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La carbonara liquida dello chef Valerio Braschi esiste davvero

La carbonara liquida dello chef Valerio Braschi esiste davvero

Lo chef Valerio Braschi, che l’ha inventata, ci ha spiegato come si prepara e come è nata l’idea di questo distillato. Che non è il primo

Sembra acqua, ma sa di carbonara. Dopo la lasagna in tubetto, la carbonara liquida è l’ultima trovata di Valerio Braschi, vincitore della sesta edizione di Masterchef, nel 2017. 23 anni, originario della provincia di Rimini, è il titolare del ristorante 1978, a Roma. È lì che ha servito ai suoi clienti, come amuse-bouche, prima degli antipasti, la carbonara liquida, uno shottino analcolico, un vero e proprio distillato di carbonara.

Non è uno scherzo, vero?
«Certo che no. Ho comprato il rotavapor, un distillatore, e ho provato a distillare gli ingredienti che utilizzo nel ristorante. La carbonara liquida non è il primo distillato che ho proposto».

Quali sono gli altri?
«I distillati di pasta al pesto, di cacio e pepe e anche di pizza. La pasta al pesto liquida è un distillato di estratto di basilico molto concentrato, allungato con brodo di parmigiano e pinoli tostati, il tutto frullato. Cacio e pepe si fa con brodo di pepe e brodo di pecorino, ovviamente distillati, e la pizza liquida è un distillato del sugo di pomodoro che facciamo noi in estate, di acqua di mozzarella affumicata e di una sorta di pasta per pizza molto ben cotta, in modo che si senta bene l’odore della crosta».

Davvero la carbonara liquida sa di carbonara?
«Sì, e chi l’ha assaggiata lo può confermare: è un distillato non alcolico, ma gli odori rimangono nel composto e si sentono in modo deciso».

Come l’ha preparata?
«Ho frullato uno zabaione al pecorino molto stagionato e del guanciale arrostito, e ho allungato il composto con un infuso di pepe nero cotto a bassa temperatura per 6 ore. Poi ho distillato il composto e sono riuscito a riprodurre il profumo della carbonara. Gli ingredienti devono venire bilanciati molto bene».

Tre ore di lavoro per produrne 300 millilitri: avrà un prezzo esorbitante.
«In realtà non ho mai servito come portata la carbonara liquida ai miei clienti: la regalavo come amuse-bouche. E devo dire che è stata apprezzata da tutti: per me il feedback è fondamentale».

Online, però, sono arrivate anche delle critiche.
«Se una persona prova una portata e la critica, il suo parere mi interessa. Chi parla senza avere assaggiato, invece, è come chi vuole discutere di un libro senza averlo letto».

Qualcuno dice di preferire la carbonara classica.
«Chi vuole mangiarla può trovarla nelle trattorie, che sicuramente la sanno preparare a regola d’arte. Noi proponiamo piatti innovativi, anche giocando con le ricette tradizionali. La carbonara classica non si addice al tipo di cucina che presento. E con la carbonara liquida non ci si deve sfamare».

Chi vuole assaggiarla la trova nel suo ristorante?
«Non più: abbiamo cambiato menu, come facciamo ogni tre mesi. Adesso proponiamo il bitter di melanzana, fatto con l’acqua ambrata rilasciata dalle melanzane al forno, mixata con salsa di soia, angostura, riso affumicato e birra acida. Viene servito freddo di frigo e apre lo stomaco».

E se qualcuno le chiedesse le sue ricette innovative?
«Non avrei problemi a darle: la cucina è condivisione, e se qualcuno si ispira a me, è una gioia. Fare da mangiare significa anche scambiarsi idee, e questo è il bello della cucina: avvicina tutti».

