Il grande ritorno delle carrube siciliane

La Cucina Italiana

Torna di moda uno degli ingredienti più antichi e dimenticati della nostra gastronomia. Sono le carrube, preziosi baccelli assai diffusi nell’Italia meridionale, soprattutto in Sicilia, i cui semi possono essere definiti un po’ il “cacao di casa nostra”. E questo ben lo sapevano gli Arabi, che utilizzavano i semi di carrubo (“quirat”) come unità di misura per le pietre preziose, pratica che diede origine al termine “carati”. Ma i semi non sono l’unica fonte di gusto derivanti dal carrubo.

Da bere

Le carrube (intese come i baccelli) si raccolgono in settembre: macerate in acqua, rilasciano una notevole quantità di glucosio, e quindi vengono utilizzate per la produzione di liquori e sciroppi, ricavati con la triturazione della polpa, che poi viene fatta fermentare e distillata. Il processo si può eseguire anche in casa, il risultato è un liquore di colore marrone dal gusto piacevole, da servire fresco.

Le tagliatelle con la bottarga di tonno

Una volta essiccate, dai semi delle carrube si ricava anche una farina che può essere utilizzata per la preparazione della pasta fresca. Un esempio? Le tagliatelle alla carruba ragusane, preparate con un impasto di farina di grano duro e di carruba (in proporzione di 4 a 1) e con un condimento barocco da leccarsi i baffi: bottarga di tonno, buccia d’arancia grattugiata, aglio, olio extravergine d’oliva e prezzemolo. Originale anche questo condimento salentino, che prevede radicchio, cipolla, aglio, pancetta affumicata, noci, vino bianco, parmigiano e panna.

I dolci

Ma l’utilizzo principale della farina di carrube è nei dolci, spesso in sostituzione del cacao, e per questo risulta particolarmente apprezzata dai vegani (si fa a meno di latte e simili). Ma con le carrube si preparano torte, budini e soprattutto i biscotti. In questi ultimi farina bianca e farina di carrubo vanno mescolate in proporzione di 2 a 1 e abbinate a zucchero di canna, burro, uova, latte, cannella e lievito. Perfetto l’abbinamento tra il cioccolato di Modica e i biscotti alle carrube. Con la farina si prepara un dolcissimo e semplice “street food” siciliano, ossia le caramelle di carrube, utilizzando solamente acqua e miele o zucchero. La farina di carruba, in generale, è un ottimo addensante, utilizzato anche in gelati, bignè e crem caramel.

Il grande ritorno delle carrube siciliane
Gelato alla crema, limone e zenzero

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Le proprietà

Dal punto di vista nutrizionale la carruba è un alimento piuttosto calorico (207 calorie ogni 100 grammi), ma è un’ottima alternativa al cacao per le persone intolleranti a questo ingrediente, anche se il gusto è diverso. La ricchezza di fibre, inoltre, aiuta a tenere sotto controllo il colesterolo “cattivo” e i livelli di trigliceridi. È ricca di proteine e sostanze antiossidanti ed è una fonte di vitamina E e di vitamina K e contengono calcio, zinco, potassio e fosforo.

Un cibo biblico

Perché, allora, la carruba per lunghi anni è caduta nell’oblio? La carruba ha origini mediorientali. Nei Vangeli di Marco e Matteo, quando si racconta di Giovanni Battista “si cibava di locuste e miele selvatico”, ma con il termine “locuste” si intende probabilmente “carrube”. Per il loro alto valore nutritivo, fin dall’antichità venivano utilizzate per nutrire gli animali, come testimonia un altro Vangelo, quello di Luca. Nella parabola del figliol prodigo, si racconta che il giovane “avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava”.

La capitale? Ragusa

A quell’epoca il carrubo era presente già da qualche secolo in Sicilia, per merito dei Greci o dei Fenici. Anzi, alcuni studiosi ritengono perfino che sia una pianta autoctona dell’isola. Ma furono gli Arabi che puntarono fortemente su di lui, con coltivazioni che si estendevano dalla Sicilia fino al Marocco. Per la Sicilia cristiana, però, il carrubo era pur sempre la pianta sacra a San Giorgio, come testimoniano i numerosi tabernacoli all’ombra di questi alberi. Nonché lo splendido Duomo di San Giorgio che domina Ragusa, tuttora la vera “capitale” del carrubo. In epoca medievale il carrubo era già utilizzato per la preparazione di prodotti medicinali e di dolci, come prescritto dalla Scuola medica salernitana. Nella seconda metà del Settecento si ha notizia di una fiorente produzione tra Modica, Ragusa, Comiso, Scicli, Noto e Avola, quantificabile in 60mila cantari (circa 5400 tonnellate), di cui 40mila venivano esportati attraverso i porti di Augusta, Siracusa, Noto e Scoglitti. Le carrube non esportate erano utilizzate come alimento per il bestiame e come alimento poverissimo, soprattutto in caso di carestia, come ad esempio durante la Seconda guerra mondiale. Sarà per questo che, con il sopraggiungere del benessere, la carruba è caduta nel dimenticatoio, al pari di altri tesori della nostra cucina come ad esempio la cicerchia e la roveja nell’Italia centrale, più o meno inconsciamente associate ai periodi di più nera carestia. Fino alla recente riscoperta: oggi il 72% dei carrubi italiani si trova in provincia di Ragusa, con una produzione che si sta lentamente avvicinando a quella degli anni migliori, anche grazie a un fiorente export sui mercati di tutto il mondo.

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