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Pasta alla Genovese, la ricetta come la fanno in casa a Napoli

La Cucina Italiana

Non bisogna per forza essere di Napoli per comprendere il senso profondo di un piatto come la Genovese. Certo il suo odore per un napoletano sarà sempre legato a infinite domeniche in famiglia; ma in realtà quel profumo resta impregnato addosso anche a chi è solo di passaggio, anche solo una volta. Perché in un’era dove gli imperativi restano la velocità e l’efficienza, per fare la Genovese ci vogliono ore e ore, passate a pelare chili di cipolle con le lacrime agli occhi; lacrime che non si arrestano nemmeno tra i fumi dei suoi lunghi tempi di cottura; lacrime che basta un respiro. Per questo nella Genovese c’è Napoli e quella sua intrinseca abilità di trovare sempre soluzioni, nella vita così come davanti a resti, scarti o sovrabbondanze di cibi; quella stessa genialità che da sempre caratterizza le cucine cosiddette povere, che poi in realtà di povero non hanno proprio nulla e si rivelano sempre la quintessenza della creatività, come ci dimostra la storia. Perché è quando non si ha niente che si riesce a fare tutto, mo, ambress ambress, in un eterno presente: “il futuro non ci appartiene, e se domani non mi sveglio? Allora meglio che la Genovese me la faccio oggi”. È questa la filosofia di Patrizia, per tutti zia, una delle tante donne che la prepara da una vita, perché gliel’ha insegnata sua mamma, Angela, e prima ancora sua nonna, Fortuna, secondo una tradizione tramandata con il semplice saper fare. Negli anni l’ha preparata in tutta Italia per diverse occasioni e ovunque ha sempre riscosso un gran successo. Ma resta un dubbio: perché una delle ricette più napoletane che ci sia, si chiama proprio così?

Perché “la Genovese” si chiama così visto che è di Napoli?

Ci sono varie ipotesi, dal periodo aragonese in cui pare che il porto di Napoli fosse pieno di cuochi genovesi, a un cuoco napoletano che la cucinava ed era soprannominato “o genoves”, fino a chi pensa che il nome derivi da Ginevra in Svizzera e non dalla città ligure…

Ma la realtà è più semplice: la Genovese appartiene al Mediterraneo e risale a quell’epoca in cui gli scambi tra i porti erano talmente comuni che la condivisione di un piatto era un’abitudine. A maggior ragione se ad averlo poi fatto suo è stata una città come Napoli, incapace a non dare confidenza, con quella sua indole innata predisposta all’incontro senza preconcetti e alla contaminazione senza indugi.

Dunque, poco importa l’origine o l’appartenenza di qualcosa che alla fine affonda le sue radici in mezzo al mare, intriso di un antico e profondo senso di condivisione; quello stesso che oggi non fa mancare nessuno a tavola quando lei è finalmente pronta.

Come si prepara la Genovese

Per la preparazione delle Genovese, è fondamentale scegliere bene la carne, che deve essere sempre il più tenera possibile: zia Patrizia predilige la gallinella di maiale, tra i tagli meno noti, ma ugualmente validi, vicino allo stinco, nella parte inferiore della gamba, dove le masse muscolari abbracciano la faccia posteriore della tibia.

Ingredienti per 4/5 persone

  • 500 g di penne grandi (o ziti e candele)
  • 1 kg di gallinella di maiale (o girello di manzo tenero)
  • 2 kg di cipolle
  • 2 carote
  • 1 sedano
  • 1 bicchiere di vino bianco
  • 5 pomodorini
  • basilico – sale – prezzemolo – Parmigiano – olio evo

Procedimento

  1. Pelate le cipolle e tagliatele a pezzettini.
  2. Poi pulite carote e sedano e tagliate anch’essi a pezzetti; in una pentola mettete l’olio extravergine d’oliva e fate rosolare la carne precedentemente tagliata.
  3. Dopo circa un quarto d’ora, togliete la carne e nella stessa pentola aggiungete ancora un po’ d’olio con cipolle, carote e sedano e fate cuocere con il coperchio chiuso per qualche minuto.
  4. In seguito mettete un bicchiere di vino bianco, poi riaggiungete la carne con cinque pomodorini schiacciati; aggiustate di sale, aggiungete ancora un po’ di vino bianco e lasciate cuocere a fuoco basso per almeno un’ora, anche se il tempo dipende dalla cottura della carne.
  5. Una volta che la carne è quasi pronta, fate bollire l’acqua, buttate la pasta e infine condite direttamente nel piatto, senza mai dimenticare una spolverata di parmigiano ‘ncoppa.

