Tag: ricette italiane dolci

Gli sgabei della Lunigiana – La Cucina Italiana

Gli sgabei della Lunigiana - La Cucina Italiana

Un fritto speciale tipico della Lunigiana che si può gustare anche a Milano. Con la ricetta originale

Chissà se quest’estate potremo andare in Lunigiana a mangiare gli sgabei. In caso non fosse possibile, vi raccontiamo prima che cosa sono e poi dove trovarli anche a Milano, insieme ad altri prodotti di questa terra magica, come i panigacci o i testaroli al pesto. Stiamo parlando di Testami, primo e unico locale di cucina lunigiana in città, aperto nel 2017, ma nato in realtà molto prima, da una storia d’amore.

Testami e l’amore per la Lunigiana

Della Lunigiana non ci si può non innamorare. È una terra di passaggio, accessibile solo in apparenza, poiché si svela solo a chi si dà la pena di lasciare l’asfalto e inoltrarsi qualche chilometro per le sue strade secondarie, quelle di breccia e terra battuta che portano in luoghi come i castagni di Camporaghena, o verso Zeri con i suoi agnelli e le sue patate, oppure intorno a Bagnone, alla scoperta della cipolla di Treschietto; o ancora a Fivizzano, tra i boschi in direzione del Passo del Cerreto. Ed è proprio qui che anni fa due venditori di tessuti, Piergiulia e Andrea Vitolo, milanesi doc, si innamorarono della Lunigiana e decisero di prendervi casa. Pur continuando a vivere a Milano, passavano le loro estati qui, trasmettendo l’amore per questa terra anche ai loro figli Marco e Simona. La Lunigiana divenne così la loro terra di appartenenza di cuore, tant’è che nel 2005 i due fratelli aprirono un locale proprio nel centro di Fivizzano: la paninoteca Brera. In seguito è stato più forte il desiderio di portare un po’ di Lunigiana a Milano, di far conoscere quel territorio ancora poco noto anche nella grande città, quella Toscana così fuori dall’iconografia più classica. L’idea iniziale era un food truck di soli sgabei, poi nel 2017 Marco aprì Testami, un piccolo bistrot con cucina e vendita di anche altri prodotti (e vini) della Lunigiana. Da gennaio in cucina c’è Dario Tonghini, originario di Piacenza, che dopo varie esperienze (tra cui anche quella da Carlo e Camilla), ha iniziato ad abbracciare la causa della Lunigiana. E a friggere gli sgabei alla perfezione.

Quell’infinito mondo delle paste lievitate fritte

Il mondo della paste lievitate fritte è tanto vario quanto antico. Sono secoli, infatti, che l’uomo frigge un impasto tanto semplice, a base di acqua, farina e lievito, per poi mangiarlo da solo o accompagnato da altri ingredienti. In apparenza gli sgabei potrebbero ricordare i più noti gnocchi fritti della confinante Emilia, o le crescentine bolognesi o, ancora, la panzanella di alcune zone della Toscana (dove non indica la preparazione sempre toscana a base di pane e pomodoro); così come la pizz’onta in Abruzzo e Marche, o a Napoli e Caserta, dove c’è un universo di paste fritte: dalle paste cresciute alle zeppole con le alghe, spesso regalate per strada, fino alle montanare con pomodoro e basilico, alle pizzelle senza lievito o agli angioletti più lunghi che si trovano sia dolci che con pomodorini e rucola. Non da meno il mondo arabo, come ad esempio in Tunisia, dove è frequente imbattersi in friggitori seriali di paste come la ftira. Ma non solo nel Mediterraneo: la pasta fritta è emigrata anche in Sud America, soprattutto in Uruguay e Argentina, dove si trova la torta frita, consumata più dolce con una spolverata di zucchero, o con il Dulce de Leche. Eppure, c’è qualcosa che rende gli sgabei unici e diversi da tutte le altre paste fritte.

