Tag: Colazione

Dove mangiare a Bormio: dalla colazione al cocktail

Dove mangiare a Bormio: dalla colazione al cocktail

Bormio è la meta più famosa della Valtellina, per le rinomatissime terme, ma anche per la pista da sci Stelvio che ospiterà le Olimpiadi nel 2026. E ovviamente per la gastronomia tipica valtellinese. Alcuni piatti sono immancabili nelle tavole dei bormiesi: gli sciatt (frittelle di grano saraceno ripiene di Casera) accompagnati dall’immancabile insalatina – per sgrassare, si sa – e i pizzoccheri, un piatto ricco e completo di pasta di grano saraceno con verdure, formaggi e tanto burro. Ma Bormio non offre solo questo. Ci sono pasticcerie dove fare colazione magari con un tipico valtellinese e bar dove bere un buon Braulio. Perché a Bormio non esiste cena che non si concluda con il tipico amaro locale.

Ecco la nostra lista di ristoranti, trattorie, crotti scavati nella roccia, bar e pasticcerie per mangiare bene a Bormio “like a local”. Pizzeria più amata del paese inclusa.

Scaddateddi: la colazione calabrese. E non solo

Scaddateddi: la colazione calabrese. E non solo

Sembrano taralli, si inzuppano nel latte (o nel vino bianco), si mangiavano a colazione, anche se ora gli scaddateddi li si trova anche all’aperitivo. Ecco la ricetta

Prima dell’avvento di brioche e merendine, anche la colazione in Italia era caratterizzata da tradizioni regionali. Ciambelloni, torte e ricette storiche come gli scaddateddi di Bova, in provincia di Reggio Calabria. Consumati originariamente a colazione o regalati ai matrimoni vengono oramai perlopiù serviti come taralli durante l’aperitivo. Ma non importa quando li si mangi, sono ottimi e siamo andati a caccia della loro storia e di una ricetta firmata.

Scaddateddi, ciambelle al cumino

Gli scaddateddi sono delle ciambelline friabili aromatizzate al cumino che regalano un sapore molto simile a quello dell’anice. Gli scaddateddi sono tondi, paffuti e dorati, hanno una superficie croccante mentre all’interno sono più soffici e adatti all’inzuppo. Le nonne anticamente le preparavano per la colazione, ma oggi sempre di più in Calabria arrivano al posto delle patatine prima di cena oppure a fine pasto per essere inzuppati nel vino dolce o liquoroso. A colazione, all’aperitivo o dopo cena, sono comunque una tradizione da riscoprire, e per capirne meglio la ricetta originale, abbiamo chiesto aiuto a Giuseppe del Panificio D’Agostino Salvatore di Reggio Calabria, vero esperto in materia e premiato dalla guida del Gambero Rosso Pane & panettieri d’Italia 2022.

Per festeggiare gli sposi e come dolcetto a fine pasto

«Oltre che a colazione, gli scaddateddi venivano preparati per essere regalati agli invitati dei matrimoni. Gli sposi li donavano ai propri ospiti per ringraziarli per la partecipazione alla cerimonia, proprio come oggi vengono regalati confetti e bomboniere», spiega Giuseppe, che ci aiuta anche a districarci fra le mille varianti. «Oltre agli scaddateddi di Bova, abbiamo in Calabria e anche nel resto del Sud Italia gli scaldatelli, anche conosciuti come taralli scaldati. Sono una versione molto più simile al tarallo, si tratta infatti di un impasto più fine ed allungato». Giuseppe del Panificio D’Agostino Salvatore di Reggio Calabria ci spiega che la vera differenza tra scaddateddi e scaldatelli è nella forma (i primo tondi e panciuti, gli altri più fini ed allungati) e nell’utilizzo del cumino. «Gli scaddateddi non sono dolci, ma si prestano bene ad accompagnamenti dolci per via del vino bianco passito, utilizzato nella ricetta. Devono lievitare un’ora prima di essere sbollentati, a differenza dei taralli scaldati che vengono cotti subito in acqua sfruttandone il calore per lievitare in cottura». Gli scaldatelli, come quelli pugliesi e della Basilicata, sono invece prevalentemente salati e assomigliano più ai biscotti all’anice toscani o ai bretzel dei paesi di lingua tedesca. Possono essere aromatizzati con del finocchietto selvatico, con del peperoncino, con frutta a guscio o altre spezie.

La ricetta degli scaddateddi del Panificio D’Agostino Salvatore

Ingredienti

1 kg farina 0 (w220)
250 g olio di girasole (alto oleico)
250 g vino bianco passito (greco di bianco)
30 g sale
20 g lievito di birra (nella ricetta Giuseppe utilizza 100 g di pasta di riporto e 10 g di lievito)
50 g cumino (se ne possono mettere fino a 100 g se piacciono più forti di sapore)

Procedimento

Impastare gli ingredienti partendo dalla farina e il cumino, aggiungere i liquidi con il lievito e alla fine il sale. Una volta che gli ingredienti sono ben amalgamati, formare filoncini del diametro di 2 cm, tagliare e arrotolare a forma di anello premendo l’impasto. Sistemare su di una placca da forno per lievitare coperti con panno umido a temperatura ambiente per un’ora. Una volta levitati sbollentare in acqua bollente gli anelli di pasta, fino a che vengono a galla, scolare con una schiumarola e sistemare su di una teglia da forno. Cuocere in forno preriscaldato a 220°C per 15/20 minuti con forno ventilato.

