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Da visitare nel 2022: Chioggia, Courmayeur e Napoli 

Da visitare nel 2022: Chioggia, Courmayeur e Napoli 

Sono le località da visitare secondo il New York Times, che noi confermiamo anche per la bontà del cibo: ecco la top 5 dei piatti più tipici

Chioggia, Courmayeur e Napoli. Sono queste le località italiane incluse nella lista dei 52 luoghi del pianeta da visitare nell’anno 2022 appena cominciato secondo il New York Times. Il fil rouge della top parade stilata dall’autorevole quotidiano americano è quello del turismo sostenibile, ovvero quei luoghi dove anche “i visitatori possono fare una differenza (…), destinazioni di viaggio per un mondo cambiato”, si legge tra le motivazioni. La differenza la fa anche il cibo, da sempre tra le prime attrazioni per i turisti stranieri che vengono nel nostro Paese. 

Chioggia, il sapore della laguna 

“Costruita su un agglomerato di isole della laguna veneta, con edifici secolari che sorgono dai canali in tutto il loro splendore decadente, Chioggia è chiamata la “piccola Venezia”. La gente del posto non è d’accordo: semmai, dicono, è la vicina Venezia che dovrebbe essere descritta come la più grande sosia di Chioggia, ed è vero, Chioggia ha origini più antiche”. Anche la tradizione culinaria vanta una lunga storia legata perlopiù alla pesca, confermato dall’importanza del Mercato Ittico di Chioggia, e da alcuni piatti tipici locali. (Posizione in classifica: 1)

– Sarde in saor, sardine fritte con cipolle bianche di Chioggia cotte in aceto di vino bianco; 

– Bigoli in salsa, pasta lunga con un sugo di acciughe salate; 

– Peoci in cassopipa, cozze cucinate con cipolla e aglio; 

– Suca risi, minestra di zucca con chicchi di riso; 

Polenta e schie, piccoli gamberetti fritti tipici della laguna veneta. 

Courmayeur, il sapore della montagna 

“Questa affascinante cittadina ai piedi del Monte Bianco, in una regione storicamente francofona d’Italia, ha da tempo cercato di trovare un equilibrio tra turismo e conservazione. Decenni prima che il turismo di massa diventasse allarmante, Courmayeur aveva iniziato a limitare in estate l’accesso alle sue due alte valli, la Val Veny e la Val Ferret, riducendo il numero di ingressi anche nelle osterie locali, note per la loro polenta concia — polenta cremosa con fontina locale”. Non solo polenta, perché è il territorio il segreto dei prodotti valdostani. Aria pura, acqua incontaminata dei ghiacciai e terra di montagna conferiscono il sapore deciso ai salumi, carni, formaggi e ai vini d’alta quota, come il Vallée d’Aoste Blanc de Morgex et de La Salle. (Posizione in classifica: 13)

– Chnéfflene, bottoncini di pastella cotti in acqua bollente e conditi con fonduta, panna e speck;

– Chnolle, gnocchetti di farina di mais, da mangiare in un brodo di carne di maiale caldo; 

– Seupetta à la valpelleunèntse, la zuppa della Valpelline con pane nero, cavoli e fontina; 

–  Tartiflette, ricetta della Savoia con formaggio reblochon, patate, cipolle e pancetta; 

– Bouilli à la saumure, un bollito di carne salata. 

Napoli, il sapore del mare 

“Vedi  Napoli e poi muori, si dice, il che significa che questa bellezza del Mediterraneo dovrebbe essere inclusa nella lista dei desideri di tutti. Ma purtroppo la città ha di fronte un futuro precario. Senza alcun intervento, a causa dell’alta densità di popolazione, secondo un recente rapporto Napoli patirebbe 55 giorni di caldo estremo all’anno entro il 2049 e 93 giorni entro il 2081. La buona notizia è che alcuni locali si stanno rimboccando le maniche. Un gruppo di residenti nel quartiere popolare di San Giovanni a Teduccio ha creato una comunità di “energia equa” per fornire elettricità pulita e gratuita alle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà, con un sistema di 166 pannelli solari”. A parte le belle iniziative a sostegno di una città migliore e sostenibile, a Napoli “si muore” anche per il cibo. Oltre ai grandi classici, dalla pizza alla sfogliatella al babà, ecco quali sono alcuni piatti della tradizione forse meno noti, perlopiù primi a base di pasta (al dente). (Posizione in classifica: 34)

– Sartù di riso, sformato con ragù e piselli; 

– La genovese, ziti con ragù bianco di carne e cipolla;  

– Spaghetti alla Nerano, con zucchine fritte e basilico;

– Casatiello, torta salata di pane con sugna e… molto altro;  

– Pasta e patate, con pasta mista e tanta provola, molto asciutta. Divina. 

