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» Tofu sott’olio – Ricetta Tofu sott’olio di Misya

Misya.info

Il tofu sott’olio è un modo per insaporire il cosiddetto formaggio di soia, che di suo non sa praticamente di nulla. Il vantaggio è che potete sbizzarrirvi variando ricette per creare tofumini (ovvero tofu, di solito a cubetti o a fettine, insaporito con una salsina o un condimento) di vari gusti: dai pomodori secchi, all’aglio, al basilico, al pepe, avete davvero tante possibilità per variare. Potrete poi usare il vostro tofumini sott’olio ad esempio per realizzare delle magnifiche insalate vegane o vegetariane, perfette per l’estate, potrete saltarlo in padella per poi usarlo per condirci la pasta, o anche servirlo così, per un aperitivo 😉 L’idea l’ho presa qui ed era troppo simpatica per non riproporla in casa e, con mia sorpresa, è stata apprezzata anche dai miei genitori 😛
PS: potete conservare il tofu sott’olio in frigo, ben coperto di olio, per alcune settimane, si insaporirà sempre di più man mano che il tempo passa.

 

Tamponate il tofu con carta da cucina, denocciolate le olive e dissalate i capperi.

Mettete in un vasetto di vetro sterilizzato: tofu, olive, capperi, origano e il peperoncino a pezzetti.

Coprite completamente con olio, chiudete bene, quindi fate insaporire in frigo per almeno 24 ore prima di servire il tofu sott’olio.

Molo47: gli italiani invadono Formentera

Molo47: gli italiani invadono Formentera

Formentera ha detto basta al turismo del divertimento, agli italiani macarones e soffre la crisi. Ma proprio un ristorante italiano segna una controtendenza (benvenuta) fatta di qualità, lusso e cucina fusion. E dà il buon esempio

C’è stata la Formentera degli hippie negli anni Sessanta, in tenda e spiaggia libera, poi quella dei radical chic degli anni Ottanta alla ricerca di pace e tranquillità. Dagli anni Novanta calciatori e veline hanno decretato il via del turismo di massa e dall’understatement delle Mehari da intellettuali di sinistra, gli abitanti di Formentera si sono ritrovati invasi da rombanti Jeep Wrangler, motorini e italiani sciabattanti, soprannominati macarones o proprio motorinos. Formentera nutre un amore-odio per gli italiani, e ultimamente propendeva per il secondo.

Italiani a Formentera

I connazionali hanno fatto la fortuna dell’isola, ma l’amore si è trasformato in odio fino alle rivolte “antitaliani” del 2016. Rumorosi, arroganti, maleducati, chiassosi, ci siamo ritrovati trattati come immigrati, respinti da ordinanze e repressione e rimandati indietro sulle coste di Ibiza. Gli abitanti pensano «si stava meglio quando si stava peggio» e i turisti erano meno. E così è iniziata la bonifica: basta aperitivi in spiaggia, basta feste, e un giro di vite dell’amministrazione locale hanno disincentivato con qualunque mezzo i turisti dal salpare in cerca di divertimento. Ha funzionato, e Formentera si è trasformata in una riserva indiana per vip ed è tornata a essere l’isola del silenzio. Pure troppo. Basta “turismo de borrachera”, gli sbarchi sono calati e (pure a Ibiza) le statistiche parlano chiaro: meno presenze con tassi di perdita a due zeri. La decrescita felice è cominciata e si vorrebbe basare su una nuova strategia: pochi ma buoni, alias ricchi. Ma per ora, non si vedono.

