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20 ricette umami per scoprire il quinto gusto

20 ricette umami per scoprire il quinto gusto

Con le ricette umami – che letteralmente si traduce dal giapponese in buono, saporito – vogliamo accompagnarvi nel viaggio verso l’ultimo dei gusti fondamentali scoperti. Si unisce all’amaro, dolce, salato ed aspro come il gusto piacevole, un sapore che stimola le papille gustative a mangiare ancora una cucchiaiata di cibo. Gli ingredienti in cui si trova più comunemente il sapore umami sono le alghe, la salsa di soia, i funghi secchi, il Parmigiano Reggiano (o il Grana Padano) e il concentrato di pomodoro. 

Chi ha scoperto l’umami? 

Fino a pochi anni fa in Italia si conoscevano soltanto 4 gusti: l’amaro, l’aspro, il dolce, il salato. Poi, da quando hanno scoperto che abbiamo dei recettori che lo individuano, si è aggiunto il grasso, che conosciamo bene grazie a tanti alimenti della nostra cultura, però nel nostro Paese non viene percepito come gusto. Resta ancora misterioso cosa sia veramente quello che per i giapponesi è il sesto o quinto sapore, a seconda di come lo si voglia numerare. Nel Sol Levante l’umami appartiene all’universo delle cose tangibili, grazie a un modo di mangiare non «estremo», che aiuta a individuare e a comprendere i sapori sottili. 

La scoperta dell’umami risale al 1908 e a Kikunae Ikeda, un chimico dell’Università di Tokyo. Studiò l’effetto sul palato di un particolare brodo di alghe, il cui gusto sapido e piacevole viene dal glutammato, una sostanza che troviamo anche in carne, pesce, verdure, formaggi stagionati e addirittura nel latte materno. In Italia l’umami è scoperta relativamente recente. È solo da una manciata di anni che l’umami è entrato, in punta di piedi, nella nostra cultura.

Come si fa l’umami? 

Gli ingredienti che possiedono la caratteristica gustativa dell’umami contengono naturalmente il glutammato, un sale e amminoacido che si trova all’interno delle proteine. Oltre ad esistere spontaneamente in natura, i glutammati vengono spesso aggiunti a varie preparazioni alimentari per aumentare il sapore e la sapidità, come ad esempio accade nel dado da brodo (dove spesso si legge anche la dicitura “senza glutammato”, perché nel corso degli anni la sua salubrità è stata spesso messa in discussione), nei salumi industriali e nei prodotti in scatola come carni e verdure. L’aggiunta del glutammato ad un prodotto viene spesso considerata come una mossa indicativa della scarsa qualità di esso, o comunque dei prodotti meno pregiati rispetto a quelli che contengono il sapore umami in modo naturale. Un esempio perfetto è il brodo: è risaputo che per produrre un brodo di qualità serve partire dagli ingredienti base, carne o verdure che siano. Usare il dado è un modo sicuramente più semplice di ottenere un brodo, ma non avrà mai le stesse caratteristiche e profondità di sapore di un brodo vero. 

20 ricette dal sapore umami

Sebbene l’umami sia stato scoperto in Oriente, noi italiani senza saperlo siamo piuttosto abituati ad avere a che fare con questo misterioso quinto gusto, che potremmo definire come “saporito”. Tutto merito del parmigiano che dona sempre sapore ai nostri piatti (ecco perché amiamo tanto metterlo sulla pasta!). Ecco perché le migliori ricette che ci portano alla scoperta dell’umami vedono protagonista l’amato formaggio della Parma Food Valley, oltre che al brodo, altro prodotto umami molto presente nella nostra amata cucina italiana. E nel periodo autunnale, per godere ancora di più dell’esperienza del quinto gusto, possiamo utilizzare nei nostri piatti i funghi secchi , naturalmente ricchi di umami.