Ricetta Toast con tonno, cipolla rossa e pomodorini

Ricetta Toast con tonno, cipolla rossa e pomodorini
  • 120 g filetti di tonno sott’olio
  • 90 g formaggio fresco spalmabile
  • 30 g spinaci novelli
  • 6 fette di pancarré ai tre farri
  • 1 cipolla rossa
  • pomodorini secchi sott’olio
  • maionese
  • sale
  • olio extravergine di oliva

Per la ricetta del toast con tonno, cipolla rossa e pomodorini, sbucciate la cipolla e tagliatela a rondelle spesse circa 5 mm. Arrostitele in padella come bistecchine, con un filo di olio e un pizzico di sale, per circa 2 minuti per lato.
Spalmate tutte le fette di pane con un po’ di maionese.
Voltatele e spalmate 3 fette con il formaggio. Proseguite con un ciuffo di spinaci, il tonno, la cipolla e 4 pomodorini per ciascun toast.
Chiudete i toast e rosolateli in padella per circa 2 minuti per lato a fuoco medio, finché non si forma una crosticina croccante.

Ricetta: Joëlle Néderlants, Testi: Laura Forti; Foto: Riccardo Lettieri, Styling: Beatrice Prada

Ricerche frequenti:

Capodanno in Sicilia: il pranzo dello chef, ricetta compresa

Capodanno in Sicilia: il pranzo dello chef, ricetta compresa

Dal sugo del falso magro alla pasta ‘ncasciata fino al buccellato, il pranzo del Primo dell’Anno di chef Procopio – ricetta del cavolo trunzu di Aci in regalo

“Il pranzo del Capodanno ha il profumo del sugo del falso magro ma anche della cannella, delle mandorle tostate e dei fichi”. Sono i ricordi di infanzia che si perpetuano e rivivono nella memoria ma anche nei piatti, quelli di Gaetano Procopio, executive chef del Relais San Giuliano a Viagrande, ai piedi dell’Etna.

Il Primo dell’Anno conserva la sacralità del rito delle festività ma anche l’adrenalina e l’effervescenza di un nuovo anno che sta per arrivare. Le tavole siciliane sontuose e strabordanti di cibo, narrano l’epopea  gastro-sicula di tradizioni millenarie. Una tessitura fatta di contaminazioni, stratificazioni culinarie lasciate in eredità dalle dominazioni succedutesi nell’Isola. Ogni piatto è legato ad un ricordo, ad un episodio, ad una narrazione storico-leggendaria. 

Anche il pranzo del Capodanno siciliano non si sottrae allo storytelling antropologico e si intreccia con la storia popolare. Nel dialogo con lo chef Procopio, che con i lettori di La Cucina Italiana ha condiviso il suo pranzo di Capodanno e la sua ricetta, ci addentriamo nelle cucine siciliane, in costante fermento durante il periodo delle festività, in vista della grande bouffe del primo dell’anno.

Chef Gaetano Procopio

“Si comincia dall’antipasto- ci racconta lo chef- dove non possono mancare le crispelle di acciughe o ricotta, la zucca in agrodolce,  il baccalà fritto, l’insalata di pesce stocco, la caponata siciliana. Immancabili gli evergreen delle tavole siciliane come i salumi, formaggi e le scacciate”.

Gli appetizers, abbinati alle bollicine siciliane, rappresentano un warm up degno della migliore tradizione isolana. I primi piatti, sono un omaggio, senza riserve, all’espressione più autentica dell’Isola. Procopio non ha dubbi: “la pasta del pranzo di Capodanno è una scelta tra lasagne, anelletti al forno, pasta n’casciata. Personalmente, preparerò le lasagne, un classico che non deve mancare per iniziare il nuovo anno”.

Una maratona culinaria in slow motion, la tavola di inizio anno è un auspicio di salute e gioia, che in Sicilia diventa ancora più altisonante e abbondante. Si arriva ai secondi con la gioia e l’entusiasmo dell’attesa, ben ripagata e soddisfatta. “Il simbolo del pranzo del Capodanno è per me tutto nel falso magro, avvolto nella cotenna di maiale e messo al sugo”- commenta lo chef Procopio.  “In Sicilia lo chiamiamo “bruciuluni” ed è il piatto che mi riporta indietro alla mia infanzia, quando mia nonna iniziava a cucinare il falso magro la sera del 31, per poi svegliarsi all’alba ed inondare la cucina di profumo di sugo”.