Molo47: da Nobu con amore

Di circa 300 ristoranti il 70-80% è a gestione italiana. Sono italiani i noleggiatori dei 33mila motorini che sfrecciano sulle stradine dell’isola, i proprietari dei rumorosi locali sulla spiaggia e buona parte delle attività nate negli ultimi dieci anni e che oggi vengono demonizzate. Ma ci sono anche italiani altri, che sull’isola hanno portato qualità, savoir faire e ospitalità italiana e oggi guidano, più che una rinascita, una controtendenza. Lo chef Antonio D’Angelo è uno di loro, arrivato sull’isola quasi per caso, per le vacanze, qualche anno fa. Non se ne è più andato. Cercava un luogo per rilassarsi dai ritmi frenetici di Milano, e alla fine al posto che riposarsi, a Formentera ha aperto il locale più lussuoso e moderno dell’isola: il Molo47.
Campano di origine e lombardo di adozione, lo chef Antonio D’Angelo entra da Nobu nel 2004 e dopo un anno viene scelto da Giorgio Armani per diventare il proprio personal chef. Oggi trascorre gli inverni come chef del ristorante milanese, in estate si divide fra la cucina dello yacht di Re Giorgio e quella del Molo47, il suo progetto personale.

La rinascita comincia dal porto

D’Angelo unisce la passione per la cucina giapponese, affinata e perfezionata in venticinque anni di carriera, con la sua formazione italiana, per una cucina fusion che propone materie prime di eccellente qualità, gusti inediti, abbinamenti inusuali, crudi, sushi e cotture alla brace nel Big Green Egg. Dalla cucina escono piatti come il Sashimi di salmone tataki, finocchio croccante, salsa Tosazu e maionese di jalapeño, vero King krab per dei roll con avocado, tamarillo e chips di taro, Ravioli di wagyu e cipolla caramellata alla soia, parmigiano e brodo al tartufo bianco, Triglia shimofuri aburi, salsa alle olive di Nocellara e capperi di Pantelleria. Da quest’anno a fianco del ristorante è stato inaugurato il caffè, aperto dalla mattina fino al drink del dopocena. La prima pasticceria di livello è arrivata sull’isola, così come cocktail miscelati con cura e realizzati con tanti ingredienti fatti in casa come la soda aromatizzata alle erbe mediterranee e distillati infusi. Il risultato sono gin fizz con gin infuso con aloe, limone e soda alla clorofilla o la Sangria 47, con frutta in osmosi. I prezzi più che ragionevoli: si cena a partire da 50€ e si pranza con 14€ per un club sandwich golosissimo. Tutt’altro che un chiringuito alla buona, il ristorante ha un appeal tutto metropolitano, un servizio di livello, ma senza tradire lo spirito rilassato dell’isola. In sala e come manager, un team multietnico e accomunato da un pedigree in ristoranti importanti, primo fra tutti proprio Nobu. Bianco, blu, grigio, tavoli all’aperto, e una nuova lounge arredata Riva, pit stop per le imbarcazioni ormeggiate lungo il Lugar Darsena Deportiva Mar di Formentera.

Dove si alza l’asticella

La movida riempie le strade e le serate a Es Pujols, a Sant Francesc o sulla sabbia di Playa de Migjorn o della, non a caso, Rigatoni Beach. Il porto non è la zona “cool”, ma ha del potenziale e grazie al Molo47 anche gli altri commercianti si stanno muovendo per creare eventi e iniziative. «Se si vuole un turismo diverso bisogna crearlo», ripete D’Angelo. Il Molo47 ha alzato l’asticella della qualità sull’isola, che a livello gastronomico non brilla di eccellenze. Pochi i locali storici con una buona cucina (oltre che la posizione panoramica) e tante le trappole per turisti: basta leggere i menu con spaghetti alla bolognaise e fritti misti di pesce decongelato. Poche le mosche bianche come gli italiani di Codice Luna, locale panoramico con vista davanti al faro la Mola che hanno da poco aperto nel centro di Sant Francesc La Pezqueria, un fish bar con tapas e panini di mare dall’ottimo rapporto qualità prezzo. Per una colazione rilassante, muffin vegani e open sandwich con pane fatto in casa, a Sant Ferran c’è Blat Picat, bar de vegetales che serve tutto fatto in casa al momento. Gli indirizzi crescono, e a dimostrazione li mappano dalla redazione di FaceFoodMag, che dedica un’edizione speciale a Formentera.

