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Sant Ambroeus: viaggio andata e ritorno Milano

Sant Ambroeus: viaggio andata e ritorno Milano

Milano – New York, un viaggio di andata e ritorno con diverse tappe negli Stati Uniti che è servito per riaprire il celebre Sant Ambroeus nella sua città di origine. Sotto il buon auspicio del nome in dialetto preso dal patrono di Milano, la storica pasticceria fondata nel 1936 e basata in corso Matteotti 7 ritorna con un nuovo posizionamento sul mercato e tutte le carte in regola per ritrovare la sua fama.

Il viaggio per raggiungere Milano è stato lungo. Nel 2003, Gherardo Guarducci, Founder ed Executive Chairman del SA Hospitality Group di cui fa parte Sant Ambroeus, entra in collaborazione con la famiglia Pauli, proprietaria della location milanese fino al 1982, per trasferire l’eredità del Sant Ambroeus a New York, con l’obiettivo di ritornare un giorno a Milano. Dopo i successi nel West Village e la riapertura degli spazi sulla Madison Avenue, nuovi Sant Ambroeus sono stati aperti in quartieri come Manhattan e Palm Beach in Florida, e altri ancora. Nel 2021 parte il sogno di riunire la tradizione del brand e la sua nuova identità si è finalmente realizzato oggi.

L’offerta gastronomica di Sant Ambroeus Milano

Sant Ambroeus torna per raccontare la storia di Milano attraverso la tradizionale ospitalità italiana con la spigliatezza a stelle e strisce. Aperto per colazione, pranzo e cena, è pronto per riprendere il suo posto in cima alla lista dei place-to-be della città meneghina. Ristorante, pasticceria e caffè aperto tutti i giorni dalle 7.30 fino alle 23, è un punto fermo, anche culturale, nel cuore della città e per la città.

L’offerta gastronomica si sviluppa sotto la direzione di Iacopo Falai celebrando le origini del ristorante e la tradizione milanese, ma soprattutto la cultura gastronomica e le eccellenze del nostro Paese, dando spazio anche a quanto il gruppo ha costruito negli Stati Uniti in questi anni.

Nel nuovo menù, in anteprima, si parte dalla tradizione meneghina per degustare una costoletta alla milanese con riso al salto e ossobuco e si continua con il piatto italiano per eccellenza, gli spaghetti al pomodoro, fino alla pasta fresca come gli stracci al ragù di cinghiale e porcini. Andando oltreoceano ci si ferma a New York per una Cesare Cardini salad o un gigantesco burger, per arrivare fino ai mari freddi del New England con il lobster roll.

Ad affiancare Iacopo in cucina Walter Casiraghi, Excecutive Chef del Sant Amboreus Milano, che rientra in Italia forte di un lungo trascorso all’estero in cui si è concentrato, in particolare, nell’affinare la cucina plant based.

Nella carta dei vini troviamo soprattutto cantine italiane, con un’ampia selezione di produttori biodinamici e naturali, insieme ad alcune opzioni francesi e americane. Per la carta dei cocktail l’ispirazione viene dalle location statunitensi. Sant Ambroeus Milano accoglie anche gli amanti della miscelazione: il menù dei cocktail è neoclassico con twist più innovativi, ispirato alla carta delle altre location negli Stati Uniti.

Bentornato Sant Ambroeus!

Il grande ritorno delle carrube siciliane

La Cucina Italiana

Torna di moda uno degli ingredienti più antichi e dimenticati della nostra gastronomia. Sono le carrube, preziosi baccelli assai diffusi nell’Italia meridionale, soprattutto in Sicilia, i cui semi possono essere definiti un po’ il “cacao di casa nostra”. E questo ben lo sapevano gli Arabi, che utilizzavano i semi di carrubo (“quirat”) come unità di misura per le pietre preziose, pratica che diede origine al termine “carati”. Ma i semi non sono l’unica fonte di gusto derivanti dal carrubo.

Da bere

Le carrube (intese come i baccelli) si raccolgono in settembre: macerate in acqua, rilasciano una notevole quantità di glucosio, e quindi vengono utilizzate per la produzione di liquori e sciroppi, ricavati con la triturazione della polpa, che poi viene fatta fermentare e distillata. Il processo si può eseguire anche in casa, il risultato è un liquore di colore marrone dal gusto piacevole, da servire fresco.

Le tagliatelle con la bottarga di tonno

Una volta essiccate, dai semi delle carrube si ricava anche una farina che può essere utilizzata per la preparazione della pasta fresca. Un esempio? Le tagliatelle alla carruba ragusane, preparate con un impasto di farina di grano duro e di carruba (in proporzione di 4 a 1) e con un condimento barocco da leccarsi i baffi: bottarga di tonno, buccia d’arancia grattugiata, aglio, olio extravergine d’oliva e prezzemolo. Originale anche questo condimento salentino, che prevede radicchio, cipolla, aglio, pancetta affumicata, noci, vino bianco, parmigiano e panna.

I dolci

Ma l’utilizzo principale della farina di carrube è nei dolci, spesso in sostituzione del cacao, e per questo risulta particolarmente apprezzata dai vegani (si fa a meno di latte e simili). Ma con le carrube si preparano torte, budini e soprattutto i biscotti. In questi ultimi farina bianca e farina di carrubo vanno mescolate in proporzione di 2 a 1 e abbinate a zucchero di canna, burro, uova, latte, cannella e lievito. Perfetto l’abbinamento tra il cioccolato di Modica e i biscotti alle carrube. Con la farina si prepara un dolcissimo e semplice “street food” siciliano, ossia le caramelle di carrube, utilizzando solamente acqua e miele o zucchero. La farina di carruba, in generale, è un ottimo addensante, utilizzato anche in gelati, bignè e crem caramel.