 

Le giovani donne del vino siciliano

Le giovani donne del vino siciliano

Giovani e tenaci: Giulia Monteleone, Enrica Spadafora, Federica Fina, Giovanna e Rosanna Caruso, Clementina e Carmen Padova. Sono i nuovi volti dell’enologia siciliana, di cui sentiremo presto parlare

Cosmopolite, giovani e iperconnesse. Sono le ragazze del vino siciliano: 7 vignaiole di nuova generazione – tutte under 35 – pronte a conquistare i critici più severi e i winelover di tutto il mondo. Valorizzazione dei vitigni autoctoni (non solo Nero d’Avola, ma anche Grillo, Moscato Perricone, Catarratto e Nerello Mascalese) e pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente sono i due imperativi alla base della filosofia produttiva delle cantine che rappresentano. Senza dimenticare l’importanza per i social network, strumento prediletto per comunicare con i coetanei. Ecco, dall’Etna a Marsala attraverso l’arazzo di vigneti dell’entroterra, le nuove ambasciatrici dell’enologia siciliana di cui presto sentiremo parlare.

1. Giulia Monteleone – Monteleone vini dell’Etna

Segnalata da “Forbes” tra le vigneron d’Europa da tenere d’occhio, Giulia Monteleone è una fuoriclasse nel panorama vinicolo siciliano. In soli due anni ha ottenuto importanti riconoscimenti dalla più autorevole stampa di settore. Ultimo, in ordine di tempo, il Tre Bicchieri del Gambero Rosso, conquistato con l’etichetta Qubba, un Etna Rosso Doc da uve di Nerello Mascalese coltivate ad alberello nei suoli lavici del vulcano, a’Muntagna come la chiamano i locali. Nata e cresciuta a Palermo (classe 1989), si innamora dell’Etna e insieme al compagno enologo Benedetto Alessandro e al supporto di papà Enrico la giovane Giulia acquista nel 2017 due ettari di vigna vecchia nel comune di Castiglione di Sicilia (Catania). Siamo nel versante nord-est, una delle migliori aree al mondo per la viticoltura. Il contesto pedoclimatico è infatti unico: temperature di montagna a latitudini mediterranee, un mix che regala vini sorprendenti, eleganti e dal fortissimo carattere identitario. Una scelta, quella di diventare vignaiola, che ha drasticamente cambiato la vita di Giulia, fatta ora di tanti sacrifici come sveglie all’alba e ore in piedi tra i filari, sia d’inverno con la neve sia d’estate sotto il sole. Uno sforzo poi ripagato dalla gioia di vedere il risultato di tanto lavoro nelle bottiglie a marchio Monteleone vini dell’Etna. «La nostra non è un’impresa di famiglia», afferma Giulia. «Più semplicemente è una famiglia: prendersi cura del vigneto, la raccolta manuale e i processi di vinificazione sono entrati così prepotentemente nelle nostre esistenze da non riuscire più a tracciare una linea di demarcazione tra vita privata e lavoro». C’è molta attesa per la prossima vendemmia (sull’Etna si inizia a raccogliere più tardi che nel resto della Sicilia, solitamente verso ottobre), quando saranno ultimati i lavori della nuova cantina: «Non vedo l’ora di poter finalmente accogliere gli appassionati del vino, degustare insieme a loro i nostri Cru e promuovere le bellezze naturalistiche e paesaggistiche del Parco dell’Etna».

2. Enrica Spadafora – Dei Principi di Spadafora (Palermo)

Enrica Spadafora ha solo 25 anni, ma le idee molto chiare. Da grande vuole fare la vignaiola di professione, proprio come papà Francesco, nobiluomo vigneron tra i primi in Sicilia ad aver creduto nell’agricoltura in regime biologico. Oggi Enrica si divide tra Palermo, città nella quale è nata e cresciuta, e la tenuta di famiglia a Virzì, tra vigne e natura incontaminata dell’entroterra siciliano compreso tra Alcamo e Camporeale. Oltre alla passione per il vino, ha ereditato dal padre anche l’etica green – di cui entrambi vanno molto fieri – alla base della filosofia produttiva dell’azienda Dei Principi di Spadafora, con il delicato compito di comunicare questi valori soprattutto ai più giovani. E per farlo usa lo strumento preferito dai ragazzi della sua generazione: i social network. Un altro settore di cui si occupa è l’export, grazie al quale può girare il mondo per promuovere il vino siciliano e soddisfare così la sua passione per i viaggi. «Sono profondamente legata alla mia Sicilia e invece di andar via, come purtroppo sono costretti a fare molti miei coetanei, ho deciso di restare per dedicarmi al vino e alla terra. Può sembrare strano che alla mia età», continua Enrica, «una ragazza decida di passare così tanto tempo in campagna, eppure c’è una bellezza speciale nelle albe, nei tramonti, nel cambio delle stagioni e nei ritmi lenti della natura che mi ha sempre affascinato». Fin da piccola Enrica ha partecipato a tutte le vendemmie con papà Francesco, dalla potatura alla selezione delle uve, dalla vinificazione all’imbottigliamento e «ogni volta è sempre un’emozione unica». Dopo aver terminato gli studi universitari in Economia, si è dedica totalmente alla vita dell’azienda e sono già tantissimi i progetti che spera di realizzare. Primo fra tutti quello di potenziare l’offerta enoturistica attraverso visite, degustazione e soggiorni in cantina (a disposizione degli ospiti ci sono già degli appartamenti immersi nelle vigne) o, come ama definirla lei, «la mia casa-cantina». Il suo vino preferito non può che essere l’etichetta che porta il suo nome, Enrica, un elegante brut nature da uve Grillo, la varietà a bacca bianca più diffusa nella Sicilia occidentale.

