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La “Stella Verde” Gianni Tarabini racconta la cucina valtellinese

La Cucina Italiana

Le meraviglie della Lombardia sono state protagoniste della Festa dell’Orgoglio Locale, un ricco calendario di appuntamenti presso lo store di Eataly in Piazza XXV Aprile a Milano, fra masterclass e cene d’autore, come quella con Gianni Tarabini.

Lo chef patron del ristorante La Preséf ha firmato il menù del 24 febbraio con una serie di piatti che onorano la cucina valtellinese e raccontano la sua filosofia culinaria. Al centro ci sono i valori di sostenibilità e chilometro (anzi, metro) zero, che gli hanno garantito il riconoscimento della Stella Verde Michelin nel novembre 2021. Il ristorante si trova infatti all’interno dall’azienda agricola La Fiorida di Mantello, che produce autonomamente tutti gli ingredienti che poi finiscono nel piatto, dai formaggi alla carne. E lo fa attraverso un impegno quotidiano nell’utilizzo di energie ecosostenibili e nella garanzia del benessere degli oltre 200 animali allevati. 

 La Fiorida

Durante la cena, ospitata nel ristorante Pianodue, lo chef ha portato la sua Valtellina nel capoluogo meneghino con piatti come il “Lingotto morbido al caprino con pellicola ai mirtilli selvatici e uova di salmerino” o l’originale “Burrata da latte di Pura Bruna leggermente affumicata con pellicola di pomodoro e gelè di basilico dell’orto”.

«Produciamo 27 tipi di formaggi e ci è venuta l’idea di fare anche la burrata» racconta Tarabini. «Ci sono voluti due anni per ottenere il risultato che volevamo: una burrata completamente diversa da quella pugliese, perché fatta con latte di Bruna Aplina, più grasso e ricco di proteine rispetto a quello di Bufala. Temperature e alimentazione diverse danno vita a due prodotti distinti e unici: in estate piacerà di più la burrata del sud, che è più acida e pulisce la bocca, mentre in inverno si apprezzerà la pastosità e la dolcezza della nostra burrata valtellinese».

12 posti dove mangiare una grande polenta (e non solo) in Lombardia

12 posti dove mangiare una grande polenta (e non solo) in Lombardia

La polenta è uno dei cardini della cucina povera regionale. Soprattutto in inverno, figura nella carta di osterie che sono cult per gli appassionati locali. Eccole

Si rischia sempre il litigio culinario tra lombardi (veri e/o di adozione) quando si parla di polenta. Perché ogni territorio sostiene di avere la migliore, spesso con origini precedenti l’arrivo del mais in Europa (XVI secolo) che ne cambiò la storia, il sapore e il colore. Prima, i cereali usati erano il farro e la segale. Successivamente arrivò anche il grano saraceno, dall’Asia e si chiuse magnificamente il cerchio. Si diceva dei territori: la polenta a Milano e dintorni è morbida (magari fritta con gli avanzi o pasticciata con la salsiccia); quella della Bassa è simile, ma con il sommo piacere di gustarla anche non caldissima con i salumi o il luccio alla mantovana. Como è la capitale della polenta uncia (ovvero unta), cotta nel paiolo di rame e arricchita con aglio e formaggio grasso e burro caldo, mentre a Varese le vogliono talmente bene che ne hanno fatto una torta, a base di farina di mais, chiamata Amor Polenta, con tanto di brevetto.

Valtellina, la patria

I bresciani la amano sia gialla e dalla consistenza più morbida o con una parte di farina di segale – tipico in Valcamonica – per accompagnarla allo spiedo o al mitico Bagoss. Il concetto di polenta cünsa nasce proprio dal caricare la polenta con formaggi stagionati al suo interno. A Bergamo esiste il culto della taragna che deve il suo nome probabilmente al tarèl, ovvero il lungo bastone con cui si mescola: non è esclusività bergamasca (la patria è la Valtellina), ma con l’utilizzo del Branzi e il Formai de Mut raggiunge forse il top. Si diceva della terra montana lombarda per eccellenza: qui la taragna viene realizzata con un mix di farine che esalta quella al grano saraceno e condita con tanto formaggio, a partire dalla Casera DOP e/o il Bitto DOP.  Tra le varianti valtellinesi ci sono la polenta in fiur che vede la sostituzione dell’acqua con panna nella preparazione (da qui un altissimo valore calorico e nutrizionale), la cröpa, preparata negli alpeggi con un’aggiunta di patate all’impasto, e la polenta nera, preparata interamente con farina nera di grano saraceno, patate e formaggio.

