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Bottura, Osteria Francescana: Vieni in Italia con me, l’ultimo menù

Bottura, Osteria Francescana: Vieni in Italia con me, l'ultimo menù

I due bambini seduti ai tavoli dell’Osteria Francescana coi genitori, di certo non sapevano che ognuno dei piatti divertenti e buonissimi che stavano mangiando era anche un ripasso della storia d’Italia che studiano a scuola.

In questo senso la portata più simbolica tra quelle del nuovo menù di Massimo Bottura, intitolato Vieni in Italia con me, è il Risotto come una parmigiana di melanzane che, unendo il dominante risotto padano al pomodoro e alle melanzane del Sud celebra nel piatto l’incontro di Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, che anticipa di fatto l’unità d’Italia.

Ma ognuna delle sedici portate ribadisce l’incontro con angolazioni diverse. Dopo i primi amuse-bouche, la provocazione è stagionale nel Panettone, lenticchie e cotechino, due bocconi morbidi da mangiare con le mani, i quali sanciscono che i vecchi simboli della tavola di Natale e Capodanno non hanno più stagione. 

Mentre l’ Insalata di mare, che racchiude in un’ostrica un piccolo universo vegetale coperto da un foglietto di plexiglass marroncino a richiamare il colore del mare inquinato, è il delta del Po ripulito grazie alla campagna di sensibilizzazione promossa dalla Francescana. Sposti il foglietto, il verde brilla, i sapori squillano.

E difatti Piadina, rucola, squacquerone e alici, è il manifesto di quattro bandiere della cucina popolare trasfigurate in un piatto di raffinatezza giapponese nel taglio e nel sapore. Così, piatto dopo piatto, Massimo Bottura sussurra “Vieni in Italia con me”. 

La prima volta che l’ha detto era il 2014, quando si è presentato sul palcoscenico del White Guide Global Gastronomy Award di Londra avvolto nella bandiera tricolore.  Da allora lo ha fatto molte volte con la convinzione, mentre tutti parlavano ancora di spaghetti e pizza, che quello era il messaggio della nostra cucina. Ma ci è voluto coraggio. E una visione. 

La sua nasce da corto circuiti fulminanti tra arte e fornelli: dal ritratto realizzato con un punto sulla tela dal pittore De Dominicis (“E’ lei visto da dieci chilometri di distanza”, aveva spiegato l’artista all’esterrefatto cliente) che gli ha insegnato a vedere le cose da lontano, all’amicizia con Maurizio Cattelan, da cui ha assorbito l’impulso a ribellarsi, a ricordare per poi cancellare. Lo racconta nell’introduzione del suo ricettario, non a caso intitolato Vieni in Italia con me, pubblicato da Phaidon nel 2014, ma sapendo bene che mentre un artista può fare ciò che vuole, il grande cuoco è un artigiano con l’ossessione della qualità, il quale alla fine deve far dire: che buono! 

E allora i protagonisti di Viaggio nel Bel Paese sono (tre) ravioli, contenitori di idee viaggianti nel loro ghiotto scrigno di pasta: dalla robiola affumicata e nocciole a Nord, alla cacciatora di pollo al Centro, alla crema di olive e scarola a Sud, che di proposito fuoriesce un po’ dal suo guscio perché “è dalla imperfezione che nascono le idee nuove”.

Come si mangia all’Osteria Francescana di Bottura

Sono loro, insieme a quindici cuochi del passato, gli autori del nuovo rivoluzionario menù dello chef più amato del momento. Come e cosa si mangia al tre stelle Michelin

