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Eritritolo, tutto quello che c’è da sapere | La Cucina Italiana

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L’eritritolo può essere una soluzione per ridurre gli zuccheri a tavola? La riduzione degli zuccheri è uno dei consigli più frequenti suggeriti dagli esperti in nutrizione. Un consumo eccessivo infatti favorisce il sovrappeso, l’obesità e l’insorgenza di diabete di tipo 2 e di tanti altri disturbi. Per chi non riesce a rinunciare al gusto dolce esistono diverse soluzioni. Basta fare un giro tra gli scaffali del supermercato per accorgersi che oltre ai classici dolcificanti come l’aspartame e la stevia, ci sono dei nuovi sostituti dello zucchero come l’eritritolo, di cui nelle ultime settimane si è parlato spesso. In uno studio recente infatti il suo consumo è stato associato a un maggiore rischio cardiovascolare. Ma è davvero così dannoso? Ecco tutta la verità sull’eritritolo.

L’eritritolo si trova in alimenti naturali come i funghi, la frutta (anguria, melone, uva, pere) e i cibi fermentati.

Ivan

Che cos’è l’eritritolo

«L’eritritolo è un poliolo ricavato dalla fermentazione microbica dello zucchero», spiega la nutrizionista Valentina Schirò, specializzata in scienze dell’alimentazione. «Dolcifica meno del saccarosio, ma ha il vantaggio di avere un basso contenuto calorico e di essere versatile. Può essere usato infatti come edulcorante da tavola al posto dello zucchero per rendere più gradevole il gusto di tisane, tè o caffè oppure come ingrediente in cucina nella preparazione di dolci, dessert, confetture, gelati e prodotti da forno. L’eritritolo è spesso presente anche in prodotti già confezionati come additivo alimentare, in particolare in quelli senza l’aggiunta di zuccheri e come aroma nelle bevande non alcoliche, ed è riconoscibile nella lista degli ingredienti con la sigla E968. Si trova poi in alimenti naturali come i funghi, la frutta (anguria, melone, uva, pere) e i cibi fermentati. E persino in alcuni farmaci, nei prodotti cosmetici e per l’igiene orale».

L’eritritolo fa bene oppure fa male?

In uno studio condotto di recente il consumo di eritritolo è stato associato a un aumentato rischio cardiovascolare. «Al momento nella letteratura scientifica a parte questo studio non ci sono prove sufficienti per poter dire che l’eritritolo aumenti le probabilità di essere colpiti da trombosi, ma sono necessari come hanno evidenziato gli stessi esperti dello studio ulteriori prove che valutino la sicurezza a lungo termine del consumo di questo edulcorante», dice la nutrizionista Valentina Schirò. «Uno dei vantaggi dell’eritritolo è che non viene assorbito completamente dall’organismo, ma viene eliminato dalle urine e quindi il suo consumo a differenza del comunissimo zucchero da tavola non incide sulla glicemia perché non favorisce i picchi. Per questo motivo per i soggetti sani e i diabetici l’eritritolo è potenzialmente un buon sostituto dello zucchero». Un ulteriore vantaggio dell’eritritolo oltre alla bassissima densità calorica, è che ha un buon potere saziante. «Si è visto che il suo consumo favorisce la produzione a livello intestinale di ormoni che agevolano il senso di pienezza, ma anche in questo caso per poter dire che l’eritritolo possa essere un alleato nella gestione del peso occorrono ulteriori studi».

Primi piatti romani, tutte le ricette

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Alcuni sono tra i piatti più replicati nelle cucine degli italiani e si tratta di capisaldi della tradizione gastronomica del Belpaese: i primi piatti romani sono sinonimo di gusto e cultura.

I primi piatti romani

Per i primi piatti della cucina romana vige la regola del “pochi ma buoni” sia perché non si tratta di moltissimi piatti sia perché la lista degli ingredienti (che non devono mai essere sostituiti) si riduce a poche voci. I primi piatti della cucina romana rispecchiano i dettami di una cucina povera, la cucina come quella di una volta. Tra gli ingredienti banditi per realizzare i primi piatti della cucina romana ci sono aglio, panna, bacon, pancetta e würstel. Immancabili quasi come comune denominatore il pecorino romano DOP, il guanciale stagionato e il pepe nero.

Pasta alla gricia

Popolare e sostanziosa la pasta alla gricia è un grande classico della cucina tipica romana. Si dice che la pasta alla gricia sia stata inventata dai pastori laziali che con pochi ingredienti preparavano un piatto semplice ma altrettanto nutriente e gustoso. Per cucinarla occorrono dell’ottimo guanciale, una generosa dose di pecorino romano DOP, il pepe nero e una confezione di pasta corta, meglio se rigatoni. La pasta alla gricia si prepara in 15 minuti ma il nostro consiglio è di gustarla con calma. 
Cliccate qui per la ricetta della Pasta alla gricia.