Chef Hiro, una vita tra olio extravergine d’oliva e shoyu

Chef Hiro, una vita tra olio extravergine d'oliva e shoyu

Se pensi alla cucina giapponese in Italia ti viene in mente subito lui, chef Hirohiko Shoda, conosciuto più semplicemente come Chef Hiro. È entrato nelle case degli italiani grazie al piccolo schermo – con Ciao, sono Hiro, su Gambero Rosso Channel, poi con il debutto in Rai a La prova del cuoco –, e ai libri – l’ultimo, Hiro Cartoon Food, è uscito a novembre 2021 – . E con il garbo e la compostezza che contraddistinguono i giapponesi ha portato, giorno dopo giorno, la cultura gastronomica nipponica nel nostro Paese

Ambasciatore della cucina giapponese in Italia Chef Hiro, ora testimonial Suzuki, anche grazie ai social (lo si trova come Chef Hirohiko Shoda su Facebook e come chef_hiro su Instagram) ci ha fatti appassionare alle tecniche della cucina orientale senza dimenticare mai, però, la sua grande passione per la cucina italiana, che lo accompagna fin da quando è adolescente.

Dai libri all’esperienza con Alajimo

Dopo gli studi presso lo Tsuji Culinary Institute, dove si specializza in cucina italiana, europea, nazionale e internazionale, dai 19 ai 29 anni lavora in Giappone nell’alta ristorazione di cucina italiana come capo chef di numerosi locali, per poi trasferirsi nel 2006 in Italia, dove collabora per circa otto anni con lo chef Massimiliano Alajmo de Le Calandre di Padova, ristorante tre stelle Michelin, presente nella classifica dei World’50 Best Restaurant.

“Sono sempre stato affascinato dalla cultura e dalle bellezze del Mediterraneo, con i suoi prodotti esclusivi, dai gusti e profumi unici al mondo”, spiega Chef Hiro, che a La Cucina Italiana si racconta tra formazione, carriera e commistioni culinarie Italia-Giappone, prima di lasciarci la ricetta del suo Shabu shabu di calamaro.

La tisana d’orzo bevuta da Ippocrate, in Giappone e in Abruzzo

La tisana d’orzo bevuta da Ippocrate, in Giappone e in Abruzzo

Da uno dei cereali più antichi non si fa solo pane, birra, whisky e caffè, ma anche uno splendido infuso. Da bere caldo oppure freddo come si usa in Oriente. Ma prodotto artigianalmente nel Parco della Majella

L’orzo è un cereale fra i più consumati dall’uomo. Lo si mangia, certo, ma lo si beve soprattutto. Con l’orzo si fa la birra, il whisky e il caffè. E anche uno splendido tè.
La Tisana di Ippocrate non è, lo si capisce dal nome, qualcosa di particolarmente innovativo. Il padre della medicina ne aveva riconosciuto l’alto valore energetico e raccomandava questo preparato per la digestione e per l’alto potere antinfiammatorio. Lo mangiavano i gladiatori e lo consigliava ai malati per le sue proprietà ricostituenti e remineralizzanti. Calda, aiutava i convalescenti; in estate aveva un alto potere rinfrescante. La parola stessa tisana deriva dal greco ptissein ovvero mondare, l’orzo per l’appunto che va sbucciato e pestato.

L’orzo, cereale antico

L’orzo è un cereale antico, conosciuto dall’uomo fin da epoche lontane. Era già coltivato in Medio Oriente ai tempi della Mezzaluna Fertile e da qui si è diffuso in tutto il pianeta. La pianta dell’orzo resiste al caldo, al freddo e alla siccità, impiega meno tempo per essere raccolta e quindi riesce a essere coltivata anche in montagna o nei paesi del Nord, dove le estati sono brevissime. Molto coltivato in Italia, con l’affermarsi del frumento, l’orzo è diventato via via un cereale da destinare alle classi più povere, e oggi all’alimentazione animale. Ad oggi in Italia è diffuso particolarmente nelle aree del centro-sud. La recente riscoperta dei cereali antichi e alternativi sta facendo nuovamente la fortuna di orzo, farro e segale, ma basta rispolverare qualche ricordo del passato e caramelle e caffè di orzo tornano alla mente.