3. Clementina e Carmen Padova – Riofavara

Per conoscere le prossime protagoniste dobbiamo spingerci più a sud, nel triangolo d’oro del barocco siciliano compreso tra Ragusa e Siracusa. Un territorio ricco di borghi gioiello, bianchi muretti a secco e filari di Malvasia, varietà principe in questo angolo dell’isola. Clementina e Carmen sono le figlie di Massimo Padova, fondatore della cantina Riofavara e presidente della Strada del vino e dei sapori del Val di Noto. Clementina (25 anni) è la sorella maggiore, dopo la laurea in Economia a Catania e la specializzazione a Parma in Trade and consumer marketing rientra in Sicilia per assecondare la sua passione per il vino: «È un prodotto vivo e ogni bottiglia racconta da dove veniamo, chi siamo, cosa facciamo e verso dove ci stiamo dirigendo». Carmen invece è ancora giovanissima, ha appena compiuto 19 anni e si è iscritta all’Università. Quella di Riofavara è una grande famiglia allargata, di cui fanno parte anche le persone dello staff che ogni giorno si prendono cura delle vigne e degli ospiti che soggiornano nel relais. Riofavara dispone infatti di quattro originali camere arredate con botti in legno, tappi di sughero e pallet trasformati in mobili, per vivere l’emozione di un’autentica wine experience. Entrambe le sorelle sono consapevoli della fortuna di essere nate e cresciute a diretto contatto con la natura e con dei genitori che le hanno sempre incoraggiate nelle loro scelte. Papà Massimo rappresenta un modello di vita da seguire, nel privato e nel lavoro, ed è stato proprio lui a credere nelle potenzialità delle figlie, tanto da affidare loro il lancio dei nuovi vini di Riofavara – di cui hanno curato tutti i dettagli, dalla grafica delle etichette alla scelta dei nomi – ottenuti da un blend di vitigni reliquia del territorio. Per queste due giovani wine ambassador il percorso è appena cominciato ma, c’è da scommetterci, ne sentiremo ancora parlare.

4. Giovanna e Rosanna Caruso – Caruso & Minini

Giovanna e Rosanna Caruso, rispettivamente classe 1988 e 1991, sono le sorelle alla guida dell’azienda Caruso & Minini, insieme all’amatissimo papà Stefano. La cantina si trova a Marsala, nell’estrema punta occidentale della Sicilia, città del vento, delle saline e del vino. Una famiglia di vignaioli da ben quattro generazioni che ha sempre supportato le due giovani nelle loro scelte, a cominciare dall’Università: Giurisprudenza per Giovanna, con la prospettiva di una brillante carriera forense, e Ingegneria per la piccola Rosanna. Ed è proprio durante gli anni universitari, trascorsi lontano da casa e dalla vigna, che non hanno saputo resistere al richiamo della terra. Oggi Giovanna e Rosanna sono pienamente coinvolte nella vita della cantina: la prima si occupa di export, settore fondamentale che rappresenta quasi l’80% del business aziendale, mentre Rosanna sfrutta il suo know-how per garantire il buon andamento delle attività di gestione e controllo. Due imprenditrici del vino in un settore che in Sicilia vede sempre più donne in prima linea, a differenza di falsi stereotipi secondo cui sia ancora appannaggio maschile: «Abbiamo scelto in autonomia di occuparci di vino, per decenni roccaforte degli uomini», affermano le Caruso. «E siamo felici di constatare come nell’ultimo ventennio la presenza femminile sia aumentata, anche se ciò non ci sorprende. Noi donne abbiamo infatti un’innata capacità di rapportarci con il mondo esterno e l’attitudine alla direzione e alla conduzione dell’organizzazione familiare. Da quando abbiamo deciso di essere delle imprenditrici vitivinicole non abbiamo mai avuto nessun ripensamento. Da bambine il momento della vendemmia era sempre una grande festa, e l’idea di averlo fatto diventare un lavoro è la soddisfazione più grande». Tra i progetti di cui le Caruso vanno più fiere c’è la creazione della linea Naturalmente Bio, quattro vini ottenuti dalle principali uve siciliane: Nero d’Avola, Grillo, Perricone e Catarratto.