Tonnarelli cacio e pepe e gricia: quali sono le differenze

Oltre al formato di pasta, la differenza sostanziale tra questi due primi piatti della cucina romana consiste nella presenza del guanciale nella pasta alla gricia. Gli ingredienti per realizzare i tonnarelli cacio e pepe sono la pasta, il pecorino romano DOP grattugiato, il pepe nero e l’acqua di cottura della pasta (ricca di amido) con la quale si ottiene la caratteristica cremina. Per realizzare la pasta alla gricia è sufficiente sostituire i tonnarelli con i rigatoni e aggiungere il guanciale stagionato. Cliccate qui per la ricetta dei Tonnarelli cacio e pepe.

Bucatini all’amatriciana

L’amatriciana è un primo piatto emblema della cucina romana e italiana. L’amatriciana si fa con i bucatini ai quali devono essere aggiunti gli ingredienti della pasta alla gricia e i pomodori pelati. C’è chi non disdegna un pizzico di peperoncino essiccato che dona al piatto una nota piccante. Cliccate qui per la ricetta dell’amatriciana.

Rigatoni con la pajata

I rigatoni con la pajata sono probabilmente il primo piatto più verace della cucina tipica romana. La pajata (o pagliata) è la prima parte dell’intestino tenue dei vitelli da latte che contiene il chimo (latte) e prima di essere impiegata in cucina viene pulita, eviscerata ma non privata del chimo che conferisce al piatto un gusto forte e antico. Per realizzare i rigatoni con la pajata si parte da un soffritto di sedano, cipolla, olio extra vergine di oliva e lardo al quale si aggiunge la pajata a pezzi. Dopo averla fatta rosolare si sfuma con il vino bianco secco e si lascia evaporare. Si aggiunge quindi la passata di pomodoro, il sale e il peperoncino e si fa cuocere il sugo su fiamma dolce per circa 2 ore. Questo sugo servirà per condire i rigatoni che dovranno essere serviti con una generosa spolverizzata di pecorino romano DOP grattugiato.
Cliccate qui per la ricetta dei rigatoni con la pajata.

Spaghetti alla carbonara

La carbonara si può anche definire come una pasta alla gricia con l’aggiunta del tuorlo d’uovo. Seguite la nostra ricetta per ottenerne una a regola d’arte!

Ingredienti per 4 persone

400 g di spaghetti di calibro medio trafilati al bronzo
300 g di guanciale stagionato (peso al netto della cotenna)
50 g di pecorino romano DOP grattugiato
5 tuorli
sale
pepe nero macinato al momento

Procedimento

Tagliate il guanciale a dadini e fatelo rosolare in un’ampia padella su fiamma media senza aggiunta di grassi. Quando il guanciale avrà preso colore spegnete la fiamma.

In una ciotola di acciaio sbattete i tuorli con il pecorino e il pepe. Portate a bollore una pentola con acqua. Al bollore salate e fate cuocere gli spaghetti seguendo le istruzioni riportate sulla confezione.

Scolate la pasta al dente e versatela nella padella con il guanciale facendola amalgamare per un paio di minuti. Trasferitela nella ciotola con le uova e il pecorino, aggiustate di pepe, dividete in piatti individuali e servite subito i vostri spaghetti alla carbonara.

Pasta alla zozzona

Meno nota della carbonara o della amatriciana ma assolutamente tradizionale, la pasta alla zozzona è forse il primo piatto della cucina romana più goloso. Scoprite come si fa!

Ingredienti per 4 persone

400 g di polpa di pomodoro a pezzi
360 g di rigatoni
250 g di salsiccia fresca
200 g di guanciale stagionato (peso al netto della cotenna)
30 g di pecorino romano DOP grattugiato
3 tuorli
pepe nero
sale

Procedimento

Tagliate a listarelle il guanciale, eliminate la pelle e sbriciolate la salsiccia, metteteli all’interno di una padella antiaderente e fateli rosolare su fiamma media. Unite la polpa di pomodoro, aggiustate di sale e pepe e portate a cottura fino ad ottenere un condimento ben amalgamato. Nel frattempo a parte sbattete i tuorli con il pecorino grattugiato e il pepe. Portate a bollore una pentola con acqua, al bollore salate e cuocete la pasta al dente seguendo le istruzioni riportate sulla confezione. Scolate la pasta e saltatela in padella con il condimento. Allontanate la padella dal fuoco, unite alla pasta la crema di tuorli e poca acqua di cottura dei rigatoni. Mescolate bene e trasferite la pasta alla zozzona nei piatti da portata. Servite completando con altro pecorino romano grattugiato.

