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EA(s)T Lombardy, come hanno riaperto i ristoranti

EA(s)T Lombardy, come hanno riaperto i ristoranti

Le testimonianze dei titolari dei locali che fanno parte della rete, tra disorientamento iniziale e volontà di ripartire all’insegna della qualità

«Io sono ottimista per questa riapertura, certo timoroso che tutto possa crollare nuovamente e indispettito che molti ristoratori lombardi non adottino le regole corrette e imposte. È chiaro che i posti diminuiscono: noi da 100 posti fuori all’aperto ne abbiamo ora 24. All’interno erano 80 sono diventati 28. Per contro i clienti sono ubbidienti, non si lamentano, apprezzano la maggior tutela. Il distanziamento è efficace e li fa sentir tranquilli, apprezzano l’attenzione».

A raccontare la riapertura è Franco Giordano, proprietario e chef della pizzeria Ottavo Nano di Brescia. Che è uno dei 300 ristoratori e 250 produttori che fanno parte della rete di operatori EA(s)T Lombardy, marchio nato per favorire l’evoluzione dell’enogastronomia nelle quattro province della Lombardia orientale, Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, e per supportare le eccellenze dei suoi produttori e dei suoi ristoranti.

«Mai come oggi la rete degli operatori EA(s)T Lombardy trova la sua ragion d’essere. Perché “rete” racchiude un concetto chiaro, antico, reale: quello di “l’unione fa la forza”», fanno sapere da EA(s)T Lombardy. «In un panorama di disorientamento per il settore della ristorazione, ancor più per quei ristoranti che hanno un legame forte con il territorio, vogliamo sostenere gli operatori e le eccellenze locali trasmettendo il concetto che far bene fa bene al territorio stesso, e questo obiettivo è raggiungibile oggi solo con la qualità».

Durante questa fase di ripresa dopo l’emergenza sanitaria, EA(s)T Lombardy vuole affiancare i suoi protagonisti, cercando di capire con loro come riprendere e su cosa puntare. I ristoratori hanno le idee chiare: vogliono focalizzarsi sulla qualità, per far sì che il cliente rinnovi la sua fiducia.

«Quando abbiamo riaperto ci è sembrato come riprendere da zero. Ma è stata una ripartenza molto carica da un punto di vista emotivo. Sono venuti a trovarmi i miei clienti più affezionati, è stato un tributo di stima e di affetto», dice Mario Cornali, chef e titolare del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo. «Noi di Bergamo e provincia abbiamo vissuto una tragedia, neppure emotivamente è possibile fare finta di nulla, ma il mondo va avanti si rifonda e si rigenera. Non abbiamo mai smesso di lavorare, abbiamo fatto delivery in tutta la Lombardia con le nostre colombe pasquali, abbiamo sperimentato nuove ricette, ripensato gli spazi, pulito, rinnovato, gettato cose inutili. In qualche modo abbiamo rimesso ordine sia in senso reale che metaforico».

Gli fa eco Sergio Carboni del ristorante Locanda degli Artisti di Cremona: «Avevamo tanta voglia di riaprire e tanto entusiasmo, perché amiamo il nostro lavoro che nelle scorse settimane ci è mancato molto. Alla riapertura sono venuti alcuni clienti abituali, che ci hanno tributato un gesto di stima e anche di amicizia. Ci sarà bisogno di tempo e di capire quali saranno gli aiuti governativi per giudicare gli effetti da un punto di vista economico, sicuramente è stato un momento emozionante e positivo per noi e per i nostri ospiti. Dobbiamo pensare positivo, trasmettere messaggi di fiducia e incoraggiare le persone, farle sentire bene, accolte e a loro agio».

All’Hostaria Viola di Castiglione delle Stiviere, Mantova, i titolari hanno deciso di aprire un giorno in più. «Per fortuna nel nostro ristorante avevamo già prima i tavoli distanziati e la risposta dei clienti è stata molto buona», spiegano. «Quello che preoccupa sono le condizioni economiche. Abbiamo scelto di aprire un giorno alla settimana in più per cercare di non dover lasciare a casa nessuno dei nostri dipendenti e abbiamo aumentato la nostra offerta con l’asporto che prima non facevamo; anche così arriviamo però al 60% delle entrate pre-pandemia, ma avendo aperto da poco è ancora presto per fare calcoli. È sufficiente per ora per stare in piedi».