La visione di Gianni Brera

In ogni caso, sono lontani i tempi in cui nelle campagne, nelle valli e sui laghi la polenta rappresentava la base dell’alimentazione quotidiana, talvolta unita alla carne (vedi i bruscitt, le briciole di carne di manzo), al pesce (come i missoltini come quelli della foto in apertura) e più facilmente ai formaggi. Oggi è un piacevole sfizio, da preparare a casa o gustare in una trattoria come quelle della nostra selezione. Non sarà mai grande cucina sia chiaro. Gianni Brera nel memorabile La Pacciada, libro scritto con l’amico Luigi Veronelli in pratica due intellettuali prestati alla cucina – affermava: «In Italia sappiamo poco o niente di grande cucina (…). Polenta e spaghetti non fanno cucinaria, fanno gonfie le epe e a lungo andare dilatano i fianchi e accorciano le gambe». Era il 1973, oggi gli italiani sono forse i più bravi al mondo a fare grande cucina e quanto alla polenta se ne mangia ancora, ma non per necessità. Basta saperla scegliere. Noi, intanto, un grande locale per ogni provincia lo abbiamo trovato.

Trattoria Mirta – Milano

È una delle più famose trattorie della città, cuore del Casoretto. Lo chef Juan Lema guarda a tutte le regioni italiane, Lombardia compresa ovviamente. E non trascura la polenta (di mais biancoperla) che fa letto alla sua buonissima faraona disossata. Cantina di livello superiore.

Trattoria Torretta – Lodi

Uno spazio rustico con credenze d’epoca, sedie impagliate e tovaglie a quadri: si sta bene in questa osteria lodigiana, dove le porzioni sono abbondanti e le ricette golose. Nel menù invernale spicca la slunsa al lat (lonza di maiale al latte) con funghi porcini e un’eccellente polenta.

Osteria Sali e Tabacchi – Mandello (LC)

Polenta oncia, preparata con formaggio e burro di piccoli produttori, è un must della più celebre osteria della sponda lecchese, accogliente e con una grande ricerca sui prodotti. La versione classica accompagna poi i piatti di carne come il brasato e la selvaggina in salmì.

Camp di Cent Pertigh – Carate (MB)

Grande fuoriporta: una tipica cascina brianzola, trasformata in ristorante. Si mangiano piatti lombardi rivisitati come il risotto alle zucchine e piselli o le lasagnette con asparagi e culatello. Ma nel menù, si fa sempre apprezzare l’ossobuco di vitellina in gremolata con funghi e polenta.

Crotto – Civiglio (CO)

Nella carta di uno dei crotti più amati del Comasco c’è un’intera sezione dedicata alla polenta con abbinamenti classici a formaggi, ma anche con i bruscitt o lo stracotto di manzo; e quella della casa, con formaggio e salsiccia, servita con uova all’occhio di bue e porcini trifolati.

Osteria della Madonna – Pavia

Uno storico locale, nel centro, sempre affollato, che si divide in una teoria di sale al piano o nel seminterrato. Ambiente pieno di calore e un menu ghiotto di specialità pavesi e lombarde in generale. Un grande classico è il brasato di scottona alla Bonarda con polenta.

Antica Osteria Fragoletta – Mantova

Bel locale, a pochi passi da piazza Sordello, che esalta la cucina della Bassa. Si parte con i salumi mantovani, polenta abbrustolita, gras pistà e mostarda di mele e si arriva al goloso luccio del Garda con la polenta classica. Ambiente vivace, ben gestito, da osteria contemporanea.

Trattoria Fontana – Agnadello (CR)

Una cascina della Bassa, ben ristrutturata e in mezzo a un parco naturale, che mette a proprio agio gli ospiti. Menù con le specialità della Bassa, dalla pasta ripiena ai dolci al cioccolato. Tra le specialità lo stufato d’asino con la polenta. Bello il dehors per i mesi più caldi.