Gli sgabei

Il nome deriva dal latino skabellum, che indica sia lo sgabello che la scarpa, probabilmente per la forma. Gli sgabei, infatti, hanno sempre una forma e una dimensione ben precisa che li distingue: 15 centimentri di lunghezza e 5 di larghezza. Inoltre, a differenza ad esempio dello gnocco fritto, la pasta all’interno rimane vuota: «non è facile, dice Marco, a volte non riesce nemmeno a noi!» Per questo sono fondamentali lo spessore e la lievitazione, di almeno 3 o 4 ore. A tal proposito Marco ha fatto una vera e propria ricerca antropologica, andando a chiedere trucchi e segreti alle signore che ancora lo preparano come una volta. Ma la risposta è stata quasi sempre la stessa: “a occhio, Marco, si fa tutto a occhio!». Il loro segreto, infatti, sta tutto nella manualità trasmessa da generazioni, dai tempi in cui le donne li preparavano come pranzo per i loro uomini che lavoravano nei campi, con la pasta avanzata dalla produzione del pane, poi fritta nello strutto. Oggi non si friggono più nello strutto per ovvie ragioni di salute, ma in realtà non è cambiato molto: gli sgabei si trovano ancora in tutta la Lunigiana, preparati soprattutto dalle signore in occasione di sagre e feste di paese, in particolare a Sarzana e dintorni, dove si mangiano come un panino, che fa da piatto unico. Nei ristoranti, invece, si trovano più come antipasti, in abbinamento ad altri prodotti; l’importante è che sempre di prodotti della Lunigiana si tratti, così sarà l’occasione per provare altre delizie di questa terra. Per Marco «la morte sua è con la salsiccia cruda, lo sgabeo che vendiamo di più», ma anche con formaggi e altri salumi quali pancetta, lardo locale, fatto con sale di Cervia (e non quello della vicina Colonnata). Ma il mare non è affatto lontano, per cui gli sgabei si trovano anche con le acciughe. Per i più golosi, invece, non manca l’abbinamento dolce con miele o cioccolato. Infine, se di abbinamenti si parla, immancabile è un calice di vino autoctono, come il Pollera. Ecco, questa è la Lunigiana di Testami, anche a domicilio.

Ricerche frequenti:

La biblioteca del lievito madre esiste davvero e si trova in Belgio

La biblioteca del lievito madre esiste davvero e si trova in Belgio

Sono oltre 125 gli esemplari provenienti da tutto il mondo conservati negli spazi del Center for Bread Flavour di Puratos. Ecco come visitarli anche in modo virtuale

Non soltanto cinema, scienze e arte contemporanea: anche sua maestà il lievito madre – per qualcuno sfida, per altri compagno fedele di questa lunga quarantena – può vantare un suo personalissimo museo. O meglio, una sorta di biblioteca, a tratti simile a una banca, realizzata e gestita da Puratos, azienda internazionale attiva nel settore della panificazione, della pasticceria e del cioccolato: lo spazio in questione sorge all’interno del Center for Bread Flavour di Sankt Vith, cittadina belga di 9mila abitanti sul confine con la Germania, e raccoglie oltre 125 tipologie di lieviti madre provenienti da 25 Paesi del mondo.

Foto: Puratos.

