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Carbonara romana: nella Capitale la fanno proprio così

Carbonara romana: nella Capitale la fanno proprio così

Qual è il tuo piatto preferito all’Antica Pesa? Francesco Panella: «Sono fortunato perché vado in cucina e mangio le prove di Simone. Non mangio mai i piatti del menù, ma le prove: mi usa da cavia. È un momento molto bello perché lo facciamo insieme. C’è tanta creatività e voglia di fare e di innovare. Un piatto preferito non c’è perché aspetto il prossimo di Simone, ogni volta mi sorprende con cose molto buone gustose che mi rimangono a lungo nel palato». 

Mentre la ricetta delle Pennette alla SiFraLo e la cacio e pepe le trovate sul libro 100 anni di cucina romana nelle ricette e nella storia dell’Antica Pesa, qui di seguito per i lettori di “La Cucina Italiana” la ricetta della carbonara come la fanno all’Antica Pesa da sempre.

Spaghetti alla Carbonara

Ingredienti (per 4 persone)

4 tuorli 
pepe nero q.b. 
200 g di guanciale a listarelle 
400 g di pasta 
150 g di pecorino 
25 cl di vino bianco

Procedimento

In una padella antiaderente lasciate cuocere il guanciale a fuoco lento finché non diventerà dorato e croccante, poi tenete da parte metà delle listarelle croccanti e sfumate le restanti con il vino bianco.

In una boule, unite il pecorino, le uova, il guanciale sfumato col proprio grasso e pepe nero macinato grossolanamente; amalgamate il tutto fino a ottenere un composto omogeneo.

Scolate gli spaghetti al dente e uniteli al composto, iniziando a mantecare a bagnomaria. La salsa comincerà a sciogliersi e poi a rapprendersi. Quando avrà raggiunto la giusta densità, impiattate guarnendo col guanciale croccante, una spolverata di pepe e pecorino.

La carbonara secondo l’Antica Pesa, dal libro 100 anni di cucina romana nelle ricette e nella storia dell’Antica Pesa

«Piatto conosciuto a livello internazionale la cui ricetta è interpretata nei modi più disparati, in realtà si presenta sui menù romani molto più tardi rispetto ai grandi primi di pari livello: non se ne trova traccia nei grandi ricettari italiani e nelle guide fino agli anni 50, e solo qualche tempo dopo comincia ad apparire nei menù guadagnandosi fama e notorietà.
Spesso il piatto era in carta, ma con un nome diverso da quello con cui tutti oggi lo conosciamo: su una guida degli anni 70 si identifica la Carbonara negli Spaghetti alla Poverella provati all’Antica Pesa.
L’ipotesi più accreditata è che, dopo lo sbarco degli americani ad Anzio durante la guerra, si sia tentato di congiungere le tradizioni gastronomiche romane al gusto eggs and bacon tipico degli usa, il che spiegherebbe tra l’altro la grande popolarità di questo piatto Oltreoceano.

Qui, come nel Cacio e pepe, la buona esecuzione è basata sulla manualità e il colpo d’occhio. Noi usiamo mantecare gli spaghetti in boule d’acciaio a bagnomaria a 80°C per alcuni secondi. Questa temperatura ci consente di effettuare una pastorizzazione e addensare il composto senza però portarlo in cottura.
Si deve raggiungere la densità giusta valutando la tendenza della salsa a rapprendersi: per allentarne la consistenza ci si può eventualmente aiutare con un cucchiaio di brodo vegetale, per tirare la salsa invece basta prolungare il bagnomaria.
Ovviamente anche qui la qualità dei prodotti fa la differenza: uova biologiche, pecorino romano stagionato e guanciale artigianale sono indispensabili per avere risultati di livello».

Castagne bollite: come si fanno?

La Cucina Italiana
Castagne bollite

Come cucinate le castagne in genere? Molti le comprano già cotte nei baracchini per strada, molti le mettono in forno e i più fortunati le cuociono nel camino. Ma fare le castagne bollite è uno dei modi più semplici per portarle in tavola!
Il risultato sono dei bocconcini dolci e morbidi che si mangiano uno dietro l’altro, anche al naturale, e sono inoltre perfetti per la realizzazione di molti piatti dolci e salati.