Osteria al Gigianca – Bergamo

È l’unico locale segnalato da Slow Food, a Bergamo Bassa: ha un orto che fornisce tutto il vegetale, piatti a base di carne di pecora (polpettine, ragù per i tagliolini, stufato), casoncei, coniglio o lumache con la polenta. Grandi anche i formaggi, con taleggio e stracchino in prima fila.

Osteria del Centenate – Varese

Il trionfo della polenta: un piccolo menù di abbinamento ai formaggi e la presenza al fianco di vari piatti di carne, dai gustosi bruscitt allo spezzatino di cervo in umido con pere e castagne. L’ambiente è rustico, da trattoria vera dove si celebra la cucina lombarda dall’antipasto al dolce.

Antica Trattoria Piè del Dos – Gussago (BS)

Neo-chiocciola per Slow Food, la suggestiva trattoria di Stefano Pazzaglia e Resi Martinotti rende onore alla cucina franciacortina, di pesce e di carne. Così la polenta accompagna il coregone dell’Iseo, lo spiedo su ordinazione e l’immancabile manzo all’olio di Rovato.

Vecchia Combo – Bormio (SO)

La polenta taragna, integralista, resta una delle certezze di questo piccola trattoria a pochi passi dal centro, aperta dal 1968 e ancora a conduzione familiare. Ambiente rustico e piacevole. Cucina valtellinese con piatti di carne, pizzoccheri e dolci golosi.

 

Ricerche frequenti:

Coronavirus: coprifuoco in Lombardia: la rabbia dei ristoratori

Coronavirus: coprifuoco in Lombardia: la rabbia dei ristoratori

Da giovedì 22 ottobre parte lo stop alle attività e agli spostamenti dalle 23 alle 5 a causa del covid-19: quali sono le regole del nuovo coprifuoco? Intanto i ristoratori protestano a Milano

Dopo la proposta dei sindaci e l’approvazione dal ministro della Salute Roberto Speranza, è ufficiale che da giovedì 22 ottobre la Lombardia sarà soggetta a un vero e proprio coprifuoco per cercare di ridurre i contagi da coronavirus. Si parla di un divieto per tutte le attività e gli spostamenti dalle 23 alle 5 del mattino, nell’intera Lombardia, almeno fino al 13 novembre. Inoltre, è prevista la chiusura dei centri commerciali nel weekend. Ma ci saranno eccezioni?

Coprifuoco in Lombardia: ritorna l’autocertificazione

Molto probabilmente tutti coloro che lavorano in bar e ristoranti, come camerieri e cuochi, potrebbero comunque muoversi anche oltre le ore 23:00. Resta da capire fino a che ora i ristoranti saranno realmente aperti, per garantire che i clienti tornino a casa entro le 23.

Durante il coprifuoco si potrà circolare infatti solo per motivi di lavoro o comprovata urgenza. Torna quindi l’autocertificazione, in cui si dovranno specificare le motivazioni dello spostamento e il luogo di destinazione.

La protesta dei ristoratori

Intanto, in attesa dell’ordinanza che definirà per iscritto le nuove regole da seguire, i ristoratori di Milano scendono in piazza per richiedere misure di tutela adeguate.

«Abbiamo deciso ieri sera di manifestare, dopo la notizia della richiesta di un coprifuoco notturno. I ristoratori non cercano assistenzialismo, ma almeno una riduzione delle tasse, dei tributi locali e del costo del lavoro, che ci permetta di stare in piedi».

La protesta, davanti alla sede della Regione, è rivolta al presidente Fontana, spiega all’Adnkronos Alfredo Zini, ristoratore di Milano e presidente del Club Imprese Storiche di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza.

«Ci stanno chiedendo di continuare a lavorare con gli stessi costi, anzi addirittura più di prima, in quanto abbiamo dovuto e continuiamo ad acquistare prodotti e dispositivi per contrastare la diffusione del virus, per rispettare le norme che sono uscite in questi mesi, ma ad oggi abbiamo avuto una diminuzione degli incassi nella migliore delle ipotesi pari al 60% sull’anno precedente. I bar e i ristoranti hanno aiutato Paese, Regione e Comuni ad aumentare gli introiti nelle casse delle amministrazioni. Se lo Stato non interviene immediatamente, con gli adeguati strumenti, rischiamo di perdere uno dei patrimoni economici più importante del nostro Paese».

 

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