Il minestrone di Bruno Barbieri: la ricetta da chef

Il minestrone di Bruno Barbieri: la ricetta da chef

Per chef Bruno Barbieri – 62 anni splendidamente portati il 12 gennaio – non ci sono dubbi. «Il minestrone è uno dei piatti più creativi e contemporanei della cucina». Un piatto che può sembrare banale, poco invitante, spesso «snobbato dalla cucina internazionale, percepito come dietetico, da ospedale, ed è invece un piatto iper versatile che si può trasformare in mille modi, sempre diversi, aggiungendo, per esempio, crostini, pane raffermo, pane tostato, cialde, carni, formaggio. Asciutto o meno asciutto». La sua ricetta del minestrone è molto contemporanea e piena di gusto, ci sono alcuni step fondamentali da seguire.

«Preparare un buon minestrone significa valorizzare ogni singola verdura, con i suoi colori, profumi e sapori, partendo anche da parti genericamente considerate scarti, per arrivare ad un’armonia di una ricchezza senza paragoni».

E allora cosa non deve mancare e cosa invece non bisogna mettere nel minestrone? «La cosa più complicata è l’aggiunta del pomodoro, perché è la parte più acida, che va ad aggiungersi a quella delle verdure e del brodo, il rischio è che non sia buono. Ma il pomodoro non da escludere, perché dà anche dolcezza».

Altro consiglio di chef Barbieri è non solo sull’eccesso di acidità, ma anche sull’eccesso di dolcezza. «Attenzione alle erbe che potrebbero essere troppo dolci, quindi le erbe estreme, quali basilico, cumino, sono da dosare con gentilezza, sennò sovrastano».

Altro consiglio importantissimo per un buon minestrone è giocare con le cotture diverse. «Sembra difficilissimo, ma non lo è. Le verdure son da cuocere piano piano, separatamente. Il sedano, per esempio, va all’inizio, perché più croccante, come le carote e i cardi che sono l’asso di briscola, ricordatevelo! Poi se aggiungete delle palline di salsiccia sarà stratosferico».

Cosa non può mancare nel minestrone

«Il mio deve sempre avere porri, cipolla con chiodi di garofano, no aglio, lo metto solo nel caso sia più asciutto. Ogni tanto aggiungo il pesce, tipo un trancio di baccalà, di tonno, cotti a parte, messi come se fossero una guarnizione. Filo di olio alla fine, anche aromatizzato». Altra accortezza è non mettere «mai i carciofi perché sono amari e hanno un colore che nel brodo non è bello. Mia nonna Mimì aveva un orto meraviglioso, faceva minestre eccezionali, e non ce li metteva mai».

Come suggerimento alternativo, molto campestre, chef Barbieri suggerisce «cinque foglie di ortica, che hanno un sapore genuino di fosso, del verde appena piovuto. Di sottobosco. Oppure le castagne, il risultato è sballo totale!».

I consigli di Bruno Barbieri per un minestrone buonissimo

■Tutte le verdure di scarto sono utili per dare più sapore
■ È più bello quando si riescono a riconoscere tutti i colori di tutte le verdure
■ Per dargli più carattere, passare alcune verdure al barbecue
■ Il pomodoro utilizzato per l’elisir è gustosissimo su una fetta di pane bruschettato

Bruno Barbieri: MasterChef, il futuro, …

Bruno Barbieri è un vulcano, sarà anche per questo che è il più longevo dei giudici-chef di Masterchef Italia. «I concorrenti vogliono tutto subito, poi succede che chieda come si fa una salsa béarnaise e mi si raccontano solo gli ingredienti. Io voglio sapere la storia degli ingredienti! Bisogna conoscere per poter cucinare», commenta lo chef parlando del più noto talent show di cucina. E quindi lui stesso, anche dopo tanta gavetta («In 30 anni ho sempre ascoltato e ho aspettato il mio momento, imparavo dai grandi chef, guardavo e incassavo. Adesso parlo io») è sempre pronto ad apprendere cose nuove.  «Sto partendo per gli Stati Uniti per scoprire la cucina creola, poi scendo in Sud America e procedo verso l’Africa». Qui gatta ci cova… Dopo il docufilm su di lui, Bruno Barbieri Sosia, chef BB sta lavorando a un grosso progetto. Un altro documentario? Una serie tv? Un film? «Non posso dirlo ancora, ma se va in porto sarà super interessante!».

Intanto ecco la sua ricetta del minestrone da replicare a casa, con altri due consigli: più resta lì più è buono. «Evitate mappazzoni, quindi occhio all’impiattamento».

Cibo in aereo: cosa si può portare e cosa no in valigia

La Cucina Italiana

Quali sono le regole per trasportare il cibo in aereo? Di ritorno da un viaggio, i souvenir più graditi (per sé e per gli altri) restano i prodotti tipici da mangiare e da bere ma, quando bisogna prendere un volo, portarli con sé può essere complesso. Non solo per questioni di spazio – specie se si ha solo il bagaglio a mano – ma per questioni di regole.

