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Caffè di funghi: cos’è e quali sono le sue proprietà

La Cucina Italiana

Berremo caffè di funghi al posto dell’espresso? I bookmaker scommettono che la nuova bevanda sarà tra le manie dell’anno appena cominciato. Sulla carta ha le carte in regola per esserlo: promette benefici per la pelle, il sistema cardiovascolare, l’intestino e non solo. In più il caffè di funghi è anche buono (almeno secondo alcuni)

Cos’è il caffè di funghi

Nell’aspetto molto simile al caffè, il caffè di funghi si ottiene unendo polvere di chicchi caffè e di funghi disidratati di vario tipo. I più utilizzati sono i funghi Reishi, Chaga e Cordyceps, da soli o a miscelati. Sono tra le varietà che ormai da tempo la Medicina Tradizionale Cinese annovera tra quelle curative per il loro potere antiossidante, e quindi efficaci contro differenti tipi di disturbi e patologie, che vanno dal calo delle difese immunitarie alle difficoltà di concentrazione e astenia, ma anche colesterolo e diabete.

Perché il caffè di funghi è considerato un toccasana

È da tempo che il caffè di funghi esiste, ma ora è tornato alla ribalta per vari motivi, complice evidentemente la diffusa cultura del benessere (e della performance) in cui l’alimentazione ha assunto un ruolo centrale. Un trend che da diversi anni sta ponendo in modo insistente l’accento su quei “superalimenti” ricchi di principi attivi con effetti positivi per la salute diventati ingredienti imprescindibili di una lunga lista di prodotti che si sono moltiplicati di pari passo alla domanda. Una lista cui al primo posto – per la loro semplicità di assunzione – ci sono proprio i preparati per bevande, cioè polveri con un’alta concentrazione di molecole benefiche estratte de questi cibi. Avete presente il caffè al collagene di Jennifer Aniston? Il caffè di funghi si inserisce proprio in questo filone e – pur senza testimonial famosi – è diventato popolare allo stesso modo anzitutto negli Stati Uniti e grazie ai social.

Il caffè di funghi sui social

Mentre scriviamo sono circa 70mila su Instagram i post con hashtag #mushroomcoffee, e oltre 41 milioni le visualizzazioni per i contenuti con lo stesso topic dedicati su TikTok. Foto e video in cui si mostra come si prepara il caffè di funghi, e in cui influencer o utenti comuni ne elogiano le doti, il più delle volte mettendo in primo piano bustine e barattoli di vari brand e con il dubbio perciò che si tratti di pubblicità.

Com’è il caffè di funghi e quanto costa

In molti raccontano di preferire il caffè di funghi a quello normale per il ridotto contenuto di caffeina, che consente di berlo anche più volte al giorno senza correre rischi pur senza rinunciare alla carica di un normale espresso o lungo: questo proprio grazie ai funghi, che tra le altre hanno anche proprietà energizzanti. Il gusto, invece, non mette d’accordo tutti: ci sono anche alcuni video divertenti con reazioni di disgusto al momento dell’assaggio. Del resto, difficile arrivare a un parere unanime, anche perché il caffè di funghi può avere gusti diversi a seconda del modo in cui viene prodotto, e quindi del brand. Inoltre, non è proprio da tutti, e questo per via del costo: talvolta sfiora anche i 70 euro al chilo.

Il caffè di funghi fa davvero bene?

Se è vero che ormai i funghi sono da tempo utilizzati dalla medicina tradizionale cinese, è altrettanto vero che la scienza occidentale invece non ne ha ancora chiarito i benefici. Gli studi sono ancora pochi, condotti perlopiù in laboratorio, e non riguardano tutte le 12 varietà che i medici orientali considerano efficaci per la cura e la prevenzione. Di sicuro gli scienziati sono concordi sul fatto che nessun cibo, da solo, può dare benefici, e che è sempre l’alimentazione nel suo insieme a fare la vera differenza. Intanto, perché non provare? Piaccia o no, il dubbio che il caffè di funghi possa sostituire il nostro amato espresso a noi comunque resta.

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Cibo stampato in 3D: ENEA spiega cos’è e perché è (già) futuro

La Cucina Italiana

Niente di futuristico: il cibo stampato in 3D è tra noi. È un creativo terreno di sperimentazione per chef e pasticcieri – l’ultimo esempio è il tiramisù stampato con gli esperti della Tiramisù World Cup -, una tecnica che usano diverse aziende anche per creare prodotti di largo consumo come la pasta, ed è destinato a diventare sempre più popolare per merito della scienza che fa continui passi in avanti. A che punto siamo ora e cosa succederà in futuro? Cosa spinge gli scienziati a sviluppare tecniche sempre più innovative per il cibo stampato in 3D? Abbiamo posto questa e molte altre domande a Silvia Massa, ricercatrice della Divisione Biotecnologie e Agroindustria di ENEA – Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – che alla XI edizione della Maker Faire Rome ha presentato anche un progetto relativo al 3D printing del cibo.