 

Ricetta Torta con mousse al caramello e pesche

Ricetta Torta con mousse al caramello e pesche
  • 290 g panna fresca
  • 250 g farina
  • 155 g burro
  • 100 g zucchero a velo
  • 90 g tuorlo
  • 65 g zucchero semolato
  • 35 g miele
  • 6 g gelatina in fogli
  • 2 pesche
  • limone
  • sale

PER LA PASTA FROLLA
Lavorate 150 g di burro con lo zucchero a velo; unitevi poi la scorza grattugiata di 1 limone e 40 g di tuorli, infine la farina e un pizzico di sale. Impastate brevemente il panetto ottenuto, finché non sarà omogeneo, avvolgetelo nella pellicola e ponetelo a riposare in frigorifero per 1 ora.
Stendete la frolla a 3 mm di spessore e foderate 2 tortiere da crostata (ø 20 cm ciascuna). Rifilate il bordo, bucherellate il fondo, copritelo con carta da forno e riempite con fagioli secchi; cuocete «in bianco» in forno a 170 °C per circa 25 minuti. Eliminate i fagioli e la carta e cuocete per altri 5 minuti. Sfornate e fate raffreddare.

PER LA MOUSSE
Ammollate la gelatina in acqua fredda.
Fondete 50 g di zucchero semolato con il miele; quando comincia a imbrunirsi, aggiungete 90 g di panna, scaldata in un pentolino. Lasciate sciogliere i grumi che si saranno formati, spegnete e aggiungete 5 g di burro, ottenendo un caramello delicato.
Scaldate 20 g di acqua con 15 g di zucchero semolato e versatelo sui 50 g di tuorli sbattuti. Scaldateli fino a 85 °C e montateli con una frusta elettrica, finché non saranno spumosi.
Unite ai tuorli caldi la gelatina strizzata e 160 g del caramello preparato prima. Lasciate intiepidire il composto.
Montate la panna fino a una consistenza cremosa, tipo yogurt, e incorporatela al composto di uova. Versate la mousse nei due gusci di frolla e livellate la superficie.
Mettete le torte in frigo per 1 ora. Completatele infine con le pesche a fettine e, a piacere, con amaretti e foglioline di menta.

In Veneto tra le Ville del Palladio che ispirarono la Casa Bianca

In Veneto tra le Ville del Palladio che ispirarono la Casa Bianca

La più famosa è La Rotonda, ma tante sono le ville nobiliari che meritano una visita tra Padova e Vicenza. Da girare anche pedalando tra i vigneti

Sono tante, una più bella dell’altra e si fa davvero fatica a scegliere quale visitare. Parliamo delle Ville Palladiane del Veneto, patrimonio Unesco dal 1996, e tra i tesori più o meno nascosti del nostro Paese. La mano – o per meglio dire la testa – che le ha progettate nella maggior parte dei casi è la stessa (Palladio appunto), l’epoca in cui sono state costruite anche, eppure queste dimore sono molto diverse tra di loro, e risultano ognuna unica e speciale a modo suo.

Ci troviamo a pochi chilometri da Venezia, in un fortunato (tri)angolo di campagna padana tra Vicenza, Padova e Treviso, dove vigne e terra fanno l’amore per regalare al mondo il loro vino migliore. Qui, in un periodo di pace e di grande ricchezza (per alcuni), i nobili veneti del Rinascimento fecero edificare dimore di rappresentanza, presso cui sovrintendere al lavoro estivo nei campi. Colui che per primo ebbe il guizzo fu Andrea Palladio (Padova, 1508 – Maser, 1580), architetto ufficiale della Serenissima, a cui si deve l’invenzione della villa aperta come la conosciamo oggi. «Nel ‘500 non c’erano più le guerre che avevano caratterizzato il tempo precedente, il castello per difendersi non serviva più e la villa dava proprio l’idea di una struttura aperta al mondo e perfettamente integrata nel contesto naturalistico e paesaggistico circostante», spiega Tiziana Spinelli, segretaria della Fondazione La Rotonda, cui fa capo una delle ville più famose.