Castagne bollite: come si fanno?

La ricetta delle castagne bollite è davvero facile, ma con i nostri trucchi lo sarà ancora di più.

Prima di tutto prendete le castagne e lavatele bene sotto l’acqua fredda, per togliere tutte le impurità: questa operazione andrà fatta bene se le avete colte con le vostre mani, normalmente le castagne del supermercato e del mercato sono state già parzialmente lavate.
Mettetele in una pentola dai bordi alti e copritele di acqua fredda: per 1 kg di castagne ci vorranno 3 litri di acqua.
Aggiungete un pizzico di sale, qualche foglia di alloro e, a chi piace, qualche seme di finocchio. Un trucco? Mettete nell’acqua un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva, sarà più facile sbucciarle dopo.
Fate bollire l’acqua e dal bollore contate minimo 40 minuti prima di toglierle dal fuoco. Potrebbe volerci anche un’ora, dipende dalla dimensione delle castagne. Una volta scolate saranno pronte per essere sbucciate e mangiate!

Castgane bollite in pentola a pressione

Se avete a disposizione una pentola a pressione, potete cuocere le castagne ancora più velocemente! Dopo averle lavate, mettetele nella pentola in abbondante acqua fredda. Chiudete il coperchio e le valvole e fate cuocere finché la pentola non emetterà il consueto fischio. A quel punto lasciatele in pentola altri 20 minuti. Infine spegnete la fiamma, fate uscire il vapore e aprite la pentola. Le castagne sono pronte!

Castagne al microonde

Un risultato simile alle castagne bollite si può ottenere anche con la cottura al microonde.

Iniziate incidendo la buccia delle castagne sul lato più tondeggiante. Immergetele in acqua fredda per 10 minuti in modo da ammorbidirle. Scolatele e posizionatele su un piatto da microonde con il lato inciso verso l’alto, poche alla volta, senza sovrapporle. Cuocete a circa 750-800 W per 5-6 minuti, vedrete che la buccia si aprirà da sola! Una volta cotte, avvolgetele bene in uno strofinaccio o chiudetele in un sacchetto per 5 minuti prima di consumarle: in questo modo riuscirete a sbucciare più facilmente.

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Eolie, le caprette fanno ciao!

La Cucina Italiana

Ci avviciniamo a piedi, apriamo il grande recinto dove sono state di notte, e subito capre e pecore si fanno intorno perché sanno che cosa portiamo e perché un saluto al proprio pastore non si nega. «Le capre sono birbanti», dice Tindaro accarezzandone un paio, «ne combinano sempre una, però si affezionano e mia figlia Immacolata, che mi aiuta e che se vorrà prenderà il mio posto, le chiama per nome». 

È il momento di mungere le capre (non tutte perché alcune stanno allattando i capretti) e di tosare le pecore, perché fa caldo. Tindaro tira fuori dei grossi forbicioni piatti per fare questa operazione a mano. Immacolata afferra una pecora, la distende a terra, le lega le zampe perché non rischi, muovendosi, di farsi male, e con poche mosse delicate e rapidissime la tosa completamente. Siamo in due a osservarla con ammirazione e un poco di timore, io e l’agnello della pecora tosata, che non lascia la mamma per nessun motivo e controlla che tutto fili liscio. In un attimo la pecora è di nuovo libera e molto più leggera, a terra rimane una soffice montagna. «Una volta la lana si vendeva, venivano a prenderla dalla Sicilia, adesso non la vuole più nessuno e dobbiamo smaltirla. Mia mamma la filava», racconta Tindaro con un brillio negli occhi, «le sue calze e i suoi maglioni erano caldi come un abbraccio, in inverno ci si divertiva con quelli addosso».

Ci spostiamo verso un altro pascolo più in alto, in una bellissima pineta in una zona chiamata ’A Turricedda, per ripetere le stesse operazioni. Lì ci aspettano Manuelita, Gerardina e Nerina, che dopo aver svolto tutte le operazioni non ci lasciano andare via senza una dose di carezze. Ripartiamo ancora per altre due tappe e presto sarà ora di riprendere da capo il giro per radunare gli animali e ricoverarli nei recinti per la notte. Domani arriverà presto per ricominciare.

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