia carriera, ho visto trionfare molti su cui non avrei scommesso un centesimo».

I fan di Mare Fuori probabilmente saranno delusi dal sapere che, no, le ragazze a Nisida non ci sono più da anni: erano rimaste in due, troppo poche per giustificare una sezione. «Ovviamente ci sono altri “dettagli” poco veritieri. Una certa assenza o inefficacia delle figure adulte del carcere, per esempio», aggiunge il direttore Gianluca Guida. «Ma va bene così, la fiction funziona e ha avuto il merito di portare sotto i riflettori un problema su cui c’è davvero ancora molto da lavorare». Cosa ne pensano, invece, i ragazzi di questo modo nuovo di raccontare anche gli aspetti fragili dei criminali in erba? «A loro piace Gomorra, citano a memoria le battute de Il camorrista, mentre in Mare Fuori faticano a identificarsi. Ma io sospetto che questo avvenga per un meccanismo di difesa».

(in foto, da sinistra a destra: Francesca Marotta e Lelia Castellano, rispettivamente figlia e moglie del fondatore di Fratelli la Bufala Geppy Marotta, con il presidente dell’associazione Scugnizzi Antonio Franco)

Ricerche frequenti:

La pizza al burro esiste, e la fanno a Caserta

La Cucina Italiana

«Con il burro fanno il panettone, i biscotti, i croissant e tante altre lavorazioni. Perché non provare a fare anche la pizza al burro?». L’idea è venuta a Ciccio Vitiello, giovane artigiano casertano, già “Migliore Giovane Pizzaiolo d’Italia e del Mondo” secondo 50 Top Pizza. Eresia? I suoi clienti dicono di no.
In realtà non il burro, ma lo strutto, è uno degli ingredienti che nella pizza si è sempre messo. Così si faceva prima ancora dell’avvento del pomodoro e quando il grasso di maiale era più diffuso dell’olio di oliva. Ancora oggi si mette in molti impasti di rosticceria e nelle pizze alla scarola. Ma il burro no: essendo un ingrediente più diffuso nel nord dell’Italia e meno nelle regioni che sono patria della pizza, resta effettivamente qualcosa di eretico. Lo strutto (un cucchiaio, nulla di più) si aggiunge nell’impasto della pizza per darle croccantezza e fragranza, il burro invece la rende più morbida e scioglievole, dal sapore delicato e dolce. Qualcosa di innovativo.

Quale burro: centrifuga

L’aggiunta del burro, e quindi di un grasso, ha la sua importanza nel risultato sull’impasto, ma anche il sapore ne viene arricchito. Non un burro qualunque, però: in Italia buona parte del burro che si trova sugli scaffali del supermercato è “burro di affioramento” ossia un sottoprodotto della produzione del formaggio. Il burro così ottenuto è più bianco e meno saporito (ma ben più economico) del “burro di centrifuga”, fatto invece a partire dalla panna e che conserva tutti i sapori e gli aromi del latte, oltre che la materia grassa. Il burro francese tanto decantato dai pasticcieri non è altro che burro di centrifuga fatto a partire da latte di buona qualità, ma fatto Oltralpe.

Burro di centrifuga italiano

«Già mettevo il burro come topping prima di conoscere Brazzale, quando mi hanno presentato il loro burro ho capito che potevo fare di più e metterlo nell’impasto per creare qualcosa di innovativo, come ho sempre fatto». È così che il pizzaiolo gourmet Ciccio Vitiello racconta la nascita della pizza superiore al burro presentata in esclusiva al Cibus di Parma di quest’anno. In Italia Fratelli Brazzale produce infatti il Burro Superiore, ottenuto da panna di centrifuga, la zangolatura avviene entro le 24 ore dalla mungitura per conservare tutti gli aromi del latte. È totalmente naturale e ricco di vitamine (A, D, E) e acido linoleico, oltre ad avere un’alta spalmabilità, rendendolo ingrediente perfetto per gli impasti.

30% di burro, risultato scioglievole

«Nell’impasto adopero il 30% di burro, utilizzando quello al finocchietto, all’erba cipollina o al sale affumicato. Ho scelto questi burri aromatizzati per dare una spinta in più all’impasto e legarlo ancora meglio con l’abbinamento che si mette sopra la pizza», racconta Ciccio. L’impasto viene fatto con la tecnica della biga, riposa 18 ore prima di aggiungere il burro aromatizzato. Viene quindi lavorato fino a ottenere un una massa compatta che riposa due ore prima dello staglio (la porzionatura in panetti). Viene quindi lasciato riposare altre due ore, steso e infornato prima in forno a vapore e poi in forno statico. Al momento del servizio viene fatto un ultimo passaggio in forno statico su pietra refrattaria e poi la pizza viene finalmente sfornata e guarnita. «Il risultato è una scioglievolezza unica, fonde letteralmente in bocca quando si mangia. A caldo, poi, ci aggiungiamo un altra nocciolina di burro».

La pizza al burro di Ciccio Vitiello 

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