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Frecantò di verdure, la versione marchigiana della ratatouille

Frecantò di verdure, la versione marchigiana della ratatouille

Il frecantò o fricandò è la versione marchigiana della ratatouille di verdure, un contorno ricco, saporito, versatile e svuotadispensa

Frecantò, fricandò o fricò di verdure: queste sono solo alcune delle varianti con cui viene definito un piatto tipico della cucina regionale marchigiana che consiste in un contorno di verdure miste. Come nel caso della ancor più nota ricetta della ratatouille francese, anche quella del frecantò ha origini povere. Nelle Marche, infatti, la vergara (termine del dialetto marchigiano per indicare la donna di casa) era solita preparare questo ricco contorno, cotto in padella o al forno, utilizzando le verdure dell’orto o di stagione che aveva a disposizione. Pur non esistendo, quindi, una vera e propria ricetta originale, vogliamo mostrarvi quali sono le preparazioni più diffuse e qual è l’origine di questo piatto, tanto semplice quanto gustoso e genuino.

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Frecantò: la ratatouille delle Marche (Flickr odako1).

Origini del nome ed evoluzione del frecantò

Il nome frecantò o fricandò è l’adattamento italiano del termine francese fricandeau, che sta a indicare una sorta di spezzatino di vitello cotto in casseruola con le verdure e un’aggiunta di brodo o vino bianco, di cui esiste appunto una versione vegetariana anche nota come ratatouille. Mentre la versione italiana e carnivora del classico fricandeau francese ha preso piede nella cucina tradizionale piemontese e valdostana, quella a base di sole verdure è stata acquisita, seppur con delle modifiche, sia dalla cucina marchigiana che da quella emiliano-romagnola.

Nelle Marche esiste, però, anche una divertente storia alternativa sull’origine del nome. Si racconta, infatti, che un gruppo di amici marchigiani fosse solito incontrarsi e sfidarsi a colpi di cibo e che ad avere la meglio fosse sempre il macellaio Antonio, che era solito preparare manicaretti di ogni tipo a base di carne. A ribaltare la situazione fu l’amico ortolano che preparò un piatto misto fatto con le verdure del proprio orto, talmente buono da essere accolto con un «Fregantò!», ovvero «Hai fregato Antonio», da cui il nome gastronomico e le sue tante varianti.

Un mix di verdure, tante preparazioni

Piatto sano, vegetariano e soprattutto stagionale, il frecantò veniva originariamente cotto perlopiù in ampie padelle, sempre con un’aggiunta graduale di acqua o di vino, e da sempre è apprezzata soprattutto come ricetta estiva. Consumato sia tiepido che freddo, questo contorno può essere mangiato come piatto unico o come accompagnamento a un secondo o a una fetta di pane casereccio. In cucina può però essere utilizzato anche nei modi più disparati, ad esempio per farcire un panino o una piadina o come sugo per condire un primo di pasta. Alla più classica cottura in padella, molti preferiscono quella in forno, che prevede che ortaggi, olio e condimenti e aromi vari vengano versati tutti insieme in una pirofila e cotti per circa 30 minuti a 180 gradi.
Ma veniamo a quelli che sono gli ingredienti più utilizzati. Per la ricetta sono in genere impiegati cipolla, carote, sedano, patate, melanzane, peperoni, zucchine, pomodorini e un pizzico di sale finale, da aggiungere in padella in quest’ordine, ovvero seguendo i diversi tempi di cottura; facoltativi, invece, l’utilizzo dell’aglio, del pepe nero e del peperoncino, così come quello delle erbe aromatiche da aggiungere alla fine, ad esempio prezzemolo o rosmarino. Facoltativa anche l’aggiunta, durante la cottura, del vino bianco e un’eventuale spolverata di pangrattato nel caso della versione preparata in forno.

Insomma, chiunque può cimentarsi nella preparazione di questo facilissimo contorno marchigiano, sperimentando le più disparate e fantasiose variantiv stagionali e personalizzate.