Cosa è il cibo stampato in 3D?

«Tecnicamente la tecnologia di stampa tridimensionale è un processo additivo di deposizione di materiale strato per strato che produce oggetti tridimensionali a partire da un modello computerizzato in tre dimensioni. Si parla di cibo 3D quando si usano stampanti alimentari specificamente destinate. Normalmente si stampa per estrusione di materiali commestibili abbinati con elementi che mantengano la forma del cibo che è stata progettata».

Come funziona una stampante per il cibo in 3D?

«Si parte da un modello digitale che si può creare al computer o scansionando un oggetto, che poi viene “scomposto” in sottili strati orizzontali, ciascuno dei quali corrisponde a uno strato fisico che la stampante aggiungerà per creare l’alimento. La creazione del modello genera un file con le istruzioni per la creazione di ciascuno strato da parte della stampante. Parte fondamentale del processo è la preparazione dell’inchiostro con un materiale appropriato: ogni strato deve essere autoconsistente e contemporaneamente fondersi al precedente per creare una struttura tridimensionale solida, pronta per essere consumata sul momento o previa cottura e/o essiccazione».

Quali cibi si possono stampare in 3D?

«Le stampanti 3D alimentari sono progettate per poter utilizzare una grande varietà di materie prime, purché sia possibile, a partire da quegli ingredienti, creare “inchiostri” con caratteristiche (viscosità, elasticità, etc.) idonei alla stampa. Non tutte le matrici alimentari, però, sono adatte a questa tecnologia (spesso sono necessari degli additivi) e i risultati possono variare a seconda degli ingredienti di partenza e della complessità del modello 3D. Puree di vari ortaggi e legumi, per esempio, si possono stampare grazie agli additivi (come trealosio, fecola di patate, alginato o agar, k-carragenina, gomma xantana)».

A cosa serve stampare il cibo in 3D?

«I primi esempi di stampa 3D alimentare sono stati principalmente ludici, in genere limitati a dolciumi a base di cioccolato, caramello o gelatine, decorazioni, impasti a base di farina tra cui pizza, pasta e biscotti, surrogati della carne. In tempi più recenti, questa tecnica ha rivelato il proprio potenziale mostrando tante altre applicazioni, inclusa la personalizzazione dei cibi in base alle esigenze dei singoli consumatori e la riduzione degli sprechi alimentari. Ad esempio, la 3DP (3D printing, ndr) è stata utilizzata per ricreare un cibo composito costituito da puree (tonno, bieta rossa, zucca) di consistenza adatta a pazienti disfagici e dotata di forme accattivanti per rendere il cibo più appetibile. Questo ha un impatto sulla salute e sulla qualità della vita».

Si può stampare in 3D anche la carne coltivata?

«La carne coltivata e la stampa 3D sono due cose distinte: la prima è ottenuta da cellule staminali in laboratorio, mentre la stampa 3D di alimenti a base di carne utilizza la tecnologia di stampa 3D per creare piatti a base di carne usando carne macinata o miscele di carne. Tuttavia in un caso la carne coltivata in laboratorio incontra la 3DP. Per produrre carne in coltura, infatti, le cellule staminali muscolari animali vengono coltivate su strutture di supporto che consentono il trasporto di sostanze nutritive e donano consistenza e struttura. È possibile creare queste “impalcature” utilizzando una tecnologia emergente di stampa 3D, mediante la quale le impalcature diventano parte del prodotto a base di carne, a base di gelatina e collagene».

Perché la produzione di cibo con questo procedimento è sempre più diffusa?

«Consumatori e industria sono sempre più interessati. Si stima che il valore di mercato del 3D food printing entro il 2025 raggiungerà i 360 milioni di euro. Di base c’è una necessità: gli esperti delle Nazioni Unite prevedono che entro il 2100 la popolazione mondiale avrà superato la soglia dei dodici miliardi di persone con conseguente e ulteriore erosione delle risorse naturali, peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, particolarmente nei Paesi Emergenti. Immaginare come sfamare così tante persone, nelle condizioni che si prospettano, è probabilmente la sfida maggiore con la quale l’umanità dovrà confrontarsi nel prossimo futuro. La stampa 3D sembra destinata a giocare un ruolo di rilevanza nell’alimentazione del futuro, soprattutto in uno scenario in cui le pietanze siano orientate a dare nuova vita agli scarti della produzione alimentare e contenere al tempo stesso la giusta combinazione e misura di nutrienti e molecole bioattive necessari a sostenere una vita sana».

Cosa potrebbe cambiare con la diffusione del cibo stampato in 3D su larga scala?

