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Burro in padella: come fare a non bruciarlo con un trucco infallibile

La Cucina Italiana

Prima di svelarvi il segreto per non far bruciare il burro in padella partiamo dalle basi.

Quante volte vi è capitato di rovinare un uovo o una bella bistecca che volevate cuocere al burro, diffondendo per casa l’odore acre del burro bruciato? Avete mai capito dove avete sbagliato?

Perché il burro brucia?

Il burro contiene circa l’80% di grassi, il 16% di acqua e il 4% di proteine. Una volta scaldato a 100 gradi, l’acqua all’interno evapora velocemente. Tra i 100 e i 120 gradi il burro inizia a scurirsi e si ottiene il cosiddetto burro-nocciola. Ma bisogna fare attenzione a non superare i 130 gradi, poiché a questa temperatura il burro brucia, producendo un sapore e odore acre. 

Cosa serve aggiungere l’olio?

Aggiungere l’olio al burro non cambia assolutamente nulla, a parte il fatto di aggiungere liquidità una volta sciolto. Il burro continuerà a bruciare raggiunti i 130 gradi. Non è quindi consigliabile agire in questo modo. 

Perché il burro chiarificato non brucia?

Il burro chiarificato non è altro che il burro a cui viene privata l’acqua e la caseina. Ci si ritrova praticamente con una materia grassa che reagisce come un olio, arrivando al grado di fumo di 250 gradi! Ideale quindi sia per friggere che per ricette al forno. Provate a cuocere una cotoletta alla milanese nel burro chiarificato: risulterà più croccante e ben digeribile.
Si può fare anche a casa seguendo questo procedimento di chiarificazione del burro. 

Il burro chiarificato è molto diffuso in India, dove viene chiamato Ghee, Medio Oriente e Africa, poiché si conserva anche meglio nel tempo ed è quindi più sicuro.

Il trucco segreto per non far bruciare il burro in padella

Abbiamo visto come sostanzialmente il problema del burro sia l’evaporazione dell’acqua giusto? E di come l’olio, essendone privo, non risolva il problema.
Se non disponete del burro chiarificato, avete mai provato ad aggiungere un po’ di brodo?
Il brodo diluisce e aumenta l’acqua in cottura, bloccando la temperatura a 100 gradi ed evitando così che il burro inizi a bruciare. Provare per credere!

Donne di montagna, burro e formaggi

Donne di montagna, burro e formaggi

La vita in montagna, si sa, non è semplice. Come ogni luogo estremo richiede una forza immensa – sia mentale che fisica – viverci e conviverci. Ancora di più se la montagna è il luogo tramite il quale si lavora e si realizza la propria passione. Questa è la storia di Renata e Cristina, due malgare che hanno deciso di dedicare la propria vita alla produzione di burro e formaggio artigianale.

Alpe Valnera

Sono le 7 del mattino in punto quando mi arrampico in auto su per una salita dalla pendenza impressionate per raggiungere la malga di Renata, che spunta in mezzo alla pioggia, arroccata sulle pendici del monte Mucrone. Incontro Renata nello stanzino in cui confeziona tutti i giorni il suo burro a latte crudo della Valle Elvo – Presidio Slow Food – e capisco di essere già in ritardo rispetto alla tabella di marcia. Lei e suo marito, che vivono in questa malga di pietra per 6 mesi all’anno, sono svegli dalle 4, e hanno già munto e confezionato il burro della giornata. In una vasca colma di acqua gelida di sorgente (che si trova a pochi metri dalla stanza) intravedo la massa di burro che galleggia. È giallo e grassissimo. Renata si mette al lavoro e inizia ad impastare il burro appoggiandosi ad una pala di ulivo – un’arnese ereditato da sua madre, come tutti gli altri che adopererà – per rimuovere l’acqua in eccesso. Una volta ottenuto un composto ben saldo, inizia a sbatterlo contro la pala, girandolo in aria, per dargli la forma rettangolare caratteristica del panetto. Pesa il panetto ed è precisamente 500g, ormai è talmente esperta che non ha più bisogno di una bilancia, e quindi procede ad improntarlo con lo stampo di famiglia che ritrae un disegno a forma di cuore. Nel giro di 10 minuti trasforma tutto il burro sciolto in panetti identici e li avvolge nella carta, aggiungendo l’etichetta del Presidio, sopra la quale segna la data. Chiama il marito che raccoglie il burro, lo carica nel baule della Jeep e si avvia giù per la montagna, a consegnare i panetti preziosi nei ristoranti e nelle botteghe migliori della provincia.

Cascina degli ori

Alla malga di Cristina, qualche valle più ad Est rispetto a Renata, vengo accolta da 3 pastori biellesi balzanti che svolgono alla perfezione il proprio ruolo da cani da guardia. Ci avviciniamo e corrono ad osservarci delle giovani caprette, curiose come dei gatti. Cristina la trovo seduta sullo sgabello a tre gambe da mungitura, indaffarata a mungere le ultime mucche del mattino. Il latte è grasso, spumoso, pieno di panna e caldo: uno spettacolo per gli occhi. Le mucche vengono spostate nel prato davanti alla stalla e noi ci avviamo verso il caseificio, dove Cristina ci mostrerà come prepara i suoi formaggi unici ed originali. Cristina non è figlia di generazioni di malgari, ma ha deciso di intraprendere la vita da casara dopo 16 anni passati a lavorare come ingegnere tessile (e due lauree). Arrivata sul mercato, ha da subito capito che non poteva offrire gli stessi prodotti tradizionali che producevano i suoi colleghi da generazioni, inventandosi quindi nuove forme, lavorazioni e connubi. Dalla sua creatività nasce lo “stracchino invecchiato” con una cagliata non acida, il “taleggio non taleggio” e il formaggio “di-vino”, creato per metà con il nebbiolo. Cristina ci guida con pazienza attraverso tutto il processo di produzione, dall’aggiunta del caglio, il taglio e poi la forma. In montagna non si spreca nulla, e con il siero avanzato che fuoriesce dalle forme appena create si prepara la panna. Dalla centrifuga esce da un lato l’acqua, e dall’altro la panna: spessa, cremosa e meravigliosa. Affondiamo un cucchiaino nella panna preparata qualche ora prima, che ha avuto il tempo di solidificarsi e diventare quello che in inghilterra si chiama clotted cream: una panna spessa da gustare con le fragole. Alle 10 del mattino arriva l’ora della degustazione, rigorosamente accompagnata da un bicchiere di vino rosso. Viva la montagna e viva il formaggio!

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