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Jeong Kwan, la monaca-chef, a MasterChef: 7 anni per un piatto

La Cucina Italiana

Jeong Kwan è una monaca coreana buddhista, ma è anche la chef che nel 2022 ha ricevuto l’Icon Award agli Asia’s 50 Best Restaurants: ospite della puntata di MasterChef del 23 febbraio, ha spiegato la propria filosofia di cucina templare profondamente a contatto con il corpo, la mente, la natura e l’ingrediente. 

Chi è Jeong Kwan, la monaca chef

Jeong Kwan è nata nel 1957 a Yeongju, nella provincia del Gyeongsang settentrionale in Corea del Sud, ed è cresciuta in una fattoria. A 17 anni, dopo la perdita della madre, ha lasciato la propria casa per entrare nel tempio di Baegyangsa. Qui, quello che era iniziato come un compito al monastero, la cucina, col tempo è diventato per Jeong Kwan il modo principale di praticare il buddhismo e di comunicare con il mondo. «Per me il cibo è la base per connettersi con le persone», ha spiegato a MasterChef.

Dal tempio al mondo

Jeong Kwan non ha una formazione professionale e nemmeno un ristorante: la monaca cucina per i religiosi e i visitatori occasionali del tempio, ma la sua pratica zen applicata al cibo esercita una grande influenza sulla gastronomia internazionale da quando, nel 2015, lo chef Eric Ripert del prestigioso ristorante Le Bernardin di New York, dopo averla conosciuta nel tempio l’ha invitata a cucinare per un evento speciale nella Grande Mela. Nel 2017, Jeong Kwan è stata anche protagonista di una puntata della serie Chef’s Table di Netflix che ha documentato la sua giornata al tempio tra cucina e meditazione. 

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La cucina templare di Jeong Kwan

Jeong Kwan ha scelto di fare una cucina vegana nel rispetto del benessere della Terra e di tutti i suoi esseri e le verdure che utilizza sono quelle che crescono nell’orto del tempio di cui «è la natura a prendersi cura». Oltre a non cucinare carne, pesce e latticini, la monaca evita anche le cinque “spezie pungenti” (aglio, cipolle, scalogno, erba cipollina e porri), mentre predilige ingredienti come curcuma, pepe di Sichuan e shiso, che secondo lei mantengono la mente sveglia e vigile, pronta per la meditazione. 

Sette anni per un piatto

La sua cucina parte dalla connessione di mente e corpo con l’ingrediente per trasmettere energia positiva alle persone attraverso il cibo. Per far comprendere questo suo pensiero, la chef ha portato a MasterChef un piatto di funghi shiitake laccati con olio di semi di perilla: «Voi dovete essere l’ingrediente», ha spiegato ai concorrenti del programma. «Io divento fungo e fungo diventa me. Solo così comprendo l’ingrediente e posso creare e trasmettere qualcosa». Insieme ai funghi, una radice di loto messa in salamoia per un anno e poi nella salsa di soia per sei anni, praticamente una preparazione che ha richiesto in totale sette anni di tempo; e il tempo è, appunto, è un altro “ingrediente” essenziale della cucina del tempio. 

Crostata Arlecchino – Ricetta di Misya

Crostata Arlecchino - Ricetta di Misya

Innanzitutto preparate la frolla: sbattete uova e tuorlo con lo zucchero a velo, quindi incorporate prima l’olio e la vaniglia, poi farina, fecola e lievito setacciati.
Avvolgete il panetto con pellicola per alimenti e lasciare riposare in frigo per 1 ora.


Preparate la crema di ricotta: unite in una ciotola ricotta, zucchero e fecola e lavorate fino ad ottenere una crema omogenea.

Assemblate la crostata: foderate bordi e fondo dello stampo imburrato con circa metà della frolla, distribuite qualche cucchiaio di marmellata sul fondo e coprite poi con la crema di ricotta, livellando bene la superficie, infine create la classica decorazione a losanghe con striscette sottili della pasta frolla rimasta e pareggiate i bordi.
Cuocete per circa 40 minuti (o fino a doratura) in forno ventilato preriscaldato a 180°C, spostando la crostata sul ripiano più basso del forno per gli ultimi 5-10 minuti di cottura, poi sfornate e lasciate raffreddare completamente.

Create una maschera di Carnevale con gli avanzi di frolla e cuocete per 10-15 minuti o fino a doratura, sempre a 180°C (potete aprire l’anta del forno mentre cuoce la crostata e cuocerle insieme, tanto non è un dolce lievitato), quindi fate raffreddare completamente.

Preparate la glassa sbattendo l’albume con zucchero e limone, quindi coloratela a piacere.

Aggiungete la glassa colorata in tutte le losanghe di farcia a vista lasciate dalle strisce decorative, poi glassate e aggiungete anche la maschera (potete incollarla con un po’ di glassa, se volete), quindi lasciate asciugare completamente.

