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Il regno delle bombette a Cisternino

Il regno delle bombette a Cisternino

La bottega nella Valle d’Itria che spedisce bombette e gnumareddi in tutta Italia, da cui è nato il salumificio campione di capocollo. Per fare shopping e farsi consigliare i migliori (veri) fornelli di Cisternino

L’insegna in centro a Cisternino recita Itria Carni e un numero di telefono che fa quasi sorridere: non c’è neppure il prefisso. È lì dal 1987, come la macelleria della famiglia Santoro, che da qui è partita per costruire un piccolo impero del capocollo di Martina Franca. Oggi il Salumificio Santoro è sinonimo di capocollo, serve i migliori ristoranti stellati d’Italia ed è distribuito persino da Harrods a Londra, sfornano novità come il Pancapocollo a Natale e würstel artigianali deliziosi. Ma il loro cuore è quello di macellai.

Un macelleria avveniristica

Giuseppe Santoro, classe 1963, è il capostipite della dinastia e padre dei due volti più social dell’azienda, le figlie Angela e Micaela, alias @lesantorine. Da ragazzino dopo la scuola lavorava come garzone in una macelleria nel paese, e poi finalmente a 24 anni nel 1987 inaugura la sua prima macelleria: moderna, minimale, con grandi banchi a vista e un lungo bancone. Insieme all’inseparabile moglie Piera si dedica alla carne, di manzo ma soprattutto di maiale, in una terra di tradizione norcina. Oggi Giuseppe sovrintende alla lavorazione del salumificio, mentre la macelleria di famiglia viene gestita da Piera e dalla nonna Angela, che prepara a mano bombette e gnumareddi che vengono spediti in tutta Italia e fino a Milano in uno dei ristoranti avamposto delle bombette pugliesi, Fratelli Torcinelli.

Di gnumareddi e di zampine

Gnumareddi, torcinelli, semplicemente involtini, sono un’altro prodotto tipico pugliese. Sono involtini di budello di agnello arrotolati attorno a frattaglie miste come cuore, fegato, polmone, rognone e insaporiti con prezzemolo o altre spezie. Li si trova al banco della macelleria, ma fra le specialità meno conosciute, c’è da provare anche la zampina, una salsiccia originaria di Sammichele di Bari e diffusa in tutta l’area. Non è fatta con la zampa di maiale, ma prende il nome dal supporto a “y” su cui veniva cotta allo spiedo ed è a base di carne di pecora, formaggio, sale, pepe, ma anche pomodoro e basilico. Alla Macelleria Santoro viene impastata a mano e venduta fresca.

Le bombette di Cisternino

Le bombette sono fatte con lo stesso taglio dei salumi locali, il capocollo, che a fettine sottili vengono arrotolate su se stesse e chiuse con uno spiedino. Sono ripiene di formaggio Canestrato, sale e pepe, e possono essere sia lisce che impanate nel pangrattato. Sono loro che vengono cotte nei tradizionali fornelli, che non sono forni o piani di cottura, ma dei “caminetti” in pietra tradizionali dentro cui vengono appoggiati gli spiedi in verticale. I mitici “fornelli” che sono qui diventati un’attrattiva turistica locale sono proprio quelli in cui si cuociono le bombette, o si dovrebbero. I fornelli erano un servizio delle macellerie locali che vendevano da asporto la carne già cotta alle famiglie che poi la consumavano a casa, nelle teglia di alluminio.

In giro per Cisternino: i fornelli dove andare

Le bombette come tradizione pare siano nate oltre 40 anni fa nella macelleria Romanelli di Martina Franca, ma ora il regno della bombetta è Cisternino, ricca di ristorantini in cui godersi la carne locale. «Negli anni Novanta il Bar Fod organizzava un festival jazz in piazza, Pietre che Cantano, e la macelleria Zio Pietro cominciò a vendere le bombette come street food a chi ascoltava i concerti. Tutto è nato un po’ per caso», raccontano Angela e Micaela Santoro. «Dopo Zio Pietro hanno cominciato a farlo anche le altre due botteghe storiche, la Rosticceria De Mola (che non esiste più) e l’Antico Borgo di Piero Menga». Oggi sono sorti ristoranti in tutta la città, ma non tutti hanno il vero fornello: «Molti cuociono le bombette sulla griglia o al forno, come si farebbe a casa, ma è tutta un’altra cosa». Per loro le bombette le si mangia solo se cotte nel fornello tradizionale, lentamente e facendo colare il grasso.

