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Finanzieri – Ricetta di Misya

Finanzieri - Ricetta di Misya

Innanzitutto montate gli albumi a neve ferma.

A parte, mescolate tutti gli ingredienti secchi (le farina e lo zucchero) in una ciotola, quindi aggiungete gli aromi di vaniglia e mandorle e poi gli albumi e mescolate delicatamente, con un movimento dal basso verso l’alto.

Fate sciogliere il burro con dentro la buccia di limone, lasciate intiepidire leggermente, poi incorporatelo al composto.

Aiutandovi con una sac-à-poche, trasferite l’impasto negli stampini, riempiendoli quasi fino all’orlo (non è un impasto che lievita particolarmente), quindi infornate in forno ventilato preriscaldato a 240°C: cuocete per 4-5 minuti, poi abbassate la temperatura a 175°C e cuocete per altri 10 minuti circa (se effettuate la prova stecchino, tenete presente che dovrà uscire leggermente umido).

I finanzieri sono pronti: lasciateli raffreddare, decorate con poco zucchero a velo e servite.

Quanto costa mangiare la pizza fuori casa? La classifica

La Cucina Italiana

Quanto costa mangiare la pizza fuori casa? Ben l’8% in più rispetto all’anno scorso, in media. Per il resto dipende da dove, e la forbice è molto ampia. Lo dice una ricerca di Altroconsumo, che ha setacciato i costi dell’esperienza gastronomica per eccellenza, la più popolare e la più amata, in 18 città italiane per capire dove è più e meno conveniente. 

Quanto costa mangiare la pizza fuori casa? 

In particolare l’associazione di consumatori ha calcolato il costo medio di un pasto in pizzeria, composto cioè dalla pizza e della bevanda più venduta in ogni esercizio commerciale, e ha messo in risalto differenze notevoli: si va dai 9 euro della città meno cara, ai 19 (massimo) della più cara. 

Le città più care

In particolare la città in cui mangiare la pizza costa di più è Macerata: 13,43 euro, seguita a sorpresa da Venezia e Milano, rispettivamente 12,76 euro e 12,76 euro, sempre in media. La cifra massima, rispettivamente per le tre città, è infatti di 15 euro, 18,5 euro, 19 euro (come anticipato, la cifra più alta in assoluto).

Le città «medie»

Dopo il podio, a seguire nella lista di Altroconsumo ci sono Firenze (11,70 euro), Bologna (11,28 euro), Siracusa (11,15 euro). Al settimo posto Perugia (10,58 euro), ottavo Aosta (10,51 euro), nono Torino (10,49 euro), decimo Genova (10,31 euro). Non si discostano molto le città fuori dalla top ten: undicesimo posto per Trieste (10,18 euro); Dodicesimo per Roma (10,10 euro).

Le città dove si può mangiare una pizza con meno di 10 euro

La bella notizia è che ci sono ancora città che resistono, dove bastano anche meno di 10 euro per una margherita e una bibita: sono Cagliari (9,97 euro), Bari (9,75 euro), Catanzaro (9,71 euro), Napoli (9,20 euro) e Pescara (8,84 euro).

Perché (anche) la pizza costa di più

Ovviamente, come ha specificato anche Altroconsumo i prezzi variano sempre in base a cosa si ordina, alla tipologia di prodotti utilizzati e ai servizi del locale prescelto. Resta però la questione dell’aumento, dettato dai motivi che ormai conosciamo: caro energia, aumenti delle materie prime e non solo. L’esempio lampante è Milano: i posti dove è ancora possibile mangiare una pizza al prezzo medio indicato dall’associazione dei consumatori ormai sono pochissimi.

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Scontrini pazzi: i consigli dell’avvocato per difendendersi

La Cucina Italiana

Ci hanno movimento l’estate, gli scontrini pazzi: così sono stati soprannominati dai titoli dei quotidiani i conti quanto meno singolari presentati negli ultimi mesi a clienti increduli da bar e ristoranti di tutti Italia. Ne ha scritto anche la CNN e senza usare mezzi termini ha parlato di vere e proprie «fregature». Non proprio una bella pubblicità, agli occhi degli americani che tanto amano il nostro Paese e, per vivere il sogno della Dolce Vita, sono disposti a spendere fior di dollari.

