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Come cucinare un perfetto Toast da 3 stelle Michelin

Come cucinare un perfetto Toast da 3 stelle Michelin

Fatto in casa, dal pan brioche al prosciutto cotto artigianale: semplice ma ambizioso

Che cosa serve per 1 pane brioche
375 g di farina 0
140 g di burro
125 g di farina Manitoba
125 g di tuorli
75 g di uova
25 g di zucchero
15 g di sale
5 g di lievito di birra secco

Che cosa serve per farcire il toast: caciocavallo, prosciutto cotto artigianale

Per il pan brioche (stampo a cassetta da 2 litri)
Raccogliete nell’impastatrice planetaria tutti gli ingredienti con 100 g di acqua, lasciando da parte burro e sale. Impastate fino a una consistenza omogenea, quindi aggiungete sale e burro e continuate a lavorare finché l’impasto non sarà liscio e compatto e non si staccherà dal bordo della ciotola (ben incordato). Mettetelo a lievitare in un contenitore coperto per circa 2 ore a 26 °C (il volume deve raddoppiare). Ricavate infine un filone da 750-800 g e accomodatelo nello stampo; fatelo lievitare per circa 1 ora, a 26 °C. Cuocetelo a 180 °C per 40 minuti circa. Togliete il pan brioche dallo stampo e fate raffreddare.

Per farcire il toast
Per ogni toast tagliate 2 fette di pan brioche spesse 1,5 cm. Su una fetta ponete il prosciutto cotto tagliato fine, sull’altra due fette sottili di caciocavallo fresco.
Infornate a 170 °C per 6 minuti. Chiudete quindi il toast e tostatelo in padella per 2 minuti per lato. Servitelo subito, caldo.

Per il prosciutto
Preparate da voi anche il prosciutto, seguendo il nostro direttore-cuoco Niko Romito: tritate rosmarino, salvia, timo, maggiorana (10 g di ogni erba). Condite 1 kg di capocollo con 14 g di sale e il trito di erbe, avvolgetelo con la carta di alluminio e cuocetelo in forno a 68 °C per 12 ore. Infine sfornatelo, fatelo raffreddare ed eliminate l’involucro di alluminio. Copritelo con la pellicola e conservatelo in frigo.

Marco Sacco, come reiventare un due stelle Michelin (grazie al lockdown)

Marco Sacco, come reiventare un due stelle Michelin (grazie al lockdown)

Un bistrot dove si facevano i matrimoni, una barca per il pic nic, un menu diverso per il gourmet. Il Piccolo Lago a Mergozzo è un valido esempio di come i bravi chef e patron stanno reagendo ai problemi del dopo Covid-19

Il Piccolo Lago di Mergozzo (VB) non è il solo ristorante (bi)stellato che si è presentato alla riapertura in una veste diversa. Dalle Alpi alla Sicilia, è un fiorire di temporary per l’estate o di locali dove si sono spostati i cuochi di città. Però, la trasformazione del ristorante di Marco Sacco ci ha colpito particolarmente, partendo dalla storia dello chef-patron, cresciuto tra il ristorante di famiglia e le importanti esperienze in Francia. Grande viaggiatore (e ottimo windsurfista in gioventù), ma ferocemente attaccato al proprio territorio, e forse per questo sottovalutato dalla critica. Il paradosso vuole che nel momento in cui Sacco iniziava a uscire di casa – con la gestione di Piano 35  nel grattacielo Intesa Sanpaolo a Torino e l’apertura di Castellana Restaurant a Hong Kong – è arrivata la botta del Covid-19. Che vale per tutti i suoi colleghi, ma in un posto di frontiera culinaria quale Mergozzo (più vicino alla Svizzera che a Milano o Torino) la ripresa è più difficile. Ci vogliono passione, coraggio e la voglia di reinventarsi. Tornando all’antico, per vedere il futuro.