La biblioteca del lievito madre

Tutto ha inizio nel 2013, quando Puratos viene contattata da un panettiere siriano che chiede una sorta di “asilo politico” per il suo amato lievito madre: i suoi figli, eredi dell’attività familiare specializzata in biscotti di farina di ceci, hanno deciso di sostituirlo con un meno impegnativo lievito industriale, ma lui vuole comunque lasciare al mondo una traccia tangibile del suo prezioso alleato di panificazione. È qui che entra in scena Karl De Smedt, vero e proprio guru dell’argomento, che decide di avviare il progetto della Biblioteca del Lievito Madre. «Viaggiando per il mondo, Karl De Smedt aveva potuto già scoprire quanto i lieviti madre delle diverse aree geografiche fossero diversi tra loro», ci racconta Laura Cafasso, digital marketing & communication specialist di Puratos Italia. «Da qui la decisione di lanciare sul web l’iniziativa Quest for Sourdough: attraverso questo portale ogni panificatore avrebbe avuto la possibilità di candidare il proprio lievito madre per un posto stabile nell’archivio che Puratos stava costruendo in Belgio. Un qualcosa di molto simile alla Banca dei Semi delle Svalbard, in Norvegia, dove gli esemplari più preziosi di semenze vengono custoditi per essere protetti e tramandati alle generazioni future».
Le candidature avanzate attraverso la piattaforma web sono state così vagliate da De Smedt e dagli esperti dell’azienda: ogni lievito madre selezionato, perché giudicato come distintivo di una produzione degna di riconoscimento, è stato così prelevato attraverso uno speciale kit, analizzato a dovere e dunque inserito all’interno della biblioteca, con tanto di numero di riconoscimento e cerimonia di ingresso. Ad oggi, tutti i lieviti naturali presenti nel complesso di Sankt Vith sono mantenuti in condizioni ottimali in frigoriferi a 4°C, e vengono rinfrescati regolarmente con la farina originale con cui sono stati prodotti, per ricreare le condizioni originali del panificio. Senza alcuna alterazione rispetto alla loro versione originaria.

Foto: Puratos.

Le storie dentro il lievito

Il primissimo lievito madre a fare il proprio ingresso nella biblioteca belga è stato un esemplare italiano. Pugliese, per la precisione, utilizzato per la preparazione del celeberrimo pane di Altamura e alimentato con farina di grano duro. Ma le storie racchiuse nei frigoriferi di Sankt Vith sono davvero le più disparate, come racconta anche il New York Times: c’è il numero 100, giapponese, prodotto a partire dal sakè di riso; o il numero 72, messicano, costantemente alimentato con un mix a base di uova, lime e birra. Ma troviamo anche un originalissimo lievito madre canadese, il 106, in arrivo direttamente dalla fine dell’Ottocento e dalle storie di quei cercatori d’oro che giravano il continente nordamericano armati solo di speranza e di qualche provvista di sussistenza. Insomma, gli esemplari conservati nella Biblioteca del Lievito Madre di Puratos si presentano a tutti gli effetti come un album in barattoli a cavallo tra storia e tradizioni. «Il nostro spazio può ovviamente essere visitato di persona, contattando l’azienda e concordando il proprio appuntamento, ma in questo momento, a causa dell’emergenza sanitaria, è tutto rimandato», prosegue Laura Cafasso. «Per tutti gli appassionati che in queste settimane volessero approfondire le proprie conoscenze, però, è disponibile una visita virtuale molto dettagliata, con numerose testimonianze e svariati contributi video». Un modo prezioso, insomma, per ampliare le abilità apprese durante questa quarantena trascorsa tra forni e fornelli, che ci ha visti tutti quanti – almeno una volta – indossare orgogliosamente il grembiule del panificatore.

Foto: Puratos.

» Frittata alla feta – Ricetta Frittata alla feta di Misya

Misya.info

Tagliate la feta a cubettini e le olive a pezzetti.

Lavate i pomodorini e tagliate anche questi a dadini.

Sbattete le uova con pochissimo sale, quindi unite feta, parmigiano, pomodorini, olive e capperi e amalgamate.

Versate il composto nello stampo rivestito di carta forno e cuocete per 25 minuti circa ( o fino a doratura) a 170°C in forno ventilato già caldo.
In alternativa, cuocetela in padella antiaderente con poco olio e girandola quando l’uovo si sarà rappreso per far dorare anche il secondo lato.

La frittata alla feta è pronta, servitela calda, tiepida o anche fredda.

Proudly powered by WordPress