Cibo in aereo: le regole da conoscere

Ci sono infatti diverse limitazioni da rispettare. Riguardano anzitutto liquidi e cibi liquidi quando si viaggia all’interno dell’Unione Europa, e tante altre categorie di alimenti – su tutti salumi e latticini – quando invece la destinazione (o la provenienza) è un Paese extra Ue, come gli Stati Uniti o l’Australia, che impongono anche multe molto salate per i trasgressori. Come orientarsi, allora? Abbiamo chiesto agli esperti di AirHelp, la più grande organizzazione al mondo specializzata nella difesa dei diritti dei passeggeri aerei, con una rete di studi legali in più di 30 Paesi, tra i quali l’Italia. Ecco cosa c’è da sapere.

Posso portare cibo nel bagaglio a mano?

La regola generale è che nel bagaglio a mano si possono portare i cibi solidi e confezionati. Gli esperti di AirHelp, infatti, spiegano che «Panini, cereali, dolci e cracker, anche se fatti in casa, e purché opportunamente sigillati e messi in bustine trasparenti, sono consentiti». Ci sono limitazioni, invece, per quanto riguarda i cibi “liquidi”. «Devono rispettare le regole sui liquidi» dicono gli esperti, «e quindi non superare il quantitativo di 100 ml». Esempi di cibi liquidi? Formaggi molli come il camembert o la mozzarella, le creme spalmabili, dolci come la cheesecake, ma anche sottoli e sottaceti. «Anche i cibi in scatola» dicono gli esperti AirHelp, «devono seguire le stesse regole dei liquidi. In particolare le lattine non passano bene ai raggi X e sono difficili da verificare, e questo rappresenta un rischio per la sicurezza. È consigliato non portarle con sé per evitare problemi». Nessuna limitazione – vale la pena ricordarlo – per ogni tipo di cibo o bevanda acquistata direttamente in aeroporto.

Posso portare cibo nel bagaglio da stiva?

Per quanto riguarda il bagaglio da stiva, la regola generala è «via libera». Si può portare il cibo che si vuole, anche liquido, e senza limitazioni. A fare la differenza è la provenienza e/o la destinazione del proprio volo perché ci sono alcune categorie di alimenti per le quali diversi Paesi pongono limiti molto rigidi, come vedremo più avanti.

Ci sono limitazioni per cibo e latte per bambini in aereo?

«Tra gli alimenti consentiti nel bagaglio a mano e da stiva ci sono anche quelli per bambini come il latte artificiale, il latte materno, omogeneizzati e succhi di frutta», fanno notare gli esperti di AirHelp. «Le bevande e i cibi liquidi del bagaglio a mano devono sempre rientrare nella quantità stabilita dalla sicurezza aeroportuale. Nell’Ue» ribadiscono, «la quantità consentita per i cibi liquidi è inferiore a 100 ml e tutto deve rientrare in una busta trasparente da 1 litro».

Quanto alcol si può portare in aereo?

Capitolo a parte meritano gli alcolici. «Le bevande alcoliche sono ammesse ai controlli di sicurezza purché rispettino il limite di 100 ml. Se superano i limiti, non possono essere trasportate nel bagaglio a mano e vanno messe in quello da stiva, rispettando però le specifiche regole di ogni Paese. Ad esempio, se si vola nell’Ue provenendo da un Paese non Ue, si può portare un litro di alcolici con un volume superiore al 22% senza pagare IVA e accise. Inoltre, non è permesso portare alcolici in Paesi in cui sono illegali, come l’Arabia Saudita».

Si possono portare semi e piantine in areo?

Anche per quanto riguarda semi e piantine, è bene conoscere la regola e l’eccezione. «È possibile portare i semi in aereo, sia nel bagaglio da stiva che in quello a mano: se però si vola al di fuori dell’Ue è necessario seguire le regole stabilite dal Paese di destinazione», dicono gli esperti di AirHelp, sottolineando che a fare la grande differenza rispetto a ciò che si può portare – o non portare in aereo – è sempre il posto dal quale si proviene o verso il quale si viaggia. «Le destinazioni al di fuori dell’Ue possono essere molto severe per quanto riguarda gli alimenti freschi, in particolare frutta, verdura, carne e prodotti caseari», proseguono gli esperti di AirHelp, ricordando che se non si rispettano le regole si può incorrere in multe molto salate.

Le regole sul cibo in aereo quando si viaggia nei Paesi al di fuori dell’Unione Europea

Di base, è bene ricordare almeno tre regole: l’Unione Europea vieta il trasporto di formaggi, salumi e cibi ripieni se si arriva da un Paese extraeuropeo, a meno che non sia Andorra, Liechtenstein, Norvegia, San Marino e Svizzera. L’Australia invece vieta di importare frutta, anche secca, salumi, spezie e semi, e ha limitazioni specifiche per salumi e latte, così come gli Usa. Per questa ragione, se si viaggia in Paesi extra Ue, è sempre bene consultare i siti delle ambasciate, ma anche dichiarare la presenza di cibi all’interno del bagaglio al momento del check in. Ritornando all’esempio degli Stati Uniti, le multe per chi non rispetta le regole possono arrivare a 10mila dollari.

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