Il grande ritorno delle carrube siciliane
Gelato alla crema, limone e zenzero

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Le proprietà

Dal punto di vista nutrizionale la carruba è un alimento piuttosto calorico (207 calorie ogni 100 grammi), ma è un’ottima alternativa al cacao per le persone intolleranti a questo ingrediente, anche se il gusto è diverso. La ricchezza di fibre, inoltre, aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo “cattivo” e i livelli di trigliceridi. È ricca di proteine e sostanze antiossidanti ed è una fonte di vitamina E e di vitamina K e contengono calcio, zinco, potassio e fosforo.

Un cibo biblico

Perché, allora, la carruba per lunghi anni è caduta nell’oblio? La carruba ha origini mediorientali. Nei Vangeli di Marco e Matteo, quando si racconta di Giovanni Battista “si cibava di locuste e miele selvatico”, ma con il termine “locuste” si intende probabilmente “carrube”. Per il loro alto valore nutritivo, fin dall’antichità venivano utilizzate per nutrire gli animali, come testimonia un altro Vangelo, quello di Luca. Nella parabola del figliol prodigo, si racconta che il giovane “avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava”.

La capitale? Ragusa

A quell’epoca il carrubo era presente già da qualche secolo in Sicilia, per merito dei Greci o dei Fenici. Anzi, alcuni studiosi ritengono perfino che sia una pianta autoctona dell’isola. Ma furono gli Arabi che puntarono fortemente su di lui, con coltivazioni che si estendevano dalla Sicilia fino al Marocco. Per la Sicilia cristiana, però, il carrubo era pur sempre la pianta sacra a San Giorgio, come testimoniano i numerosi tabernacoli all’ombra di questi alberi. Nonché lo splendido Duomo di San Giorgio che domina Ragusa, tuttora la vera “capitale” del carrubo. In epoca medievale il carrubo era già utilizzato per la preparazione di prodotti medicinali e di dolci, come prescritto dalla Scuola medica salernitana. Nella seconda metà del Settecento si ha notizia di una fiorente produzione tra Modica, Ragusa, Comiso, Scicli, Noto e Avola, quantificabile in 60mila cantari (circa 5400 tonnellate), di cui 40mila venivano esportati attraverso i porti di Augusta, Siracusa, Noto e Scoglitti. Le carrube non esportate erano utilizzate come alimento per il bestiame e come alimento poverissimo, soprattutto in caso di carestia, come ad esempio durante la Seconda guerra mondiale. Sarà per questo che, con il sopraggiungere del benessere, la carruba è caduta nel dimenticatoio, al pari di altri tesori della nostra cucina come ad esempio la cicerchia e la roveja nell’Italia centrale, più o meno inconsciamente associate ai periodi di più nera carestia. Fino alla recente riscoperta: oggi il 72% dei carrubi italiani si trova in provincia di Ragusa, con una produzione che si sta lentamente avvicinando a quella degli anni migliori, anche grazie a un fiorente export sui mercati di tutto il mondo.

Il ritorno del pesce povero

La Cucina Italiana

Chi siete?

“Siamo un piccolo progetto e vogliamo rimanere tale. Il progetto nasce quando è iniziato il fermento intorno al mondo della sostenibilità. Ci siamo resi conto che c’era uno spazio scoperto: quello dell’ittica. Ci siamo quindi chiesti cosa fosse una filiera corta sostenibile e cosa potesse diventare. Noi veniamo da Termoli, in Molise, che ha una marineria abbastanza piccola: composta da una quarantina di barche. Per cui siamo partiti dalla tradizione, legandoci a quella che era un antica tradizione termolese, quella della Scaffetta. È una tradizione arcaica che si tramanda di padre in figlio da secoli, in cui l’ultima cala dell’ultimo giorno di pesca (giovedì) si divide tra marinai ad uso personale. Le barche qui pescano dalla domenica sera a giovedì sera uscendo in mare alle 10 di sera e tornando alle 10 del giorno dopo, poi lasciano il pesce e ripartono. Noi non abbiamo fatto altro che cambiare il nome dialettale e trasformarlo in Fishbox, oggi concetto più fruibile a tutti, offrendo al consumatore finale l’esatta  fotografia di ciò che il mare offre in ogni stagione dell’anno, racchiudendo quindi in sé il concetto di sostenibilità per eccellenza. Chi compra da noi sa che in ogni stagione comprerà quello che il mare offre, e si adatta. “

Come funziona il mondo della pesca oggi? 

Il pesce che si può comprare tutti i giorni non è la fotografia di quello che il mare offre, ma di quello che offre il mondo. Se si fa attenzione alle etichette, lo si nota. Se si vuole pensare in ottica sostenibile si deve capire che il pesce vive le sue stagioni, esattamente come la frutta e la verdura. Oggi circa il 50/ 60% di quello che viene pescato, viene ributtato subito in acqua perché non trova mercato. A fronte di questo avviene un’importazione del 60/70% di pesce da tutto il mondo perché non c’è domanda di pesci meno nobili, bensì un grande consumo alimentare di quelli rinomati (tonno,salmone etc..). Noi oggi proponiamo stocchi di pesce che vivono regolarmnete i loro cicli naturali. Scegliendo questo metodo si riducono molto le specie a rischio come  gli squaloidi (tonno, razza etc..). Questi pesci, essendo di grande taglia, assorbono i metalli pesanti, a differenza dei piccoli pesci che ne assorbono molti meno. Se riesci a creare un equilibrio tra chi pesca e chi compra crei un meccanismo virtuoso”.

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