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il cibo sano va a teatro | La Cucina Italiana

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«Sei agitato? Si, tanto». È proprio vero: stavolta Marco Bianchi è particolarmente emozionato. Quando lo chiamiamo al telefono per parlare del suo nuovo progetto la sua voce trasmette entusiasmo, voglia di condividere qualcosa di speciale, ma anche un pizzico dell’ansia della prima volta, quella positiva. «Se non fossi agitato sarei troppo sicuro di me. Non è mai un bene esserlo», prosegue il food mentor e divulgatore scientifico della Fondazione Veronesi.

Ci dedica un po’ del suo tempo tra una prova e l’altra di un debutto decisamente importante: Marco Bianchi arriva a teatro. Il primo appuntamento sarà l’8 maggio 20.45 al Teatro Manzoni di Milano, dove metterà in scena «Il giorno perfetto». Dopo aver dedicato (tanti) libri, programmi televisivi ai temi della salute e degli stili di vita sani, ha deciso di metterli in scena, con uno spettacolo in cui racconterà come assaporare ogni giornata dal tramonto all’alba, accompagnato dalla musica e da qualche ospite inaspettato. Il tutto con quella maniera divertente, semplice e diretta tipica di Marco Bianchi.

Intervista a Marco Bianchi

In questa intervista racconta di questa nuova idea e svela qualche (piccolo) dettaglio sullo spettacolo, ricordando che «il giorno perfetto» è prima di tutto pieno di sorrisi.

Come è nato questo progetto?
«È cominciato tutto qualche anno fa, come una sfida personale. Volevo mettermi in gioco e trovare un modo per raccontare la cucina e la scienza come nessuno aveva fatto, così ho scritto un monologo, che però è stato per anni un cassetto. Poi l’ho ritirato fuori, ho incontrato Stefania Pepe, la regista giusta che mi ha accompagnato e guidato nel rendere il mio testo adatto a un teatro, ed eccoci qua».

A teatro per una sfida personale o perché ti piace l’idea di calcare la scena?
«Mancava questo tassello nel mio percorso: come è successo per la tv, per i libri, sentivo che dentro di me c’era questo desiderio di parlare di scienza in un modo nuovo, simpatico, divertente».

Cosa vedremo sul palco?
«Un Marco Bianchi diverso dal solito, sicuramente. Sarò affiancato da un trio musicale e questa interazione con i musicisti renderà tutto magico. Del resto il teatro è magia. Con me ci saranno anche una serie di “disturbatori”»

Chi sono?
«Quattro amici che hanno partecipato con un contributo che sarà trasmesso durante lo spettacolo: Luca Argentero, a cui devo tanto perché mi ha dato la spinta per andare avanti con il progetto, poi non poteva mancare Antonella Clerici con cui ho cominciato la tv, il comico e attore Max Pisu, e Federica Pellegrini perché nella giornata perfetta non può mancare lo sport».

In Texas c’è un pugliese che fa le orecchiette con le cime di rapa | La Cucina Italiana

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Vito Rossini ha 36 anni, è originario di Villa Castelli in provincia di Brindisi, ed è negli Stati Uniti dal 2015. Prima 4 anni a New York e poi quasi 5 ad Austin, in Texas, appunto.

“The Heel of the Boot”, alla lettera “Il Tacco dello Stivale”: è così che si chiama la sua creatura. Un’azienda di catering con due food truck e tante cucine mobili, itineranti.

Vito porta la Puglia alle feste e nelle case degli americani. Di un’America parecchio diversa da quella “solita” di New York, di Miami e di Los Angeles. Di un’America che, ci tiene a sottolinearlo, «vive un momento splendido».

La ricetta è semplice: le mitiche orecchiette, rigorosamente fatte a mano, con quelle che da queste parti chiamano “broccoli rabe”, le cime di rapa appunto. Stufati, saltati in aglio e olio e peperoncino, guarniti con filetti acciuga e finiti con mollica fritta. Semplici perché autentici, 101% pugliesi, come da tradizione.

Ed è semplice pure la ricetta del boom di questo Stato: tasse bassissime (un imprenditore paga mediamente soltanto il 20%!) e gru ovunque, simbolo di uno sviluppo inarrestabile. Non a caso, un certo Jeff Bezos di Amazon e un certo Elon Musk di Tesla stanno costruendo interi villaggi aziendali proprio qui, in Texas.

Ma a detta di Vito, Austin ha un motivo particolare: «Mi ricorda la Puglia», sentenzia sorridente. «Gli elementi sostanziali che determinano l’agricoltura pugliese sono gli ulivi, i fichi d’india e le vigne», e fa una breve pausa. «Praticamente Austin!», e sbotta in una fragorosa risata.

Le due terre incredibilmente si assomigliano, il mitico Stato del Sud degli Usa sembra proprio…il Tacco dello Stivale: «Ho trovato la mia Puglia in America!», esulta e ride ancora.