Un piccolo lido sul lago

«Senza retorica, il riposo mi ha portato a pensare che questo splendido lavoro bisogna farlo sempre e comunque sapendosi divertire, attraverso una tranquillità nel prendere gli impegni e le fatiche del lavoro quotidiano», dice Sacco. Ed ecco la trasformazione del giardino sottostante la struttura sospesa del bistellato: praticamente un piccolo lido, aperto sin dalle 10 del mattina dove ci si può rilassare in giardino, pranzare in mezzo alla natura, prendere il sole, gustare una merenda gourmet e un gelato freschissimo o scegliere il momento dell’aperitivo o di un after-dinner, visto che – salvo la domenica – è aperto anche un lounge-bar dalle 19.30 alle 22.00.  Il tutto davanti alle acque del lago prealpino più pulito d’Europa, dove si può navigare solo a vela, pagaiando o utilizzando uno scafo a propulsione elettrica. A proposito di lago, è nato anche un originale pic nic in barca, che consente in tre ore di esplorare lo specchio d’acqua e la cucina di Marco Sacco. Perché insieme a un box con tutto l’occorrente per il pranzo o la cena (acqua e vino compresi), c’è la mappa del lago con l’itinerario da seguire e cosa mangiare, tappa dopo tappa. Più distanziamento di così!

Cinque box al bistrot

E poi c’è la cucina. Il Piccolo Lago gourmet è vivo (e lotta insieme a noi), ma solo a cena, dal mercoledì alla domenica: due degustazione, innovativo e storico, a 150 euro più un pairing da 70 euro. Una sicurezza tra presente e passato, dove la tecnica è al servizio della materia prima che spesso è cercata direttamente dallo chef. Al bistrot ci si diverte. «Noi in cucina per primi: se ne sono resi conto i ragazzi quando ho proibito sottovuoto e dintorni per il menu», racconta lo chef . «Ho puntato sull’italianità e sulla semplicità, pensando all’ambiente e a cosa possono cercare i clienti in uno spazio del genere, soprattutto nel fine settimana». Attenzione al concetto di semplicità: è apparente proprio perché la mano è di un cuoco esperto, bistellato, aperto di mentalità. È così che piatti come  la  Caprese, lo Spaghettone al pomodoro, il Vitello tonnato, il Fritto misto di lago, la Grissinopoli (una cotoletta impanata nei grissini) fanno godere. Si sceglie da cinque box dove le singole portate costano 6, 10, 14, 22 e 26 euro. «La parola d’ordine non è stravolgere, rinnegare, ripensare la propria idea di cucina e il proprio stile, ma aprirsi a nuovi clienti o offrire a quelli fedeli altri momenti per cui sedersi a tavola: questo è il tempo per farlo, con passione e serietà», dice Sacco.

La fiaschetteria diventata 2 stelle Michelin. Dove il fritto è d’obbligo

La fiaschetteria diventata 2 stelle Michelin. Dove il fritto è d’obbligo

L’Antica Osteria da Cera a Campagna Lupia serve solo pesce. Da più di 50 anni. Un fritto misto leggendario che non è mai uscito dal menu. Da quando per gli operai di Mestre e Marghera…

Silenzio. Serve il silenzio della campagna veneta per ascoltare i piatti di Lionello Cera, due stelle Michelin a Campagna Lupia, sulla statale Romea, quella che da Venezia porta a Chioggia. «La semplicità è il concetto più difficile da interpretare», recita una frase in apertura di menu, l’unico per un ristorante a due stelle Michelin in tutta Europa a prevedere solo pesce. La carne non entra, c’è un percorso vegetariano, ma qui vige la filosofia «dalle lische alla polpa», che suona un po’ come il concetto di nose-to-tail che ha cambiato radicalmente il modo di mangiare e di cucinare. Non si butta via nulla e non solo del maiale, ma senza inutili complicazioni. Pesci crudi o appena scottati. Pesci freddi, tiepidi e caldi. Pesci valorizzati da estrazioni, succhi, salse, fumetti e brodetti ittici. Pesce su pesce, indagando l’anima più profonda del pescato lagunare.