Polpo al sugo

I contorni sono rigorosamente di verdure stagionali e locali, preferibilmente selvatiche come broccoli, senape, caliceddi, cavolo trunzu di Aci, quest’ultimo, un cavolo rapa coltivato negli orti di Aci, oggi presidio Slow Food.

Come ogni chef siciliano che si rispetti, anche Procopio fa del ricordo culinario un vivido presente, siglando un patto per restituire ad ogni piatto siciliano il dono dell’eternità.

Mandorle, cioccolato, fichi secchi, pistacchi, mandarini siciliani, ci guidano e ci preparano verso il dolce di inizio anno. Siamo vicini al gran finale, che per Procopio ha un unico nome e sapore: quello del Buccellato siciliano, “il vero dolce siciliano simbolo delle festività”, aggiunge lui. Un dolce a forma di ciambella, preparato con una pasta semi-frolla, farcito con fichi secchi, mandorle, cioccolato fondente, cannella, scorze di arancia e cedro canditi, pistacchi, noci, cacao amaro in polvere. Si completa l’opera con una guarnitura di ciliegie candite e granella di pistacchio.

Doveroso un abbinamento con un vino dolce siciliano: la Malvasia delle Lipari o il Passito di Pantelleria.

La memoria fa ancora un altro viaggio prima del brindisi finale: quello che riporta lo chef Procopio alla decorazione della tavola di Capodanno. “Tutto intorno è un ‘esplosione di profumi: mandarini siciliani, mandorle, torroni, pistacchio, una stella di Natale come centrotavola ci ricorda la festività”.

Chef Procopio e il cavolo trunzu di Aci

L’esordio dello chef Procopio è in piena adolescenza, all’età di sedici anni. Fu allora, che iniziò il suo percorso a Catania e provincia, prima in pizzeria e successivamente nelle cucine di ristoranti e alberghi di Taormina. Dopo una gavetta preliminare nell’Isola, lo chef Procopio approda a La Pergola di Heinz Beck, dove trascorre cinque anni altamente formativi. “Lo chef Heinz Beck mi ha insegnato il rispetto della materia prima e una grande tecnica nel lavorare gli ingredienti”. Il ritorno in Sicilia è nelle cucine di Casa Grugno di Taormina e poi in quelle dell’esclusivo Hotel Villa Sant’Andrea del gruppo Belmond.

Ci sono ancora due anni come resident chef in uno dei posti più charming della Sicilia, Monaci delle Terre Nere, prima di approdare nel 2021, al Relais San Giuliano, un boutique hotel de charme a Viagrande, non lontano dal vulcano Etna. In questa dimora storica, tra le più belle in Sicilia, Procopio dirige la brigata del Ristorante I Palici, di recente premiato con due forchette del Gambero rosso.

Chef Procopio raccoglie il cavolo trunzu di Aci

“Mi definisco uno chef contemporaneo- commenta lo chef-perché la mia cucina non stravolge l’ingrediente ma lo rispetta nella sua essenza pur declinandolo in diverse espressioni”. Verdure dell’orto, carne, pesce ma soprattutto una grande tecnica e disciplina che consentono a Procopio di lavorare le materie prime con grande maestria senza estremizzarle e portarle lontano dalla loro matrice.

Come quando ha ideato e realizzato un menù vegetariano dedicato interamente al cavolo trunzu di Aci,  un ortaggio particolarmente amato dallo chef perché  versatile, dalle straordinarie proprietà e soprattutto risorsa locale. Ninfea di Cavolo Trunzu” è il piatto che più mi rappresenta, commenta Procopio, che ha condiviso la ricetta con i lettori. Si tratta di carpaccio di cavolo trunzo marinato in aceto con pepe di Sichuan, polvere di cavolo e salsa di foglie di cavolo trunzo.

“Oggi essere contemporanei significa reinterpretare il passato ma senza stravolgerlo, aggiungendo la contemporaneità della tecnica insieme al totale rispetto della materia prima”.

Ricetta: Ninfea di Cavolo trunzu di Aci 

Ninfea di cavolo trunzu di Arci

Ingredienti:
Cavolo trunzu di Aci
Aceto balsamico bianco 40gr
Vino bianco carricante 20gr
Sale 2gr
Pepe nero 1gr
Olio evo 130 gr
Olio di sesamo 20 gr
Sesamo nero 1gr

Procedimento:
Togliere le foglie, e passarle ad un estrattore. Pelate i gambi e tagliarli a losanga e la parte centrale in affettatrice, marinarli in vino bianco, aceto balsamico bianco e aceto. Con le bucce della parte centrale essiccate a 60 gradi per una notte, ricavare una polvere violacea. Preparare un dressing con 25 gr di marinatura, olio di sesamo, olio evo, sale e pepe.

Testo raccolto da Liliana Rosano

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