Vito ha avuto una storia familiare piuttosto difficile, ma ne è venuto fuori alla grandissima e su questo vuole sorvolare. Esattamente come gli eroi, infatti, delle sue cicatrici non ama parlare. Ama parlare del futuro e della speranza, della sua cucina e della sua passione.

Vito e sua moglie Nurah, a modo loro, ce l’hanno fatta. Hanno trovato la Puglia in America, hanno portato la Puglia in America.

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«I tortellini bolognesi sono sexy! Con quella forma a ombelico di Venere*, quel ripieno così gustoso e il brodo così ricco di sapori». Per chef Bruno Barbieri non ci sono dubbi anche sul loro destino: «I tortellini bolognesi muoiono nel brodo». Un piatto della tradizione emiliana che «mi appartiene sin dalla infanzia, per profumo, sapore, emozione» spiega lo chef raggiungo al telefono, dopo la registrazione di una delle nuove puntate di MasterChef Italia. I tortellini sono anche un piatto tra i più amati dagli stranieri. Dici tortellini ed è subito Emilia Romagna. Almeno se lo chiedi al “turista enogastronomico”, il cui identikit è stato tracciato dall’ultimo Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2023.

«A Bologna i turisti non vanno via senza aver mangiato un piatto di tortellini. Anche negli Stati Uniti è diventato un piatto super top (come Wendy Cacciatori, chef di Nonna Beppa a New York e dei due locali Via Emilia 9 e Via Emilia Garden a Miami, o come Lucciola, un angolo di Emilia-Romagna nel cuore dell’Upper West Side di Manhattan, ndr), ma non diciamolo ad Antonino, che pensa che il piatto più famoso al mondo sia ancora la pizza…», ironizza chef Barbieri riferendosi all’amico e collega chef Cannavacciuolo, con cui sta girando le nuove puntate di MasterChef. «I tortellini oltre a essere sexy, sono una roba raffinata, perché, al di là agli ingredienti, hanno una storia emozionale, e alla gente piace il racconto, anche profondo, di un piatto». I tortellini preferiti da chef Barbieri sono due. «Se voglio quello dei ricordi sono al brodo, altrimenti mi piacciono anche con la crema al parmigiano. Mia nonna me li faceva mangiare nella variante con la panna, quella buona della campagna, dal latte appena munto. Certo, al brodo di gallina è la versione più raffinata, sai, quello che fa quelle belle stelline sopra».

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Il rituale del tortellino

Ma esistono delle regole per un tortellino a regola d’arte? «Ovviamente sì! «Se hai un grande brodo, i tortellini sono migliori con il ripieno cotto, se il brodo è più scarico, allora meglio con il ripieno crudo, che lo insaporisce». Occhio all’estetica. «Con il ripieno crudo la pasta, in cottura, fa la classica grinza, quelli con ripieno cotto invece sono perfetti». Ammesso che li sia fatti a regola d’arte. Lo sa bene lo chef che da bambino aiutava la nonna nella preparazione. In campagna a casa Barbieri c’era sempre la pentola del brodo che bolliva tutta la settimana, poi quando era il momento della preparazione, «il ripieno era già mangiato per la metà, poi istruiti dalla nonna li mettevamo in fila come soldatini, se ce n’era uno storto lei ce lo faceva mettere a posto. Ecco, questa è la tecnica, il rigore in cucina che ho imparato sin da bambino». E non è finita, perché il rituale prevedeva anche un altro passaggio. «Quando rimaneva la pasta la mettevamo sulla piastra della stufa, e diventava croccantina, mangiavamo i tortellini anche così, senza brodo, un po’ come fanno oggi fanno i cinesi con i loro ravioli. La Cina non ha inventato nulla!».

Dove mangiare i tortellini a Bologna

«Io i tortellini li ho sempre inseriti nel menù dei miei ristoranti, anche quando vado fuori mi piace farli assaggiare, fai sempre bella figura, ti lasciano qualcosa nel cuore, nell’anima, come i bruscolini, poi, vanno via uno dietro l’altro. Per le famiglie bolognesi è un cult. Ancora oggi: si dice “ci vediamo domenica a mangiare i tortellini da…”. A me piace andare da Daniele Minarelli, all’Osteria Bottega, dal 2005 uno dei templi sacri della gastronomia bolognese…». Pochi giorni fa qui sono stati avvistati anche Cesare Cremonini ed Elisa, proprio davanti a un piatto di tortellini. «Un’altro luogo un po’ fuori dai soliti giri, che risale ai primi del Novecento, è Donatello. Una super trattoria apparecchiata con la classica tovaglia, tante foto alle pareti. E poi… a casa di Barbieri! Sono una garanzia, anche perché mia madre mi lascia nel freezer sempre i sacchettini sia di tortellini e sia di brodo, per questo non mancano mai». Tra l’altro il brodo è anche un toccasana per raffreddori e influenze di stagione: «Mia madre mi curava così, con una tazza di brodo, non c’è medicinale che tenga».

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