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In bicicletta tra Umbria, Lazio e Marche: un itinerario per tutti

In bicicletta tra Umbria, Lazio e Marche: un itinerario per tutti

Viaggiare in bicicletta non vuol dire soltanto faticare e sudare. L’importante è scegliere l’itinerario giusto, o comunque quello più adatto a noi. Questo, per esempio, vi porterà a pedalare tra i borghi medioevali e i paesaggi senza tempo del Centro Italia, senza soffrire troppo e con molta soddisfazione. Anche culinaria

Quando si pensa ai viaggi in bicicletta, inesorabilmente vengono in mente salite, sudate e crampi, e la voglia di partire viene meno. Ma non c’è niente di più sbagliato, perché il segreto sta nello scegliere l’itinerario giusto, o comunque più adatto a noi. Oltre – naturalmente – a una bicicletta confortevole e robusta, che consenta di pedalare anche sugli sterrati. Se siete a caccia di spunti, la nuova guida Pedala Italia (a cura di Albano Marcarini, ediciclo editore, €14), raccoglie venti itinerari su due ruote tra i più belli d’Italia e, soprattutto, adatti a tutti, bambini inclusi.

Tra i tour più interessanti proposti nel libro c’è quello che percorre la Ciclovia delle Marmore, prima lunga ciclabile dell’Italia Centrale, e la Via Salaria da San Benedetto del Tronto a Roma, che qui «spezzeremo» per completare un itinerario unico, da Assisi e San Benedetto del Tronto in 9-10 giorni. Partiamo!

1° tappa Assisi – Bevagna
È una tratta brevissima, di 28,6 km appena, e si svolge prevalentemente su strade di campagna asfaltate e qualche tratto di ciclabile, molto utile per rodare la tenuta sul sellino. Se si arriva ad Assisi il giorno prima o la mattina presto, la visita alla Basilica di San Francesco e ai suoi straordinari affreschi di Giotto, Cimabue e Simone Martini è irrinunciabile. L’accesso alla ciclabile è dalla Stazione di Santa Maria degli Angeli in direzione Cannara e, lungo la strada, più o meno a metà tragitto, si raccomanda la deviazione con sosta a Spello, gioiellino medioevale con la splendida Villa Fidelia e i vicoli di vasi fioriti. Prima notte a Bevagna (per dormire: Il Monastero di Bevagna, nel cuore del Borgo Medievale, ex convento del XVI secolo adibito ad albergo agli inizi del Novecento; oltre a un parco di notevoli dimensioni, al suo interno ospita anche l’antica chiesetta di Santa Maria de ponte lapidum. Tel: 0742 361636​ / 320 6779 656​).

Per mangiare: A La Locanda del Postiglione (Spello) si gustano dei picchirilli con fave, guanciale e pecorino da favola, così come i tagliolini cacio, pepe e tartufo (tel: 0742301164). Da La trattoria di Oscar… e quant’altro (Bevagna), lo chef Filippo Artioli vi aspetta con il suo menu rigorosamente stagionale, che prepara con prodotti provenienti dalle aziende agricole locali (tel: 0742 361107 / 373 7694483).

2° tappa Bevagna – Spoleto
Anche qui appena 25 km e tutti in piano. Prima di Spoleto una fermata va fatta alle Fonti del Clitunno, area sorgiva con specchi d’acqua, isolette e pioppi, evocata anche da Carducci e Lord Byron, e considerata sacra dai romani. A Spoleto fate visita al Duomo, uno dei tesori del medioevo umbro. Anche se qui, tra stradine in salita e discese ripide, un po’ ci sarà da faticare. Per dormire: Hotel Charleston, situato a pochi minuti da tutte le principali attrazioni della città (tel: 0743-220052). Per mangiare: Il tempio del gusto con il meglio della tradizione umbra opportunamente rivisitato (tel 074347121).