Il Mosciolo Selvatico di Portonovo, la “non cozza marchigiana”

Il Mosciolo Selvatico di Portonovo, la "non cozza marchigiana"

Non chiamatele cozze, se siete nella zona di Ancona! Sono i moscioli, crescono selvatici a ridosso del tratto costiero roccioso del monte Conero e li raccolgono solo otto uomini su tre barche. Ecco dove andarli a magiare, come farseli spedire a casa e le ricette tipiche della zona

Può esistere un’annata Doc per un mollusco? La risposta è si, e si identifica nella consistenza del frutto e nell’aroma particolarmente intenso. Quest’anno l’annata è da incorniciare per il mosciolo selvatico di Portonovo (pronuncia “mòsciolo” con l’accento sulla prima “o”). Dopo un inverno mite e una qualità delle acque eccellente (categoria A), complice anche il fermo delle attività per il lockdown, sia a terra sia in mare, la cozza “selvaggia” dell’area prospiciente al monte Conero sta vivendo una stagione particolarmente felice.

A raccogliere i mitili che si riproducono in maniera naturale a ridosso del tratto costiero roccioso marchigiano sono rimaste tre barche e otto uomini che pescano quantità contingentate che variano dai cinque ai dieci quintali al giorno per imbarcazione, condizioni meteo permettendo. Una vera perla gastronomica; per una sorta di edizione limitata che arriva sulle tavole dei consumatori al prezzo di quattro euro al chilo. Da ricordare che l’unica garanzia per essere sicuri che si tratti del prodotto selvatico è il marchio Mosciolo Selvatico di Portonovo.

«Turisti italiani e abitanti del posto in fila davanti alla sede della cooperativa non ne vedevamo da tempo», racconta il presidente Sandro Rocchetti. «Con la riduzione delle attività dei ristoranti, c’è stata una voglia di libertà che si è riversata dall’inizio dell’estate sui prodotti del mare e in particolare del mosciolo».

Certo, la cosa migliore sarebbe mangiarli nella splendida baia di Portonovo di Ancona, in riva al mare. Qui i ristoranti sono diversi, ognuno con una lunga storia alle spalle e ricette originali. Ma una volta acquisita la materia prima, ecco alcuni modi per valorizzarli al meglio anche a casa.

Scottato “al naturale”: la differenza tra selvatico e coltivato

Se comprate un sacchetto di moscioli selvatici il primo passo sarà quello di apprezzarne la differenza con le più diffuse cozze allevate. Il consiglio è quello di aprirle a fuoco vivo e mangiarle al naturale, senza aggiungere altro. La consistenza carnosa del frutto e il sapore sono unici. Una combinazione straordinaria di aromi dovuta alle micro alghe di questa zona di mare riparata dal monte. Le ricette per stuzzicare il palato sono tante: dalla moda di Portonovo, con la scorza del limone, il prezzemolo e l’aglio, fino al mosciolo arrosto, dove le molliche del pane sono aromatizzate da un trito di prezzemolo bagnato con olio extravergine d’oliva.

Il segreto dello chef Moreno Cedroni e la sua personale ricetta casalinga

Tra gli chef che hanno contribuito alla promozione di questo prodotto c’è Moreno Cedroni, che a Portonovo è il patron del Clandestino Susci Bar, chalet in riva al mare, luogo imperdibile della baia. Famoso l’accostamento con la selvaggina che Cedroni celebrò tempo fa con il suo “Cinghiale e mosciolo”. Un omaggio a un territorio integro e selvaggio. E in effetti fino agli Sessanta questi mitili erano l’unico pasto a base di pesce dei contadini del Conero che scendevano dal sovrastante Poggio per raccoglierli. Da vero addict del mosciolo di Portonovo, Cedroni ci confida come lo prepara a casa: «Si aprono a bollore, con una cottura velocissima e si gustano cosparsi con un sughetto di cipolla tagliata a fettine sottili, stufata con olio, poco peperoncino e con l’aggiunta di pomodoro fresco». Un intingolo che va messo sopra i moscioli, e si gusta tiepido o, ancora meglio, a temperatura ambiente. «Quest’anno», ci racconta Cedroni, «c’è stato un aumento dei turisti italiani. Le poche ore di auto che fino a oggi erano sempre state un deterrente, ora sono un pregio. Il mosciolo rappresenta un ingrediente del quale molti hanno sentito parlare, vogliono provare la differenza. E poi questa è un’annata davvero speciale».

