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Melanzana, attenti al frutto nero

La Cucina Italiana

La vicenda della melanzana è tutta racchiusa nella storia della parola che la designa. Secondo le ipotesi più accreditate il suo nome deriva dall’incrocio tra l’arabo bādingiān e mela oppure dal greco bizantino melintzána (da mélas, «nero», in riferimento al colore scuro della buccia). Ma c’è anche un’interpretazione popolare, dal latino mala (mela, frutto) e insana, che rivela un’accoglienza iniziale tutt’altro che benevola. Portata in Europa nel Medioevo dagli Arabi attraverso la Sicilia e la Spagna, il frutto della Solanum melongena trova in Occidente vistose resistenze, tanto che nei ricettari medievali della nostra Penisola non ce n’è quasi traccia, perché era considerata nociva, capace persino di portare alla follia. È quanto emerge nel Novellino, raccolta fiorentina di novelle della fine del XIII secolo, in cui, in riferimento al pet(r)onciano (variante toscana e più antica di melanzana), si legge: «Maestro Taddeo, leggendo a’ suoi scolari in medicina, trovò che, chi continuo mangiasse nove dì di petronciani, che diverrebbe matto; e provavalo secondo fisica».

Melanzana: amore o sdegno?

Nel Nord Europa la melanzana è a lungo considerata una pianta ornamentale, e in Francia è addirittura ridenominata pomo d’amore; in Italia viene utilizzata in cucina solo a partire dal Cinquecento: lo dimostrano le risultanze di AtLiTeG, in cui la voce compare per la prima volta nel cosiddetto Cuoco Napoletano (manoscritto della fine del XV secolo), nella forma plurale marignani. Che a quel tempo l’ortaggio non fosse ancora totalmente riabilitato lo testimoniano i due più importanti trattati del Rinascimento: i Banchetti di Cristoforo Messi Sbugo e l’Opera di Bartolomeo Scappi. Nel primo, accanto alla forma mollegnane troviamo pome di sdegno; nel secondo, accanto a molignana ancora pomo sdegnoso. Parallelamente alle controindicazioni di carattere medico (come ebbe a scrivere Castore Durante nel suo Herbario Nuovo, l’uso smodato dell’ortaggio avrebbe arrecato «humori malinconici, oppilationi, cancari, lepra, dolor di testa»), sembra farsi strada l’idea della melanzana come cibo volgare, adatto alle mense popolari se non plebee. A ciò va aggiunto che, se per tutta l’età moderna la melanzana acquisisce nella cultura alimentare cristiana uno spazio limitato, essa occupa un posto d’onore in quella ebraica, sulla quale un tempo ricadeva un giudizio tutt’altro che positivo. Anche in questo caso, bisogna attendere la Scienza in cucina di Pellegrino Artusi (1891) per avere maggiore chiarezza. Nella ricetta dei petonciani, variante preferita da Artusi in ossequio al modello fiorentino di lingua, si legge: «Petonciani e finocchi, quarant’anni orsono, si vedevano appena sul mercato di Firenze; vi erano tenuti a vile come cibo da ebrei, i quali dimostrerebbero in questo, come in altre cose di maggior rilievo, che hanno sempre avuto buon naso più de’ cristiani». Una strada lunga e faticosa, dunque, quella della melanzana, che oggi, a dispetto di ogni pregiudizio, è una regina della dieta mediterranea.

Che cosa è ATLITEG

L’Atlante della lingua e dei testi della cultura gastronomica italiana dall’età medievale all’Unità è un progetto finanziato dal ministero dell’Università e Ricerca. Si esprimerà in una banca-dati testuale, un Vocabolario digitale e un Atlante, che riporterà su webGIS la distribuzione geografica e storica dei dati ricavati dai testi. La cartina mostra la distribuzione e le frequenze, in base alle risultanze del corpus di AtLiTeG, dei due tipi lessicali melanzana e petonciano, ben differenziati rispetto alla assenza/presenza in Toscana.

Ricetta Granita di pomodoro e dadi di melanzana arrostiti

Ricetta Granita di pomodoro e dadi di melanzana arrostiti

Per la ricetta della granita di pomodoro e dadi di melanzana arrostiti, mondate la melanzana e sbucciatela in modo da ridurla in un parallelepipedo di polpa; tagliate la polpa in cubi di 3 cm di lato; spennellateli con olio, insaporiteli con una macinata di pepe e cuoceteli in una padella calda, a fuoco medio, per 3 minuti, quindi voltateli e proseguite la cottura per altri 2 minuti e, infine, ancora per 30 secondi su ciascun lato rimanente.

Ricetta Arrosto freddo e tripla melanzana

Ricetta Arrosto freddo e tripla melanzana
  • 900 g magatello di vitello
  • 2 melanzane viola lunghe
  • una carota
  • un gambo di sedano
  • mezza cipolla
  • tahina (crema di sesamo)
  • aglio
  • limone
  • menta
  • vino bianco secco
  • olio extravergine di oliva
  • olio di arachide
  • pepe
  • sale

Per la ricetta dell’arrosto freddo e tripla melanzana, mondate e tagliate a tocchetti la carota, il sedano, la cipolla uno spicchio di aglio e rosolateli in una casseruola con un cucchiaio di olio extravergine e un pizzico di sale; bagnate poi con mezzo bicchiere di vino, fatelo evaporare, aggiungete la carne e coprite tutto con acqua fredda. Cuocetelo per un’ora e 30 minuti circa a fuoco medio-basso. Lasciatelo infine raffreddare per un’ora.
Per le melanzane: Lavate le melanzane, dividetele a metà, incidetene la polpa e conditele con un pizzico di sale e un filo di olio extravergine. Infornatele a 200°C per 25-30 minuti. Raccogliete poi la polpa, conservando le bucce.
Fatele seccare in forno a 180°C per 15 minuti circa; tagliatele a losanghe e friggetele in olio di arachide per qualche secondo. Scolatele su carta da cucina e salatele.
Tritate metà della polpa di melanzana e conditela con qualche foglia di menta tagliata finissima, un cucchiaio di olio extravergine e un pizzico di sale. Frullate il resto della polpa di melanzana con un cucchiaio di tahina, 2 cucchiai di limone, sale e pepe. Tagliate l’arrosto a fette sottili e servitelo con le due salse, le bucce di melanzana fritte e olive taggiasche a piacere.

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