5. Federica Fina – Cantine Fina

La cantina della famiglia Fina sorge su una gradevole collina che sovrasta la città di Marsala. Da qui lo sguardo si perde in un orizzonte sconfinato di vigneti, con il profilo delle Egadi a far da cornice. Giovanissima e solare, Federica Fina (classe 1990) è la figlia più piccola di Bruno – enologo che negli anni 80 ha contribuito alla valorizzazione in Sicilia dei vitigni internazionali e autoctoni – e insieme ai fratelli Marco e Sergio porta avanti il sogno dei genitori. Nata trent’anni fa in un giorno d’estate, non a caso la sua stagione preferita, Federica si trasferisce prima a Roma per conseguire la laurea in comunicazione d’impresa presso l’Università Sapienza e poi a Londra per un training formativo. A 24 anni fa ritorno a casa e inizia a muovere i primi passi nell’azienda di famiglia occupandosi di enoturismo, una scelta dettata dalla naturale propensione per le relazioni interpersonali. Segue personalmente i tour in cantina e le degustazioni guidate e i visitatori restano subito colpiti dalla sua energia. Nel giro di poco tempo diventa il volto di Cantine Fina: «Mi piace accogliere gli ospiti e farli innamorare della nostra storia promuovendo, sorso dopo sorso, la mia amata Sicilia». Parallelamente inizia a gestire anche i canali social e grazie a lei l’account Instagram è oggi seguito da più di 20mila followers, soprattutto giovani che si approcciano per la prima volta al mondo del vino e ne apprezzano il linguaggio fresco e diretto. Un talento, quello di Federica, che è stato riconosciuto anche dalla delegazione siciliana delle Donne del Vino per cui cura le attività di comunicazione web e le pagine social. Da brava sognatrice ha ancora tanti progetti da realizzare e in questo momento sta già pensando all’avvio della nuova stagione enoturistica. «Non vedo l’ora di poter tornare a organizzare nella terrazza della cantina gli appuntamenti musicali dell’estate, che richiamano ogni anno tantissimi winelover, e brindare con un calice di Kikè alla ripartenza». Kikè: l’etichetta più conosciuta dell’azienda che porta il proprio il suo nome o, meglio, il vezzeggiativo usato in famiglia e dagli amici.

» Focaccia al latte caldo

Misya.info

Innanzitutto preparate il lievitino: unite gli ingredienti in una ciotola e mescolate, quindi lasciate lievitare in un posto caldo per almeno 1-2 ore o fino al raddoppio.

Una volta raddoppiato il lievitino, mettete latte tiepido e farina in una ciotola, aggiungete il lievitino e iniziate a impastare, poi unite anche sale e olio e lavorate fino ad ottenere un impasto molto omogeneo.

Lasciate lievitare in una ciotola infarinata per almeno 2-3 ore o fino al raddoppio.

Riprendete l’impasto, riversatelo nello stampo leggermente unto, bucherellate la superficie con la punta delle dita e spennellate con latte, infine cuocete per circa 25 minuti in forno ventilato preriscaldato a 180°C.

La focaccia al latte caldo è pronta: lasciatela almeno intiepidire prima di tagliarla a fette e servirla.

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