Villa La Rotonda

Venne eretta tra il 1560 e il 1565 e in realtà non si chiama così, bensì Villa Almerico Capra, come il cognome dei suoi primi proprietari: Paolo Almerico, il fondatore, e i marchesi Capra, a cui il figlio di Almerico vendette tutto dopo aver sperperato l’intero patrimonio di famiglia. L’appellativo più famoso lo deve alla forma circolare della cupola (e non solo di quella), che richiama chiaramente il Pantheon di Roma, di cui imita anche il buco alla sommità, ma anche il colle di San Sebastiano che la sovrasta. Tutto, per Palladio, doveva essere infatti armonioso e conforme alle regole e alla geometria, proprio come lo era stato per i greci e per i romani, da cui riprese anche le colonne e i timpani degli antichi templi. A sua volta, però, anche Palladio fu ripreso, addirittura esportato: la Casa Bianca con il lungo colonnato è ispirata proprio alle sue ville, così come il Campidoglio, sede del Congresso americano, che evoca le linee di La Rotonda. Fu il terzo presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson a prendere spunto dal Palladio per dare (anche) alla sua nazione una connotazione artistica, bella e culturale.

Oggi Villa La Rotonda appartiene ai conti Valmarana, che ogni tanto – beati! – trascorrono a palazzo i weekend. Curiosità: proprio come nel Rinascimento quando la villa era solo una dimora di rappresentanza, a La Rotonda il mobilio si scopre a metà marzo, «e a metà novembre si ricopre», racconta Tiziana Spinelli. Tra marzo e novembre, la struttura è aperta al pubblico tutti i venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18, e solo le visite guidate sono da prenotare.

Villa Valmarana “ai Nani”

È vicinissima a La Rotonda, ci si arriva attraversando la strada in pochi metri. Come suggerisce già il nome, anche questa appartiene ai conti Vismara e prende l’appellativo ai Nani per via delle statue di nani poste sul suo muro di cinta. Risale al Diciassettesimo secolo ed è opera dell’architetto Francesco Muttoni. Si narra che la figlia degli antichi proprietari, Layana, fosse nata piccolina e loro, per non farla sentire inferiore, decisero di costruirle attorno un mondo altrettanto piccolo, fatto di servitori ad altezza contenuta, barchesse mignon (ossia gli ambienti di servizio tipici di queste ville) e, appunto, nani di pietra. La storia fin qui è molto tenera, poi cambia registro e si trasforma in tragedia: la piccola s’innamora di un ragazzo alto, scopre che il mondo non è piccolo come lei e si toglie la vita. Sigh.

La Villa è formata da tre edifici – palazzina (1669), foresteria e scuderia (1720) – situati in un grande parco con giardino all’italiana e costruito in maniera perfettamente simmetrica. Qui, l’elemento di maggiore interesse è dato dagli affreschi di Giambattista e Giandomenico Tiepolo, chiamati nel 1757 dal proprietario Giustino Valmarana a decorare la palazzina e la foresteria. Villa Valmarana si può visitare tutte le domeniche alle 10:30 e alle 11:30 e, in questo caso, si consiglia di prenotare.

La Malcontenta

Torniamo a Palladio, che la progettò nel 1559, e ci troviamo a Mira, in provincia di Venezia. A rendere speciale questa villa, di proprietà dei Foscari di Venezia (che ne sono ancora oggi i custodi), è soprattutto il contesto naturale in cui si trova, proprio sulle rive del Naviglio del Brenta, che da Palladio fu perfettamente inglobato nella sua architettura. Prima di entrare, bisogna lasciare l’auto nel parcheggio del paese perché qui si arriva rigorosamente a piedi.

Una leggenda narra che la villa debba il soprannome di Malcontenta a una dama misteriosa di casa Foscari, che visse qui da sola per trenta lunghi anni, ma non venne mai vista uscire né affacciarsi dalle finestre. Più prosaicamente, è possibile che il nome derivi dall’espressione Brenta mal contenuta, dato che il fiume straripava spesso.

La villa è aperta tutti i fine settimana dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 17.30.

Tour in e-bike

Se oltre a visitare queste ville meravigliose desiderate perdervi – per modo di dire – tra stradine e filari, perlopiù ciclabili e pianeggianti, prenotate un’e-bike presso l’agenzia Palladian Routes: ogni bici – ce ne sono a disposizione 120 – è dotata di un Gps integrato che vi guiderà lungo le tappe principali del vostro tour palladiano. A voi non resterà solo che pedalare.

Per dormire

Non sarà stata disegnata dal Palladio, ma è comunque una villa ricca di fascino e storia. Circondata dal verde, è vicina alle uscite dell’autostrada Vicenza Est e Vicenza Ovest ed è un ottima base per tour palladiani, ciclabili ed enogastronomici: La Locanda degli Ulivi, dimora storica del Settecento, ha soltanto 10 camere, e offre un’ospitalità autentica. Oltre che una bella vista sul lago di Fimon.

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