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» Cuor cake – Ricetta Cuor cake di Misya

Misya.info

Innanzitutto preparate la crema: mettete farina e zucchero in un pentolino, incorporate il latte a filo mescolando costantemente per non far creare grumi, quindi unite succo e buccia di limone e cuocete fino a che la crema non sarà arrivata a ebollizione e non si sarà addensata.
Aggiungete la curcuma o il colorante (se avete deciso di metterlo), quindi coprite con pellicola a contatto e lasciate raffreddare completamente.

A questo punto potete preparare l’impasto per le tortine: montate gli albumi a neve fermissima insieme allo zucchero.

Incorporate farina e lievito setacciati, olio e buccia di limone, mescolando sempre molto delicatamente, con movimenti dal basso verso l’alto, in modo da non far smontare gli albumi.

Versate un po’ di impasto in ogni formina, riempiendola per metà, quindi aggiungete al centro (lasciando i bordi liberi) la crema ormai fredda, infine coprite la crema con l’impasto restante e infornate in forno statico già caldo, cuocendo per circa 20 minuti a 180°C (se fate la prova stecchino ricordate che il cuore di crema deve rimanere morbido, quindi non infilzate lo stuzzicadenti fino al centro).

Lasciate raffreddare completamente prima di sformare le tortine, quindi sciogliete un po’ di cioccolato bianco (nel microonde o a bagnomaria), versatelo in una sac-à-poche col beccuccio liscio e molto piccolo e disegnate dei cuoricini in cima alla cupola di ogni tortina.

I cuor cake sono pronti.


I custodi del pomodoro Riccio di Parma

I custodi del pomodoro Riccio di Parma

Riccio di Parma: no, non si parla di capello, ma una varietà di pomodoro! In tre, uniti per reintrodurre (con successo) un’antica varietà parmense, dalle dimensioni extra-large!

Rosso brillante, pelle sottile, costoluto, dolce, ma con una punta leggermente acidula. Il Riccio di Parma è uno dei pomodori italiani più grandi. L’aspetto perfetto e le dimensioni extra large non devono insospettire: all’origine non ci sono sementi selezionate dalle multinazionali dell’agroalimentare e coadiuvanti chimici, ma una storia di passione e perseveranza. Probabilmente è sulle tavole parmensi da diversi secoli, ma è solo dalla seconda metà dell’Ottocento che ha acquisito un’identità precisa. Il merito spetta all’agronomo Carlo Rognoni, che ha cominciato a coltivarlo nel suo podere, seguito poi da altri contadini della zona pedemontanta, fra Traversetolo e Felino. È stato parte integrante dell’economia e della cultura agricola locale fino alla Seconda guerra mondiale, quando il metodo industriale ha cambiato gli scenari: servivano varietà più produttive, da gestire con le macchine, mentre il riccio ha la pelle molto delicata e deve essere raccolto scrupolosamente a mano.

riccio

Per decenni solo pochi hanno continuato a coltivarlo in piccoli orti. E per fortuna, perché i semi sono stati preziosi per la sua reintroduzione e valorizzazione come eccellenza della Food Valley, come il parmigiano reggiano, il prosciutto crudo e altre specialità. Nel 2017 è nata l’associazione Agricoltori Custodi del Pomodoro Riccio di Parma (pomodororicciodiparma.it), che raggruppa i tre produttori di questa antica varietà: Monica Azzoni, la famiglia Colla e la famiglia Cotti lo coltivano come centocinquant’anni fa, con il sistema dei filari, così le foglie assorbono omogeneamente i raggi solari, e il frutto cresce sano e vigoroso fino alla piena maturazione naturale.

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Azienda Agricola Colla.
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Azienda Agricola Cotti.

«La lavorazione comincia in primavera con la preparazione dell’impianto e si conclude con la raccolta tra luglio e inizio ottobre, quando il pomodoro sprigiona tutto il sapore e il calore dell’estate», spiega Gabriele Colla, proprietario dell’omonima Agricola. «Il nostro sapere non è scritto, si tramanda, e siamo gli unici custodi di questo prodotto pregiato». Perciò lo espongono con orgoglio al Rural Festival, che si occupa di recuperare varietà vegetali e razze animali quasi estinte di Emilia- Romagna, Liguria e Toscana. Il riccio si trova al Rural Market in centro a Parma, fresco e in passata che, come aveva intuito il professor Rognoni, è il modo migliore per conservarlo.

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