3° tappa Spoleto – Sant’Anatolia di Narco
L’ex ferrovia Spoleto-Norcia è oggi un percorso ciclabile divertente come «un ottovolante», giura in Pedala Italia Alberto Marcarini. Che ne garantisce anche sull’accessibilità e la «poca fatica». Lungo la tratta preparatevi ad attraversare (con la luce frontale accesa, mi raccomando) la galleria di valico Caprareccia, 3 km riservati solo a ciclisti e pedoni e la cui discesa all’uscita, «da 617 a 290 metri d’altezza», scrive Marcarini, «è a dir poco strepitosa». Per dormire: B&B dell’Osteria, situato dietro a una storica abazia del 1200 e costruito interamente in pietra (tel: 347 136-9077). Per mangiare: L’Abbazia, nel cortile interno dell’abbazia, serve dell’ottimo prosciutto di Norcia, primi al tartufo e altre prelibatezze.

4° tappa Sant’Anatolia – Terni
Anziché puntare a Norcia proseguendo sulla Ciclovia del Nera, dirigetevi verso la discesa del fiume e costeggiatene le sponde, attraversando oasi naturalistiche e centri storici, alcuni molto particolari e meritevoli di una sosta. A Ferrentillo, per esempio, il Museo delle mummie nella cripta della chiesa di Santo Stefano raccoglie corpi di defunti di epoca antica. Ma ci sono attrazioni anche meno «forti» (a Scheggino, Ceselli, Arrone e a San Pietro in Valle). Terni si raggiunge in 35 km e 255 metri di dislivello, e da qui – dopo una escursione alle Cascate delle Marmore – il giorno dopo potrete prendere il treno per Cittaducale (42 minuti, 4,5€), da cui cominciare la seconda parte del ciclotour. Per dormire: Residence Bizzoni, a due passi dal centro storico ma immerso nel verde (tel: 0744 44241); per mangiare: Ristorante Umami, con i menù stagionali dello chef Diego, dalle tagliatelle con crema di aglio nero, liquirizia, mozzarella e menta al maiale croccante in salsa orientale e sesamo con pane al vapore (tel: 0744 427629).

5° tappa Terni – Cittaducale (con visita alle Marmore)
Ammirate da San Francesco, disegnate da Leonardo Da Vinci, citate persino da Dante ne La Divina Commedia e poi celebrate dai più grandi poeti inglesi dell’Ottocento, Lord Byron in primis, le Cascate delle Marmore sono una delle meraviglie naturalistiche del nostro Paese. Se siete a Terni, cioè ad appena 7 km di distanza, non potete non visitarle. Per info sulle escursioni guidate, orari e prenotazioni consultate il sito qui. La meraviglia è assicurata. Al ritorno prendete il treno e arrivate a Cittaducale in provincia di Rieti: fondata nel 1308 da re Carlo II d’Angiò, è appartenuta alla provincia dell’Aquila per più di sei secoli, fino al passaggio nel Lazio nel 1927. Per dormire: Casa Vacanze Bianca, grazioso appartamento recentemente ristrutturato, nel cuore della città medievale, che può ospitare fino a 5 persone (tel: 347 6064559). Per mangiare: La tagliata, norcineria che fa degli ottimi hamburger con panino rustico artigianale e primi di pasta fresca.

6° tappa Cittaducale – Cittareale
Il viaggio on the bike continua lungo le spettacolose Gole del Velino, forre profondissime scavate dal fiume Velino e intervallate da cascate, pareti a precipizio e grotte davvero molto scenografiche (di San Quirico, Oscura, di Romualdo, Strambo del Paladino e Fosso di Portella). Proseguite lungo la statale e alcuni tratti dismessi, evitando accuratamente le gallerie e arrivate a Cittareale, anche questa in provincia di Rieti, dopo avere fatto sosta ad Antrodoco, sede della prima battaglia del Risorgimento italiano. Curiosità: Antrodoco è uno dei comuni che si proclama Centro d’Italia, in competizione con il suo capoluogo Rieti (Umbilicus Italiae), Urbino (Centro del mondo) e Foligno (Al centro del mondo). Per dormire: Agriturismo Lu Ceppe, clima familiare a stretto contatto con la natura, con cucina semplice ma accurata (tel: 0746 947085).