Ci sono almeno tre eccellenti ragioni per aver voglia di andare all’Osteria Francescana a Modena da Massimo Bottura. Che sono le stesse per cui ci vado io da quando, circa venti anni fa, l’ho conosciuto. Uno: è tra i più grandi cuochi contemporanei, capace, per dire, di fare tanto i tortellini del mignolo come faceva sua nonna quanto il Croccantino di foie gras. Due: le sfide lo divertono. Dategli una buccia di banana e un avanzo di guanciale e lui ritorna con una carbonara mai assaggiata prima (lo ha fatto alle Olimpiadi di Rio de Janeiro. Tre: quando ancora nessuno chef ci aveva pensato, ha inventato il Refettorio, l’evento che coinvolge la cucina e l’arte per offrire una tavola bella e buona a chi ne ha bisogno. E poi naturalmente c’è lui, che mentre ti dà delle cose buonissime da mangiare, ti fa riflettere su come si può vedere nel Covid tempo regalato per pensare e creare, non soltanto un disastro.

(ph Nicole Marnati)

Nuovo menù all’Osteria Francescana

Perciò adesso alla Francescana c’è il suo nuovo menù di cui si parla molto: diciassette portate nate dall’interpretazione di altrettante ricette dei cuochi che hanno fatto la storia della gastronomia italiana dal Sessanta a oggi. Titolo: “With a little help from my friends”. Gli amici che gli hanno dato “a little help”, un piccolo/grande aiuto, sono gli amati Beatles che lo hanno ispirato con la copertina psichedelica di “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, oltre ad avergli prestato il titolo del menù, e i ragazzi della sua brigata, un mix formidabile di etnie, con cui si è immerso in quelle ricette mitiche e quattro mesi dopo ne è emerso con la sua interpretazione della cucina contemporanea. Attenzione però, perché “interpretare” qui non vuol dire semplicemente ripensare con mentalità contemporanea ma osare la totale licenza poetica.

Mi spiego. La “Cipolla Fondente” (quarta portata del menù) datata 1990, di Salvatore Tassa– una cipolla svuotata, infornata e riempita con una purea della sua polpa- è diventata una sfoglia impastata con la cipolla, rollata e tostata in forno: “Per rendere onore alla cipolla”, dice Bottura, “cibo povero che ha sfamato generazioni”. Perché un cibo può essere anche un manifesto ideologico.

Il fondo bruno del Risotto di Nino Bergese (portata n.9), ex cuoco della Real Casa approdato negli anni Sessanta a Genova – cioè chili di carne pregiata ridotti a qualche mestolo di fondo e poi buttati- diventa un brodo leggero di riso tostato. Perché oggi il lusso non è più spreco.

Un piatto sontuoso come il “Controfiletto del San Domenico” del 1975 (portata n.7), lardellato con pancetta affumicata e cotto con burro alla maître d’Hotel, sempre di Bergese subisce un trattamento ancora più drastico: il vitello diventa una fetta di melanzana, la pancetta verdure polverizzate, il burro una salsa alle erbe. Era un piatto per ricchi carnivori, ora è una delicatezza vegetariana. A volte il salto è concettuale.

Nel 2005 Fulvio Pierangelini inventa le Capesante ripiene di mortadella “ma per me ripieno vuol dire raviolo e raviolo vuol dire contenitore di idee”, dice Bottura. Ed ecco (portata n.6) dei ravioli impastati con la mortadella, cotti al vapore come dei fagottini cinesi, appoggiati su un cerchio di mela verde, serviti con un chowder di finocchio affumicato. E così, per altri tredici piatti.

Ma non aspettatevi presentazioni scenografiche: qui la tecnica è al servizio della sublimazione della materia prima, non dell’ego del cuoco. Le portate, nella loro nuda eleganza, lasciano sbalorditi solo quando arrivano al palato.

Alla fine avrete fatto un’esperienza, anche mentale, impegnativa, adatta a chi voglia vedere a che punto è la continua evoluzione di un cuoco che non smette di stupirci. Tre, quattro ore a tavola, 290 euro, più 190 se si sceglie l’abbinamento con i vini. Ma se voleste conoscerlo in modo più disteso, sempre alla Francescana si può scegliere di mangiare alla carta con tutto il repertorio botturiano. Oppure prenotare in una delle sue altre personificazioni. Per le quali vi rimando al prossimo capitolo.

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