Il recupero delle terre

Il Molo47 è stato però anche uno dei primi ristoranti a rifornirsi di prodotti a km zero, sostenendo i giovani dell’azienda agricola Formentierra che stanno strappando all’abbandono l’entroterra lottando contro l’atavica mancanza di acqua di Formentera. Producono patate, pomodori sapidissimi, erbe aromatiche e stanno recuperando la razza di maiale nero autoctono. A distanza di un paio d’anni hanno dei corner di prodotti freschi in qualche negozio di alimentari e vendono a una trentina di ristoranti dell’isola. È bastato dare il buon esempio.

 

Un ristorante di Chongqing apre a Milano

Un ristorante di Chongqing apre a Milano

Il primo ristorante cinese che serve cucina della regione del Chongqing apre a Milano: per scoprire piatti che vanno oltre il piccante ed esplorano tutte le declinazioni di un sapore a noi sconosciuto, il “mala”. Per veri intenditori

Che sapore ha la nebbia? È piccante, ma di un piccante mai sentito. Il Gusto della Nebbia è quello dell’unico ristorante cinese specializzato in cucina del Chongqing a Milano. Chongqing (si legge “cioncing”), anche detta la città della nebbia, è chiamata così per gli oltre cento giorni all’anno in cui l’umidità del suo clima semitropicale si condensa e immerge l’intera città in una coltre di scighera che ricorda quelle della Milano di una volta. Chongqing è però soprattutto la metropoli più grande del mondo con 33 milioni di abitanti e un’economia in crescita: ne sentiremo parlare, e non solo per la sua cucina. Ora indipendente, il Chongqing ha fatto parte dello Sichuan e la sua cucina è ugualmente, proverbialmente piccante. Ma non come lo pensiamo noi italiani.

Il piccante che non conosciamo

Per noi il piccante è quella sensazione di bruciore che si prova in bocca, non un sapore. Il peperoncino è piccante, e per noi il peperoncino è solo quello rosso. In realtà di peperoncini ne esistono centinaia di varietà, più o meno piccanti secondo la scala Scoville che ne misura la potenza, ma hanno soprattutto sapori diversi. E poi ci sono quelli tostati, dal gusto leggermente affumicato, quelli freschi, in salamoia, essiccati, in olio… c’è un universo di sapori che noi derubrichiamo con un unico termine e tendenzialmente riducendo il tutto al solo peperoncino. A provocare la sensazione di calore sono però diverse sostanze, con effetti diversi sul nostro palato: la capsaicina contenuta nei peperoncini e la piperina nel pepe, che “prendono” alla bocca, oppure l’isosolfocianato e l’isotiocianato di wasabi, rafano, senape o l’allicina contenuta nell’aglio e nella cipolla, che “salgono” nel naso. Ci sono poi il pepe di Sichuan, o il pepe di Chongqing, di cui si usano solo i gusci e non le bacche, che oltre alla sensazione di piccante intorpidiscono la bocca, lasciandola letteralmente anestetizzata.

La “mala” cucina del Chongqing

La cucina del Chongqing è una derivazione regionale della cucina del Sichuan, che è una delle otto tradizioni di cucina cinesi codificate. È piccante, speziata e aromatica ed è la perfetta definizione di “mala”, che in cinese significa letteralmente “intorpidente e piccante”. Ricca di peperoncino, pepe di Sichuan, zenzero e aglio, la cucina del Sichuan è tutt’altro che solo piccante. Ha un sapore complesso, confortante, dato l’uso limitato di aceto e gusti agri, e dolce al tempo stesso. Fagioli di soia fermentati e sesamo ricorrono nei piatti, aggiungendo una ulteriore sfumatura alle pietanze. Che in Italia è molto difficile assaggiare (per non dire mai).