7° tappa Cittareale – Arquata del Tronto
Il valico di Torrita, a 1017 metri di altezza, segna il confine tra il versante tirrenico e adriatico. La salita è un po’ impervia ma dopo avere costeggiato il lago di Scandarello potrete fare sosta ad Accumoli, paesino montano del 1100 dolorosamente colpito dal terremoto del 2016. Seguendo il tracciato della Via Salaria vecchia arrivate nelle Marche e proseguite verso Tufo e, successivamente, Arquata. Per dormire: B&B Trisungo (tel: 0736 803901). Per mangiare: cucina tipica montana con carne alla brace, funghi porcini e tartufo, presso il Ristorante Pizzeria Il Ponticello (tel: 0736809728).

8° tappa Arquata del Tronto – Ascoli Piceno
Dopo Acquasanta Terme passerete sull’altra sponda del Tronto, arrivando a Ponte d’Arlì, nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Seguite il vecchio tracciato della Salaria passando per le gole più strette della valle del Tronto, fino a Mozzano (per mangiare: Pizza in piazza, via don Rossi). Poi, seguendo il Cammino Francescano della Marca, arriverete ad Ascoli, dove ad attendervi come ricompensa ci saranno un caffè e un cappello del prete al rhum presso lo storico Caffè Meletti di Piazza del Popolo. Per dormire: Hotel Sant’Emidio, storico palazzo del ‘700 nel cuore del centro storico (tel: 0736 258626). Per mangiare: A La Locanda del Medioevo si ritrova l’atmosfera del 1300 nel menu con specialità ascolane e piatti tipici dell’epoca (tel: 0736250695).

Ultima tappa: San Benedetto del Tronto
Partite in direzione Pagliare, località delle Oasi immersa tra le campagne con laghetti rinaturalizzatati ricavati da ex cave. Quindi seguite la ciclabile che costeggia l’argine del Tronto (sarete proprio al confine tra Marche e Abruzzo) fino ad arrivare a Porto d’Ascoli e alle foci della Riserva naturale della Sentina. Da qui prendete la Ciclovia Adriatica per 4km, che vi porterà sul litorale di San Benedetto del Tronto, punto di arrivo del vostro viaggio. Per dormire: B&B La Casa Sulla Spiaggia, dove il nome non mente (tel: 338 713 5040); per mangiare: I Perdigiorno, il cui menù viene preparato ogni giorni a seconda delle disponibilità dell’ortolano e del macellaio (tel: 0735 586113). «Pochi piatti da ricordare», recita il claim del locale. Un po’ come lo spirito di questo itinerario on the road.

Andar per borghi nelle Marche

Andar per borghi nelle Marche

Le Grotte di Frasassi, Urbino, Camerino, Ascoli Piceno… Tante sono le meraviglie che rendono le Marche l’unica destinazione italiana inserita fra i luoghi da non perdere nella classifica “Top Regions – Best in Travel” per il 2020 dalla Lonely Planet. Ma qui sveliamo le altre Marche, quelle dei piccoli borghi nascosti, incantanti, fuori dal tempo

Poter spaziare dal mare alla collina e arrivare in montagna nel giro di pochi chilometri. Nelle Marche centrali la vacanza sembra fatta apposta per accontentare tutta la famiglia. Dalle attività all’aria aperta all’arte, fino alla cucina e al vino, sotto il minimo comun denominatore dei piccoli borghi. Agriturismi, bed and breakfast per un turismo diffuso in una delle regioni a più bassa densità di abitanti dove trovare relax e attrazioni. Ecco alcuni itinerari da non perdere tra escursioni in giornata, piste ciclabili e passeggiate comode con finale a sorpresa.

Dalla Riviera del Conero ai borghi dell’Infinito

Recanati è il Borgo Antico di Giacomo Leopardi. Una cittadina di collina che insieme a Urbino è la capitale culturale delle Marche. Proprio in questi giorni sono state aperte per la prima volta al pubblico le stanze private di Giacomo Leopardi, i luoghi dei ricordi più intimi, dei suoi primi amori e della sua quotidianità. Il giardino che ispirò gli immortali versi di Le ricordanze e il salottino dove i fratelli Leopardi si intrattenevano, le camere private di Giacomo sono fruibili su prenotazione. A Recanati sono stati confermati molti eventi culturali tra cui le celebrazioni Leopardiane sul Colle dell’Infinito, un luogo magico dove la sera viene riprodotta la luce naturale della luna grazie al lavoro del celebre scenografo Dante Ferretti. Beniamino Gigli ha un museo dedicato, e in estate si tengono festival musicali e letture di poesie. Da non perdere il cammino per il centro sulle orme dei luoghi che hanno ispirato le poesie di Giacomo e una visita alle sale museali di Villa Colloredo Mells che contiene anche numerosi capolavori di Lorenzo Lotto.