“L’ufficio turistico” del mosciolo è da Miscia

Una volta scesi alla stazione ferroviaria di Ancona, in pieno centro, bastano pochi passi e una breve pausa per gustare un menu a base di mosciolo selvatico di Portonovo. Vino e Cucina da Miscia è una specie di punto informativo gourmet per chi arriva in città. Il menu parla chiaro e ad Ancona Miscia evoca uno dei personaggi storici del porto dorico: Umberto, cuoco ed ex campione italiano di boxe nel 1952, che cucinava il mosciolo “schioppato”, ovvero “scoppiato”. Il figlio Andrea ha seguito le orme del padre e ricorda la ricetta storica: in una padella alta si gettano i moscioli freschi, cosparsi di prezzemolo, olio extravergine d’oliva, aglio e pepe, e una “svaporata” di vino bianco. Si mette il coperchio e si lasciano aprire a fuoco vivo. Si gustano con un bicchiere di buon vino bianco e si fa la scarpetta nella saporita acqua prodotta durante la cottura. Ma anche nei primi piatti il mosciolo regna sovrano: lo spaghettone viene proposto con un sugo di moscioli battuti al coltello, con l’aggiunta di pomodoro fresco, olio, peperoncino e, naturalmente, l’acqua di cottura filtrata.

Il Mosciolo a domicilio? Arriva in giornata con Pesce Nostro… in tutta Italia

Distanziamento sociale e timore di frequentare posti affollati stanno portato turisti anche nei piccoli borghi, specie in zone dell’entroterra finora considerate marginali per i grandi flussi. Per chi già conosce le Marche, un’idea accattivante è gustare un buon calice di Verdicchio dei Castelli di Jesi, accompagnato a prodotti marinari. Un piccolo lusso da concedersi ovunque. Proprio durante il lockdown ha preso campo l’idea imprenditoriale di una start up che porta il pesce fresco di giornata fino a centinaia di chilometri di distanza. Si chiama Pesce Nostro ed è la pescheria marchigiana online. Tramite il suo sito web si può ordinare direttamente un quantitativo minimo di spesa o un ordine cumulativo per ottenere la consegna gratuita e il Mosciolo Selvatico è uno dei protagonisti del pescato locale. Ogni notte l’azienda si fa carico di reperire all’asta del mercato ittico di Ancona il pesce freschissimo e di consegnarlo entro le ventiquattrore a destinazione. Il pesce arriva sulla tavola di casa già pulito nei grandi e nei piccoli centri del centro nord: da Roma a Milano, da Verona fino al Piemonte.

Ricetta cavolfiore fritto, una croccante bontà marchigiana

Ricetta cavolfiore fritto, una croccante bontà marchigiana

Ecco come preparare la sfiziosa ricetta del cavolfiore fritto, un contorno tradizionale delle Marche ideale anche come antipasto

  • 100 g Farina bianca
  • 1 Kg Grosso cavolfiore
  • 1 pz Uovo
  • Olio d’oliva
  • Vino bianco secco (oppure liquore all’anice)
  • Sale
  • Pepe

Ecco come preparare la sfiziosa ricetta del cavolfiore fritto, un contorno tradizionale delle Marche ideale anche come antipastoMondate e lavate il cavolfiore, eliminandone le foglie verdi. Mettetelo a cuocere in una pentola contenente abbondante acqua bollente, leggermente salata. Mentre la verdura cuoce, preparate la pastella che servirà per la sua frittura.

Mettete la farina, setacciata, in una terrina, unitevi un pizzicone di sale e uno di pepe appena macinato. Aggiungete l’uovo, mescolando con cura, nonché tanto vino bianco (o liquore all’anice) quanto ne occorre per ottenere una pastella giustamente densa. Lasciate riposare la pastella, coperta.

Controllate la cottura del cavolfiore, che scolerete quando è ancora leggermente al dente. Sgocciolatelo bene, quindi staccatene i ciuffetti e lasciateli asciugare, stesi su un canovaccio. Immergeteli poi, uno o due alla volta, nella pastella preparata, rigirandoli con due forchette perché se ne rivestano completamente. Intanto, avrete scaldato nell’apposita padella abbondante olio.

Tuffatevi i ciuffetti via via che li preparate e friggeteli finché sono dorati e croccanti. Sgocciolateli e stendeteli su una carta assorbente perché perdano l’eccesso di unto. Salateli e serviteli immediatamente, ben caldi.

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