Ricerche frequenti:

Granita e brioche, la colazione siciliana

Granita e brioche, la colazione siciliana

In Sicilia è la colazione estiva per eccellenza: non una semplice abitudine, ma una vera e propria istituzione che permette di iniziare la giornata con dolcezza e freschezza. Prepariamo a casa la granita siciliana con la brioscia?

Altro che cappuccino e cornetto: in Sicilia la colazione estiva per eccellenza è “a granita câ brioscia”, cioè granita siciliana e brioche, praticamente un binomio inscindibile. Non una semplice abitudine, ma una vera e propria istituzione che permette di iniziare la giornata con dolcezza e freschezza. Se siete in vacanza in Sicilia, non potrete davvero fare a meno di assaggiarla!

La granita a colazione

Tipica della Sicilia, la granita è un dolce freddo realizzato con un composto di acqua, zucchero e frutta che viene ghiacciato lentamente, ma mai completamente, e continuamente mescolato, per ottenere una consistenza granulosa e cremosa allo stesso tempo. Una vera delizia che tradizionalmente si accompagnava a pane fresco e croccante, con il tempo sostituito dalla tipica ‘brioscia‘ siciliana, fatta con pasta lievitata all’uovo e aromatizzata alla vaniglia o agli agrumi. A renderla riconoscibile sono la morbida “pellicina” di cui è ricoperta e la particolare forma, simile a quella di uno chignon: una base semisferica sormontata dal cosiddetto “tuppu”(dal francese tupè: i capelli raccolti sulla nuca). La brioche viene servita calda insieme alla granita, in cui può essere inzuppata. Per quanto riguarda i gusti della granita, ce n’è davvero per tutti e variano anche a seconda della città in cui si gusta. Da provare sono senza dubbio limone, mandorla, caffè, cioccolato, ma anche pistacchio, fragola e gelsi neri.

Quella al caffè di Messina è marchio tutelato

Un vero e proprio marchio tutelato: a Messina la granita al caffè, servita nel classico bicchiere di vetro insieme ad una calda brioche, è stata inserita tra i marchi di denominazione comunale De.Co. Il consiglio comunale ha infatti approvato il regolamento per l’istituzione del marchio, creato per “censire e valorizzare la produzione tipica locale legata alla storia, alle tradizioni e alla cultura del territorio comunale, quale strumento di promozione dell’immagine del territorio e della città”. Se passate per Messina non rinunciate quindi a chiedere al bar la “mezza con panna”, il termine utilizzato in città per indicare la granita al caffè con panna. Potrete scegliere poi se mescolare la panna insieme alla granita oppure se consumare prima l’una e poi l’altra. Due vere e proprie scuole di pensiero, non vi resta che scegliere da quale parte stare.

Dagli Arabi alla Sicilia

Secondo una tradizione avviata dai Greci e proseguita dai Romani, la neve raccolta sull’Etna durante l’inverno veniva stivata nelle cosiddette “niviere” per farla congelare: in estate, il ghiaccio che si era formato veniva grattato e ricoperto di sciroppi di frutta e fiori, una preparazione che oggi sopravvive nella grattachecca romana. Successivamente, con l’arrivo degli Arabi l’isola conobbe lo “sherbet”, una bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta.
Durante il XVI secolo si apportò un notevole miglioramento alla ricetta dello “sherbet”, scoprendo di poter usare la neve, mista a sale marino, come refrigerante: in un “pozzetto”, una tinozza di legno con all’interno un secchiello di zinco che poteva essere girato con una manovella, si metteva la miscela eutettica che congelava il contenuto nel pozzetto, mentre il movimento rotatorio di alcune pale all’interno impediva la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi. 

Granita e brioche anche a casa: la ricetta

Se in questo momento la Sicilia è troppo lontana per voi, potete provare a preparare in casa una colazione con granita e brioche. La ricetta per un’ottima granita la trovate qui mentre per delle calde e soffici brioche, mescolate 250 g di farina 00 e 250 di farina manitoba insieme a 90 g di zucchero semolato: lavorate il tutto a mano o con il gancio di una planetaria. Aggiungete poi 200 ml di latte tiepido con un cucchiaino di miele e 12 g di lievito di birra. Impastate e unite man mano 2 uova, un cucchiaino di estratto di vaniglia, un pizzico di sale e poi 75 g di burro a temperatura ambiente. Fate lievitare l’impasto, coprendolo e lasciandolo a temperatura ambiente, fino a quando non sarà raddoppiato (3 ore circa). Poi dividete l’impasto in una decina di pezzi, dategli una forma circolare e staccate da ognuno una parte di impasto a cui dare una forma conica con la parte finale schiacciata (ed ecco che otterrete il ‘tuppu’!). Fate quindi una piccola fossetta al centro della pallina e posizionatevi la punta del cono. A questo punto, mettete le brioche su una leccarda rivestita con carta da forno, spennellate la superficie con  un uovo sbattuto con un cucchiaino di latte e un cucchiaino di zucchero a velo. Lasciatele ben distanti l’una dall’altra e fate ancora lievitare in forno spento, con la luce accesa, per un’ora e mezza circa. Il loro volume dovrebbe raddoppiare. Infine, fate cuocere in forno preriscaldato a 185° per circa 20 minuti.

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