Spiritualità, storia e arte nella Santa Casa di Loreto

Spiritualità e cultura per la vista a Loreto, in cui quest’anno si celebra il Giubileo Lauretano e dove si può visitare il museo annesso alla Santa Casa con le tele del Lotto e la Sala del Pomarancio un raro esempio di pittura, scultura a stucchi e ebanisteria di epoca manierista. Secondo la tradizione, la Santa Casa di Loreto è parte dell’abitazione della Vergine, la quale era costituita da una grotta scavata nella roccia e da una camera antistante. Quest’ultima fu trasportata nel 1291, secondo la tradizione per “mistero angelico” da Nazareth, prima nell’antica Illiria per poi giungere sul colle lauretano durante la notte del 10 dicembre 1294 e posta su una pubblica strada dove tutt’ora è custodita.

Sopra e dietro il mare ci sono i borghi del Conero

A pochi chilometri di distanza c’è Offagna, bandiera arancione e uno dei borghi più belli d’Italia, dominata dalla Rocca medievale. Costruita a metà del XV sec. sui ruderi di un precedente castello, è una delle più belle costruzioni difensive delle Marche; di forma quadrangolare conserva ancora intatto il mastio a cinque piani, nel quale è allestito il Museo delle Armi antiche. Lungo le mura orlate da merlature a coda di rondine, corre il cammino di ronda.

Vale la pena un’escursione “open air” alla vicina Selva di Gallignano, un bosco che è anche un laboratorio di biodiversità tanto che contiene coltivazioni sperimentali dell’Università dorica. Noccioleti, cerrete e profumi di selva mediterranea con poster didattici lungo i camminamenti che illustrano le caratteristiche dell’ecositema forestale. Ma i borghi sono anche a ridosso del mare e del promontorio del monte Conero: da visitare i borghi di Sirolo, con la sua terrazza panoramica, poi Numana con la Costarella, la scalinata che dal paese arriva fino al porto e le bellissime grotte sotto il paese di Camerano, che poi è patria del Rosso Conero.

I Castelli di Jesi: il vino, la cultura e le escursioni in giornata

Jesi è sicuramente una delle città da cui partire in cerca di borghi medievali. Qui è nato Federico II di Svevia, Stupor Mundi, e diciotto sono i castelli che la coronano. C’è sempre spazio per un aperitivo in centro a base di prodotti tipici. La ricerca di buoni vini e la cultura gastronomica passano per Morro d’Alba, dove si passeggia nell’antica ronda della cinta muraria (detta la Scarpa) sorseggiando un rosso profumato (Lacrima), o per Montecarotto, sulla Rive Gauche dell’Esino dove c’è la più grande bottaia della regione, visitabile e con possibilità di degustazione. Chi va in cerca di olio extravergine, sappia che i mercanti veneziani attribuivano un prezzo più alto «all’olio della Marca» in virtù della sua qualità. Per trovare l’extravergine migliore e magari passeggiare tra gli uliveti secolari bisognerà visitare Monsano, San Marcello, Monte San Vito, e Scapezzano di Senigallia, tra campagne che sembrano mosaici e centri medievali vista mare.