Dalla fiaschetteria alle stelle

La storia della Antica Osteria da Cera comincia nel 1966 quando la famiglia Cera apre una fiaschetteria nella vecchia casa dei nonni. «Stagionale, con una damigiana al centro del tavolo e qualche cicchetto a pranzo e un po’ di frittura nel pomeriggio. I primi anni rinnovando di tre mesi in tre mesi la licenza… ora abbiamo compiuto 53 anni», ride Lionello. «Cucinava mia madre Silvana, poi dieci anni dopo abbiamo fatto la prima sala che apriva solo la domenica sera: tovaglie e tovaglioli di carta e 350 persone che si davano il turno per mangiare la frittura. C’era solo quello, poi negli anni abbiamo messo le cozze, poi le canocchie bollite. Dopo 2 anni di alberghiero mi sono ritirato e sono venuto a dare una mano anche io, come poi hanno fatto i miei fratelli». Insieme hanno trasformato questo luogo da osteria a ristorante gourmet, dove però il tempo andando avanti li ha fatti tornare alle origini. «Sono figlio di pescatori, non faccio la cucina dell’esasperazione, faccio piatti e tecniche che conosco. Sono un ristorante più di materia che di tecnica». Il lavoro sulle lische? «Una constatazione. Se cucino il pesce con la lisca ho un sapore, se tolgo la lisca ne ho un altro, ma al ristorante per il pesce va servito spinato. Allora lavorando su brodi e concentrazioni ottenuti dalle lische restituiamo il gusto originario, amplificato». Nel menu si leggono preparazioni come il latte di rombo o l’acqua iodata, ovvero un fumetto a base di acqua e vongole marinate passato nel ghiaccio per ottenere un’acqua che profuma di mare da usare come base per diversi piatti.

Il menu di laguna

La laguna ha un sapore unico, né di mare né di terra, un ecosistema che 30 anni fa era ricchissimo. «Oramai si pesca poco o niente, giusto piccole orate, triglie, scorfani, go, gamberi, canocchie, mazzancolle. Era il tempo in cui le nebbie le tagliavi con il coltello; oggi ci sono solo foschie, a confronto. Il clima sta cambiando e in una decina d’anni cambierà tutto». In onore della sua laguna e dei e pesci dell’Alto Adriatico è nato un menu degustazione da 12 portate che cambia in ogni stagione e che ripesca i pesci nel mare della memoria restituendoli al presente. A primavera compaiono i Subioti con sgombro e succo di zottoi in tecia, un tipo di pasta fatta a mano preparato nei palazzi veneziani, la Scarpetta a base di triglie con le loro spine, lasciate marinare in acqua di mare per 24 ore. Si gioca con il Tramezzino coe alici o coe sarde alla brace. Di più classico i Bigoi coe sardee, il Broetto di merluzzi e puína e l’immancabile fritto, che non ha mai abbandonato il menu. Croccante, perfetto, saporito, puro e leggero; ordinato da tutti i clienti affezionati nella zona a memoria dei tempi andati.

Il nuovo bistrot, come un bar di campagna

È anche per loro che i Cera hanno aperto a pochi chilometri di distanza un nuovo bistrot. «Un bar con cucina di territorio, aperto dalla colazione alla sera. Torniamo a quello che eravamo 50 anni fa: un bar di campagna. A pranzo offriamo un buffet di vegetali e una piccola carta espressa, cose facili. E alla sera l’aperitivo, con inizio alle 16. Come faceva mia mamma che lo preparava agli operai di Mestre e di Marghera. Il tutto però con un taglio moderno, ma senza far mancare sarda in saor, baccalà mantecato, seppie al nero, fegato alla veneta».

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