«L’applicazione della stampa 3D a fini alimentari potrebbe “democratizzare” l’accesso a esperienze culinarie del tutto nuove. Gli esempi sono tanti: la 3DP può permettere la produzione di cibo personalizzato cioè anzitutto “strutturato” e basato su più componenti e categorie nutrizionali, ma anche arricchito con i nutrienti necessari e quindi adattato allo stato di salute, delle carenze nutrizionali. Non da ultimo, il cibo prodotto con questo sistema può contribuire a recuperare sottoprodotti della trasformazione agroalimentare (per esempio della frutta) ai fini dell’arricchimento nutrizionale, per una maggiore sostenibilità ambientale».

Quali sono le applicazioni future che noi consumatori possiamo immaginare? 

«In un futuro non molto lontano potremmo trovare tra i corridoi di un supermercato preparati a elevato valore nutrizionale da poter inserire all’interno di una stampante 3D domestica per ottenere uno spuntino salutare con sapore, consistenza, texture e forma che più ci piacciono. In particolare il futuro che in Enea vediamo è legato a una visione della stampa alimentare 3D che possa aiutarci a superare le sfide ambientali attuali. Ad esempio, le piante sono da sempre considerate fonte di principi nutritivi necessari per la nostra salute (per esempio per la presenza di antiossidanti), ma in futuro sarà sempre più difficile fornire alle persone alimenti di buona qualità di origine vegetale perché le prospettive di sicurezza alimentare sono influenzate dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla salute e sulla produttività delle piante, con effetti sull’intero settore agroalimentare. Inoltre, la prospettiva di aumentare la superficie coltivabile è insufficiente e l’agricoltura intensiva rappresenta già un onere ambientale, essendo responsabile di circa il 20% delle emissioni globali e comportando l’uso di pesticidi. Per questo esiste una forte necessità di nuovi sistemi di approvvigionamento di materie prime commestibili di origine vegetale finalizzate a una dieta sana e sicura. Le cellule vegetali possono essere coltivate in bioreattore ed essere sfruttate come una biomassa alimentare completamente nuova per il consumo umano. Studi condotti presso prestigiosi istituti di ricerca europei indicano come, con questo sistema, molte colture (ad esempio derivanti da bacche e piccoli frutti) conservino i rapporti qualitativi e quantitativi di sostanze nutritive di riferimento, digeribilità, contenuto in carboidrati, fibre, colori e caratteristiche organolettiche simili al frutto fresco di partenza».

Sarebbe come spostare la produzione dai campi al laboratorio?

«Si, è così. Questo approccio alternativo di produzione di alimenti vegetali sposterebbe il paradigma della produzione agricola dal campo al laboratorio in considerazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute e produttività delle varietà di interesse agronomico, divenendo indipendente dalla qualità dei suoli coltivabili e senza intaccare risorse naturali. Sulla base di questo principio ENEA non solo effettua ricerca per valutare il potenziale delle cellule vegetali come ingredienti alimentari, ma sta studiando le proprietà delle materie prime, seconde e di scarto provenienti dall’industria agroalimentare vegetale per creare delle ricette di “inchiostri” da combinare o no alle cellule vegetali e che possano portare alla stampa di alimenti di forma e consistenza opportune ai fini della produzione di alimenti ad alto valore aggiunto e sani senza aggiunta di additivi strutturanti».

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Timballo di pasta – Ricetta di Misya

Timballo di pasta

Per preparare il timballo di pasta la rpima cosa da fare è preparare le polpettine: mettete in una ciotola macinato, parmigiano, pangrattato, sale e pepe e amalgamate.
Dovreste ottenere un composto malleabile (se vi sembra troppo sodo potete aggiungere 1 cucchiaio di latte o acqua per aiutarvi): usatelo per formare delle piccole polpettine.

Eliminate il budello dalla salsiccia e sgranatela, quindi fatela rosolare in un’ampia padella o casseruola antiaderente, insieme con olio e cipolla tritata, infine aggiungete anche le polpettine.

Dopo qualche minuto, quando le polpettine inizieranno a cambiare colore, aggiungete la passata, condite con un po’ di sale, coprite con un coperchio e lasciate stufate a fiamma bassa per almeno 30-35 minuti, quindi aggiungete i piselli e lasciate insaporire solo per qualche minuto prima di aggiustare di sale e pepe e spegnere.
Mettete da parte qualche polpettina per la decorazione finale.

Lessate la pasta in abbondante acqua bollente leggermente salata, scolatela molto al dente e conditela con il sugo e il parmigiano.

Ungete con olio e rivestite di pangrattato lo stampo, versateci dentro metà della pasta, aggiungete il fior di latte tagliato a dadini e coprite con la pasta restante.

Completate con pangrattato, burro a fiocchetti e un giro d’olio e cuocete per circa 40 minuti in forno ventilato preriscaldato a 180°C.

Lavate i pomodorini e tagliateli a metà o in 4 parti.
Sformate il timballo e decoratelo con pomodorini, polpettine e basilico fresco.

Il timballo di pasta è pronto, potete servirlo caldo o anche tiepido.


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