A Cupramontana, invece, si sale leggermente di quota, e oltre al verdicchio e alla buona cucina tipica marchigiana, c’è una delle escursioni più suggestive tra spiritualità e natura. Circa quindici minuti di una strada carreggiabile, adatta a tutti. Un cammino che si snoda in un antico bosco umido, oggi area floristica protetta dove, grazie al suo particolare microclima, sono conservate specie arboree ormai rare. Alla fine del sentiero appare l’eremo dei Frati Bianchi, con le grotte scavate nel tufo dagli eremiti. Luogo di penitenza e preghiera fin dal secolo XI, abitato dai Camaldolesi, detti Frati Bianchi, l’eremo è famoso per essere stato dimora di beati e santi. In paese, invece, guai a perdersi una visita all’Abbazia del Beato Angelo da Massaccio, un complesso monastico camaldolese sorto nel 1180 con uno splendido ballatoio e il piccolo chiostro raccolto. Da non perdere per gli appassionati del vino il Museo Internazionale dell’Etichetta del vino, le Grotte di Santa Caterina e l’Horto de I Semplici, che contiene una raccolta di erbe e piante medicinali a scopo didattico. Il verdicchio si degusta all’Enoteca comunale. Ottimo il percorso in bicicletta tra le colline, o sul fondo valle, sulla lunghissima ciclabile che costeggia il fiume Esino. Da Cupramontana è d’obbligo una visita a Cingoli, detta Il Balcone delle Marche. Qui la cultura, l’arte, gli splendidi palazzi nobiliari e la vita all’aria aperta offrono relax e grandi spazi in un’atmosfera d’antan che ricorda la villeggiatura del scorso secolo.

Piccoli borghi sull’Appennino: i nove castelli di Arcevia

Incastonata tra gli appennini c’è Arcevia, uno dei borghi più belli della provincia di Ancona, da cui si gode di uno stupendo panorama fino al mare. Nove castelli la circondano, antichi villaggi fortificati: Caudino, Palazzo, San Pietro in Musio, il vicino Santuario della Madonna di Montevago, con l’affresco mariano a firma di Venanzio da Camerino e Piergentile da Matelica. Poi ci sono Nidastore, così chiamato poiché quasi irraggiungibile come il nido dei rapaci; Loretello, con la cinta muraria ancora percorribile; Montale, che vanta un bel camminamento di ronda, e Piticchio, che si distingue per la peculiare via coperta con affaccio panoramico. Castiglioni custodisce, tra altre bellezze, la chiesa di Santa Maria della Piana. Conclude il tour il duecentesco borgo di Avacelli con i suoi possenti bastioni che si stagliano su boschi verdeggianti. Qui chiedete le specialità agli asparagi selvatici, che abbondano in zona. Infine una passeggiata per Arcevia: il giardino botanico è da visitare, e a tavola il must sono la cicerchia e i calcioni ripieni al formaggio. Scendendo verso il mare, nella valle del fiume Misa, da visitare assolutamente il borgo di Corinaldo con i suoi viottoli incantati.

Da Arcevia il tour continua alla vicina Serra San Quirico, il cui centro storico sembra una nave adagiata sulla collina. A nord del centro storico s’imbocca una strada bianca e sentiero che conduce alla vetta del Monte Murano, nel Parco della Gola della Rossa, che regala un’incantevole vista panoramica sulla Vallesina e dove c’è la possibilità di grigliare nei barbeque attrezzati. Una volta ridiscesi in paese, si rimarrà affascinati dallo scintillio delle decorazioni barocche della chiesa di Santa Lucia e dalle caratteristiche Copertelle, zone coperte lungo il camminamento intorno alle mura.

Marche: la storia e la ricetta della minestra imperiale

Marche: la storia e la ricetta della minestra imperiale

Ha bisogno di molta cura, di tempo e di un sacco. La minestra colorata, come si dice fra gli amici, ma più correttamente la minestra imperiale, è una antica tradizione della cucina marchigiana

Nelle Marche si prepara ancora un piatto che già dal nome vi dà un’idea della sua importanza: la minestra imperiale, o colorata per gli amici. «Un tempo si faceva per i matrimoni, ora non ci si sposa più e quindi al massimo si fa per i compleanni». Ci racconta così Emidia, per tutti Mimina di Montalto Marche, in provincia di Ascoli Piceno, tra le poche signore rimaste a prepararla secondo l’antica ricetta originale. Infatti, se può capitare di trovare i cubetti colorati di minestra imperiale nei vari pastifici da Matelica a Offida, tutt’altra cosa è la minestra preparata in casa secondo il metodo tradizionale che richiede ore e ore di tempo.

Che cos’è la minestra imperiale?