Ma i fatti sono fatti, e le storie di scontrini pazzi negli ultimi mesi sono state moltissime: dal ristorante romano che ha rifiutato il pagamento con il pos di un cliente costretto ad andare via senza mangiare per non poter pagare altrimenti, al toast pagato due euro in più per essere stato tagliato a metà e servito in due piattini diversi sul lago di Como, così come è successo a Lecce per una crêpe. L’ultima storia (nota) è degenerata: a Treviso alla richiesta di un bar di dover versare 50 centesimi in più per aver pagato con il pos, un cliente è arrivato alle mani. 

Disavventure che capitano, ma mai così tante come quest’estate, la più dura per il caro prezzi dovuto all’inflazione: anche per i ristoratori, ovviamente, che dopo la stangata del Covid e della mancanza di personale, a loro volta hanno visto aumentare i prezzi di materie prime ed energia. Basta come giustificazione? Perché siamo sempre noi clienti a doverci rimettere? Che strumenti abbiamo per difenderci? Quanto e quando sono leciti i rincari dei ristoratori? 
Ne abbiamo parlato con Alessandro Presicce, avvocato e presidente provinciale della sezione di Lecce di Adoc (Associazione per la Difesa e l’Orientamento dei Consumatori). Ecco come comportarsi, caso per caso.

Ristorante senza pos: come pagare, senza contanti?

Può capitare che il pos non funzioni: banalmente, può succedere per via di un problema tecnico. Ma, salvo queste eccezioni, la regola è chiara: «Il ristoratore ha l’obbligo di accettare pagamenti elettronici. Quando non è possibile è obbligato a informare preventivamente i clienti. Purtroppo la sanzione per chi non rispetta la regola è ancora troppo blanda – appena 30 euro, più il 4% del conto – e questo non aiuta a mettere a regime il sistema», fa notare l’avvocato Presicce. Cosa fare allora se non si hanno metodi alternativi per pagare? «Di sicuro non si può non pagare: il servizio va saldato nel momento in cui se ne usufruisce. L’alternativa è fare un bonifico istantaneo, o mettersi d’accordo con il ristoratore per trovare un’alternativa. Serve buon senso». Certo, se la soluzione degenera, basta chiamare le forze dell’ordine. 

Pagamenti con il pos: c’è un importo minimo?

Attenzione ai cartelli con su scritto che «non si accettano pagamenti con il pos al di sotto di una certa cifra»: sono illeciti. «Non ci sono importi minimi o massimi per pagare con il pos. Tra l’altro,  i costi delle transazioni si sono allegeriti notevolmente per i gestori, e spesso non c’è nessuna commissione da pagare per le piccole cifre», dice Alessandro Presicce

Pagamenti con il pos: il titolare può chiedere un sovrapprezzo?

Non è lecito nemmeno chiedere di pagare di più solo perché si salda con il Bancomat o la carta. «È illeggittimo: se succede bisogna chiamare le forze dell’ordine», chiarisce subito l’avvocato. 

Prezzi: il titolare li può decidere autonomamente?

Un caffè 50 euro? Sì, un ristoratore può farlo. «C’è piena liberalizzazione, non esiste più il calmiere. L’esempio limite del caffè a 50 euro è uno dei tanti: il gestore del locale può scegliere quanto far pagare servizi e prodotti. L’unico obbligo che ha è essere chiaro: nel momento in cui specifica sul menù il prezzo di bevande, cibo e servizi che offre, non commette alcun illecito». 

Due euro in più per il toast tagliato a metà: siamo obbligati a pagare?

«Il discorso è lo stesso dei prezzi folli: se un servizio come il taglio di un panino si paga, il ristoratore deve chiarirlo. Può giustificarlo con il fatto che richiede un doppio coperto, e quindi un lavoro ulteriore», chiarisce ancora l’avvocato. 

Se si rompono le stoviglie al ristorante, chi paga?

Tra le tante storie singolari dell’estate ce n’è anche una con protagonista una coppia alla quale è stato richiesto di pagare 20 euro per la rottura di un piatto, provocata dalla figlia. «In genere la norma è che chi rompe paga, poi però c’è sempre il buon senso: non fa gioco al ristoratore chiedere una cifra del genere per un piatto. A meno che non sia un piatto di pregio, ma poi deve poterlo dimostrare. Difficile che ci riesca», conclude Presicce.

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