La crostata Arlecchino è pronta, non vi resta che servirla.

Enzo Ferrari al Cavallino di Maranello e le sue ricette del cuore | La Cucina Italiana

Enzo Ferrari al Cavallino di Maranello e le sue ricette del cuore
| La Cucina Italiana

Si torna a parlare di Enzo Ferrari anche grazie a un film in uscita, e la mente corre subito al Ristorante Cavallino di Maranello, in provincia di Modena, un simbolo della leggenda Ferrari fin dal 1942, anno in cui furono rilevati i terreni di fronte alla fabbrica con la piccola casa colonica, dando vita alla mensa aziendale che poi diventò locale pubblico nel 1950. L’ingegnere Enzo Ferrari, che era nato a Modena nel 1898 e qui vi morì 90 anni dopo, riceveva i collaboratori al Cavallino, amando fermarsi a pranzo con i suoi ospiti e gli amici più stretti. Si concedeva sempre un pasto frugale e, solo nei fine settimana, un bicchiere di Lambrusco di fronte allo schermo accesso sul Gran Premio di Formula 1. Il Drake discuteva di strategie con i suoi uomini più fidati, parlava di attualità e si rilassava preferibilmente con tagliatelle e filetti, espressione di un menù della tradizione quasi interamente emiliana e senza alcun orpello.

I menù decisi da Enzo Ferrari

Che fossero al suo Cavallino o altrove, i pasti che Ferrari offriva ai propri ospiti riflettevano sempre le sue radici modenesi, delle quali era fiero e dalle quali non voleva discostarsi. Abbiamo per esempio traccia della “distinta” (un termine desueto che indica il menù) del cibo offerto dalla “Scuderia Ferrari ai suoi Piloti e Collaboratori” in occasione di una cena presso il Ristorante Cavaliere Arturo e Romeo Boninsegna di Modena nel 1931: Tortellini alla Modenese, Scaloppe e “Flam” all’italiana, Zampone di Modena “guernito”, Stracchino della Duchessa, Frutta di stagione, formaggi e Caffè con Sassolino Caselli, il tipico ammazzacaffè della provincia sud di Modena.

Oppure il menù di quella che presumibilmente era la cena di Natale dei dipendenti Ferrari presso lo storico Ristorante Fini di Modena, il 12 di dicembre 1964: galantina e polpettone (interessante vedere come, negli anni 60, le voci dei menù si fanno con le minuscole), tortellini in brodo, pollo e manzo bollito con salsa verde, zampone con purè di patate e fagiolini bianchi, formaggio grana e semifreddo al caffè, frutta e caffè. Bevande: lambrusco riserva secco, spumante brut, sassolino toschi.

Il povero Enzo Ferrari, molto spesso, di questi menù riusciva a gustarne solo il profumo perché tenuto in costante osservazione dai suoi medici; era tuttavia sua cura la soddisfazione del palato dei suoi ospiti. Anche per il giorno del proprio compleanno al Cavallino, dove (non è dato sapere l’anno esatto) il menù prevedeva: Tortellini Cavallino alla panna, Lasagne alla Cardinale, Zampone di Modena con fagiolini, Nodino di vitello con purè e verdure al forno, Torta del compleanno e caffè.

Le ricette del cuore di Enzo Ferrari

Pur amando tutta la cucina modenese, Enzo Ferrari aveva alcune ricette del cuore, come ha ricordato lo scrittore Franco Gozzi nel libro del 2021 Ferrari a tavola. Cibo, donne e motori del Drake, nei ricordi di Franco Gozzi (Fucina Editore). Il suo cuore palpitava al cospetto dei grandi primi di Modena, come i Turtloun ed ricòta (i tortelloni di ricotta), i Turtlein in brod (tortellini in brodo), le Taiadél al ragù (tagliatelle con ragù) e la Gramégna con la sulzéza (gramigna con la salsiccia).

Riportiamo qui, tratta dal libro, la ricetta dell’ultimo piatto, nella maniera che piaceva a Enzo Ferrari. La gramigna con la salsiccia è un piatto ricco e confortevole, piuttosto invernale, tra tutti forse il meno conosciuto fuori dai confini della città; è semplice da realizzare, ma solo se la materia prima è selezionata con cura.

Gramégna con la sulzéza (gramigna con la salsiccia)

Ingredienti per 4 persone

Per la pasta

400 g di pasta gramigna

Per il condimento

200 g di salsiccia
30 g di burro
1/4 di cipolla
1 bustina di zafferano
1 mestolo di brodo
formaggio Parmigiano Reggiano 24 mesi
sale e pepe

Procedimento

Far soffriggere la cipolla nel burro. Aggiungere la salsiccia spellata e sbriciolata. Unire il brodo con lo zafferano diluito, sale e pepe. Cuocere lentamente per 30 minuti.

Cuocere la pasta gramigna, scolarla e condirla con il sugo. “Innevare” con il parmigiano grattugiato.

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