La minestra imperiale è un piatto diffuso in tutte le Marche, in particolare tra la provincia di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. Si tratta di un impasto di uova, farina, parmigiano, limone, noce moscata, che viene poi diviso in tre parti e colori differenti con l’aggiunta di spinaci e concentrato di pomodoro. I tre colori diversi sono solo una questione estetica, molto probabilmente un richiamo alla bandiera italiana. La sua particolarità sta proprio nella cottura: cuoce infatti per ore e ore (almeno tre) dentro un sacco di cotone chiuso con lo spago, per poi essere tagliato a cubetti; per questo l’ideale sarebbe preparare l’impasto il giorno prima del consumo. In passato, quando veniva preparata in grandi quantità, i tre impasti venivano cotti in tre pentoloni. Se la quantità è per poche persone, invece, non è possibile poiché l’impasto si attaccherebbe al sacco e quindi oggi si fanno cuocere anche insieme. Vista la lunghezza e la complessità della preparazione, negli anni si fa sempre meno, o si preferiscono altre modalità, come ad esempio la cottura al forno che accorcia notevolmente i tempi. «Ma al forno non viene bene», ci spiega Mimina «perché si asciuga troppo e diventa dura, mentre preparata in modo tradizionale diventa morbida e spugnosa come dev’essere, senza essere troppo compatta». Il sapore ricorda vagamente quello dei passatelli, da cui si differenzia però per consistenza, forma e colore.

La famiglia Gregori

Come accennato, la minestra imperiale è stata per anni il piatto per eccellenza dei matrimoni. Mimina la preparava sempre quando veniva, chiamata insieme a sua sorella Annunziatina, per cucinare ai matrimoni. Mimina e Annunziatina, infatti, sono state tra le prime forme di catering della storia, famose ancora oggi in paese come le sorelle che cucinavano sempre e bene. Questa stessa passione per il mondo del cibo Mimina l’ha trasmessa anche in famiglia, in particolare ai suoi due nipoti: Stefano ha aperto l’azienda Olive Gregori, tra le poche a produrre olive ascolane, che ricordiamo che prima di essere il noto fritto sono la cultivar locale di Ascoli Piceno; il fratello Luca, invece, sta ultimando gli studi in Agraria per dedicarsi poi anche lui all’attività. Sarà perché sono cresciuti educati al valore inestimabile della propria terra, le Marche, e all’importanza di continuare a dedicare tempo alla produzione di cibo, che sia in campagna o in cucina. E infatti Mimina «la minestra imperiale compra non l’ha mai provata”, ma ha continuato a prepararla anche a casa secondo i lunghi tempi della tradizione.

Pasta imperiale/colorata sacco

La ricetta tradizionale… per 40 persone

Proprio per questa sua lunga preparazione, la minestra imperiale è un piatto da mangiare in tanti. Quasi sempre ne avanza una parte, che si congela per consumarla poi successivamente. La ricetta che segue, quindi, è per 40 persone, anche perché come dice Mimina: «Sempre meglio prepararne più che meno, no?».

Ingredienti 

40 uova
500 g parmigiano
600 g farina 00
buccia grattugiata di 2 limoni
qb noce moscata
qb sale
qb burro

Procedimento 

1. Preparare un brodo di gallina (meglio) o di manzo.
2. Iniziare a preparare l’impasto sbattendo le uova con tutti gli altri ingredienti. A parte bollire gli spinaci, poi schiacciare e frullare.
3. Dividere l’impasto in tre parti: in una aggiungere gli spinaci, nell’altra il concentrato di pomodoro e nell’ultima nulla, in modo da ottenere tre colori diversi (verde, arancione e giallo).
4. Mettere tutte e tre le parti di impasto in un sacco di cotone o in un altro tessuto ugualmente resistente e svasato, chiudere con lo spago e fare cuocere in acqua bollente per circa 3 ore.
5. Una volta pronto, assicurarsi che anche la parte in mezzo sia ben cotta. Togliete quindi il sacco dall’acqua bollente e lasciarlo raffreddare senza aprirlo su un vassoio sotto un peso per circa un’ora.
6. Quando si è raffreddato, togliere delicatamente l’impasto dal sacco e tagliare a dadini.
7. Buttare i dadini di minestra nel brodo di gallina per qualche minuto (tanto è già cotta) e servire bollente.

Minestra imperiale/colorata
Minestra imperiale/colorata

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