Il Gusto della Nebbia: il ristorante di chef Lampo

Wu Jun Xin è arrivato in Italia nel 2014 e decisamente non per fare il cuoco. Nella vita fotografa, dipinge e oggi cucina nel suo ristorante fra corso Como e Chinatown, il Gusto della Nebbia. Il nome ha diverse valenze perché in cinese si scriverebbe “Wu Wèi” e racchiude nel nome tre elementi: il gusto di Chongqing, il gusto di Wu (il nome cinese di Lampo) e il piacere di “sentire” il piatto, percepirlo interiormente senza accontentarsi dell’apparenza, del primo assaggio. Ha scelto come nome italiano Lampo, ha chiesto a sua madre le ricette di famiglia e si è organizzato per importare alcuni ingredienti introvabili in Italia, come il pregiato pepe di Chongqing e la Ya cai, verdura in salamoia fatta dai gambi superiori di una varietà di senape verde, con cui viene preparata la tipica salsa Yibinese.

Menu e prezzi

La cucina è verace, di sapori intensi, dove il piccante varia di intensità e sapore. Se il Mapo Tofu è una ricetta tipica del Chongqing, il Vulcano è la versione di Lampo, servito mentre ancora bolle e preparato con tofu, ragù di manzo, peperoncino, dieci tipi di pepe, brodo di carne e spezie e una salsa molto tipica, ma realizzata in maniera nuova, un piatto che al palato sprigiona sei diversi sapori: MA (intorpidimento), LA (piccante), XIAN (fresco, saporito,), XIANG (profumato), SU (croccante fuori tenero dentro), TANG (bollente).
Di antipasto serve piccoli piatti di aperitivo come l’uovo di quaglia sodo in salsa chongqingese, il filetto di pollo saltato e servito freddo a bocconcini, la coppa di suino fritta, zampe di gallina che nella cottura a pressione acquisiscono una consistenza morbidissima. C’è il coniglio (servito freddo, in varie ricette) e la trippa di vitello che viene lessata con salsa di sesamo, olio di sesamo, aromi e peperoncino di Chongqing. Per i vegetariani, la proposta del tofu secco, essiccato a cubetti agropiccanti e dell’insalata con foglie di lattuga e sedano, accompagnate da salsa di sesamo. Per gli amanti del riso cantonese, indimenticabile la ricetta servita al tavolo in una pentola rovente e mantecata al momento con bocconcini di pollo, molto piccante, o secondo una personalissima interpretazione di Lampo, con ragù di manzo australiano, cipolle, coriandolo. Si spendono massimo 14€ per un piatto principale, 5€ per un antipasto.

Non sono ramen, sono xiaomian

Dopo una sequenza di ottimi assaggi da condividere con tutto il tavolo, il piatto forte: noodles cinesi tipici del Chongqing. Si chiamano xiaomian e se sembrano dei ramen è solo perché i ramen giapponesi arrivano dall’epoca della dominazione cinese. La pasta è fatta in casa da un laboratorio artigianale con farina di frumento e senza uova, e sono proposti in tante versioni: fredde o calde, in brodo o asciutte. I noodles più caratteristici sono in brodo – realizzato con pollo, manzo e ben sedici spezie – alla Chongqing, serviti caldi o freddi. Ci sono quelli in salsa Ybinese, senza brodo, o con i caratteristici piselli gialli e ragù di pancetta di suino, o con gambero e maiale, con una salsa dolce e piccante. Gustosi e tradizionali sono i noodles con manzo alla Chongqing, immersi in un brodo fatto con una coscia di manzo cotta per quattro ore. Il pollo è protagonista sia in versione fredda e sfilacciato con salsa Shiraki sia asciutta e piccante, con le uova strapazzate, e ancora con i crauti cinesi e il particolare gusto agropiccante. Infine, due ricette assolutamente originali: in brodo con il tendine di manzo, dove i bocconcini assumono una consistenza elastica, e con il fegato di pollo in una zuppa per la quale si usano peperoncini marinati in acqua e sale per molto tempo. È il piatto più piccante, di culto, solo per gli appassionati di vera cucina tipica cinese.

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