La tisana di orzo che si beve anche in Giappone e Corea

La tisana di orzo si prepara lasciando in infusione i chicchi di orzo nell’acqua per alcuni minuti, proprio come un tè. In Corea è molto diffusa con il nome di Boricha ed è sempre una tisana di orzo perlato servita caldissima in inverno e ghiacciata in estate. In Giappone si chiama Mugicha e la si beve invece prevalentemente fredda: è popolare come una limonata  ed è diffusa in tutto l’Oriente, inclusi Cina e Taiwan. Si trova nei supermercati in bustine proprio come il tè, oppure pronta da bere in bottigliette usa e getta o, ancora, servita in brocche a casa e al ristorante. In inglese si dice barley tea e lo si trova in negozi di cibo naturale e biologico.

In Italia, era il caffè di una volta

In Italia la tisana di orzo è una novità, ma solo all’apparenza. Prima dell’affermarsi del caffè, nel secolo scorso, il caffè d’orzo era bevuto dalle famiglie contadine che lo preparavano alla turca, come si faceva il caffè prima dell’invenzione della napoletana (nei primi anni del Novecento) o della moka, negli anni Trenta. L’orzo prima si tostava in casa e poi si lasciava bollire in acqua, poi lo si faceva depositare o si filtrava prima di berlo. Certo diventava scuro e potente, come un caffè, mentre il tè d’orzo è molto leggero, delicato e assolutamente più dolce. In Europa durante la seconda guerra mondiale a causa delle ristrettezze economiche, dell’embargo e dell’autarchia si diffusero una serie di surrogati come il caffè d’orzo, di cicoria, segale, fichi e lupini. In molti Paesi sono solo un vecchio ricordo mentre in Italia il caffè d’orzo ha ancora la sua fetta di pubblico di affezionati.

L’orzo mondo del Casino di Caprafico

Esistono due varietà di orzo: quello perlato, che si trova un po’ ovunque, e l’orzo mondo o “orzo nudo”, decorticato e tipico cereale dell’agricoltura marchigiana e abruzzese. È una varietà più pregiata, che richiede una lunga cottura e un ammollo preventivo, ma che contiene anche più fibre, sali minerale, vitamine e meno calorie. Diversamente dall’orzo perlato, non subisce alcun processo di raffinazione. È una coltivazione pregiata, con rese più basse e che quindi era stata abbandonata in favore di colture più redditizie. È stata riscoperta negli ultimi anni anche grazie a personaggi come Giacomo Santoleri della Azienda Agricola Casino di Caprafico, a Guardiagrele, in provincia di Chieti. Alle porte del Parco Nazionale della Majella, prende il nome dal fabbricato rurale costruito sulle Piane di Caprafico nel 1832 dalla famiglia Santoleri. Figlio di agricoltori da generazioni, Giacomo che ha convertito negli anni parte dei 130 ettari di terreni destinati a uliveto alla coltivazione di cereali e oggi ne lavora 70 seminati a farro selvatico autoctono, varietà antiche di orzo mondo e legumi tipici dell’Italia Centrale. Ne produce un’ottima pasta, un sorprendente caffè d’orzo e ora anche una tisana.
L’orzo mondo viene decorticato e tostato a fiamma indiretta e macinato in piccole quantità secondo un’esperienza e una tradizione consolidate nel tempo che esaltano le peculiari caratteristiche organolettiche dell’orzo nudo. Se ne fa caffè d’orzo per la moka o la macchina da espresso e una versione in bustine filtro, come quelle utilizzate solitamente per il tè. Classico oppure con anice, come si usava bere il caffè da queste parti, con anisetta.

Tisana di orzo, Casino di Caprafico.

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