I primi piatti della cucina romana

cucina romana

Primi piatti tipici della cucina romana

Umbria: dove mangiare formaggi antichi ed etici

Umbria: dove mangiare formaggi antichi ed etici

Umbria. La mattinata è uggiosa, il cielo invernale grigio e fermo, ma quando arriviamo all’azienda agricola di Cinzia Lattanzi a Castel Ritaldi (Perugia) nel cuore della Valnerina, l’atmosfera viene animata da un gruppo di galline variopinto e piuttosto esuberante. Seguono, in ordine, i cani Nebbia e Luna, qualche oca razzolante, una faraona. In sottofondo, il belare di pecore e agnellini. Nitrire di cavalli. Poi, in questo agreste sottofondo musicale arriva la titolare, ventinove anni, con le mani arrossate per il lavoro nel suo microcaseificio con annessa bottega. Accanto a lei il padre Dante e la zia Rosanna. Siamo qui per scoprire la ricotta salata della Valnerina, un prodotto raro e antico, dal 2019 insignito del presidio della Fondazione Slow Food per la biodiversità alimentare, e di cui Cinzia è la più giovane produttrice. Stagionale, questa ricotta si prepara da novembre a luglio e matura dai quindici giorni ai cinque mesi. Nata da una delle attività in passato alla base dell’economia locale, ovvero la pastorizia, la ricotta salata della Valnerina si riconosce dall’assenza di buccia e dalla pasta bianca e compatta. Veniva conservata, durante la transumanza, in una sacca di tela stretta all’imbocco: dà lì la sua tipica forma a pera.

La tradizione la vuole coperta non solo con sale ma anche di crusca ed erbe spontanee, che ne favoriscono la conservazione. Si degusta fresca, con olio e pepe, oppure stagionata, grattugiata sull’acquacotta umbra, un piatto a base di pane casereccio raffermo, imbevuto in una zuppa di pomodori e cipolle, aromatizzato con qualche foglia di menta. Cinzia ci fa assaggiare la ricotta in versione fresca e una selezione dei suoi formaggi, un po’ di confettura e del miele, su rustici tavolini che in primavera e in estate ospitano gli «aperi-country», saporiti aperitivi con formaggi, vini e altri prodotti artigianali della zona. «Mi piace fare sistema. Abbiamo tante eccellenze qui», ci racconta la giovane casara la cui storia mette allegria. Sa di fatica, di resistenza, ma anche di leggerezza.

«Ho iniziato nel 2012. La spinta è stato il mio grande amore per gli animali e per l’attività di famiglia: mio padre Dante allevava agnelli da carne a uso familiare». A dare il via a questa estasi casearia in realtà è mamma Carla. «Avevamo latte in abbondanza, così si mise a produrre del formaggio. Si è sparsa la voce e hanno iniziato a chiedercelo in tanti. Dandole una mano capii che ero a una svolta e decisi di farmi coraggio. Acquistammo i primi duecento capi: pecore sarde e francesi di razza Lacaune, e iniziammo con pecorino e ricotta».
Intanto arriva Aurora, tre anni e mezzo. La bambina di Cinzia sta con lei dopo la scuola materna, in una fattoria didattica tutta per lei, fatta di agnellini e pony, «come me ama il contatto con gli animali, è sempre in prima fila ad accudirli». Tutto questo affetto si traduce in latte eccellente prodotto da seicento capi che pascolano, per dieci mesi l’anno, sotto olivi secolari e brucano erba fresca. «Ho stretto un patto con gli ovicoltori della zona. Integro la loro alimentazione con cereali prodotti da noi, nei vari ettari che teniamo in affitto per il seminativo. Un tempo in estate, sugli altipiani, arrivavano anche greggi di altre regioni. I locali invece, da settembre, spostavano gli animali verso le pianure e i pascoli laziali, dove il clima è più mite». Intanto arriva un paniere di latticini: è ricco, invitante, creativo e anche molto stagionale: oltre alla celebre ricotta ci sono il pecorino fresco, il Morbidello, un formaggio a pasta fondente condito con noci oppure con olive e peperoncino, un ottimo yogurt, «una cliente mi ha suggerito di aggiungerlo all’impasto per la piadina: è stata una scoperta», la mozzarella e la panna cotta. Non manca nemmeno lo stracchino di pecora, il cacio- ricotta, il primosale classico e quello aromatizzato. Infine c’è il cuore di robiola muffettato, delizia dalla romantica forma con crosta di muffa edibile, il Penicillium Candidum. Siete incuriositi? Le porte sono aperte. Cinzia ama l’accoglienza.
«A richiesta, organizziamo un laboratorio che ho intitolato “Impariamo a fare il formaggio”, un’iniziativa aperta a gruppi di famiglie interessati alla tradizione secolare dei pastori umbri». Si lavora tanto qui, ma anche ci si diverte. «Lo scorso Natale ho preso parte al Presepe vivente di Castel Ritaldi nei panni di una casara (ride, ndr). Preparavo la ricotta in diretta. Io non cambio mestiere neanche nei giorni di festa». La sveglia di Cinzia è all’alba, i tempi della campagna sono implaca- bili ma su di lei scivolano con brio. Merito anche del supporto del marito Alex. I progetti sono tanti, la voglia di sperimentare pure. «Ho preso una mucca. La speranza, quando partorirà, è di avviare una rivendita di latte fresco. Per la prossima Pasquetta invece, tempo permettendo, è in programma il Pranzo del Pastore: oltre ai formaggi anche salumi locali e fave. In zona, peraltro, c’è la fava cottòra, altro presidio Slow Food dalla buccia morbidissima». Volete prenotarvi? Trovate le informazioni su agricolacinzialattanzi.it ma, per raggiungere la nostra casara meglio i social. «La gente mi scrive lì, segue la vita della fattoria. Ci scambiamo consigli». E Cinzia, da buona millennial, si racconta, tra reel e post.

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