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Chef Alberto Basso è il nuovo Presidente JRE-Italia

La Cucina Italiana

«Fin da quando lavoravo al ristorante La Peca, un associato JRE storico, ho sempre guardato con profonda ammirazione a JRE-Italia. Così, il giorno in cui è arrivata la chiamata da parte del direttivo di allora, e ho fatto il mio ingresso in Associazione, per me è stato un sogno che si realizzava, una attestazione di valore e stima, nonché la possibilità di confrontarmi con tanti colleghi in Italia e all’estero. E oggi, che qualche anno è passato, esserne diventato presidente rappresenta un vero onore, un compito che porterò avanti con grande orgoglio e impegno, insieme al board, per continuare quello che è stato fatto fino ad ora e svilupparlo ulteriormente. Perché considero JRE-Italia come una famiglia e, in quanto tale, fulcro di rapporti e dialogo con colleghi diventati anche amici, di scambio reciproco e crescita basati su valori e ideali comuni».

Guida Michelin Italia 2024: promossi, bocciati e (finte) sorprese

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Ed eccola la Guida Michelin Italia 2024. Ma va detto, così come siamo un popolo di commissari tecnici (a meno di non odiare il calcio), allo stesso modo crediamo di essere (in questo caso parliamo di nicchia) gli ispettori della Michelin. Magari allenandoci con le recensioni di Tripadvisor. Comunque sia, non possiamo fare né le formazioni della Nazionale, né decidere sulle Stelle: per la cronaca, visto che ormai nella Serie A calcistica i giocatori italiani sono il 35% sul totale, appare ben più difficile il lavoro di Sergio Lovrinovich – direttore della Guida Michelin Italia – che quello del buon Luciano Spalletti, selezionatore degli Azzurri. Di ristoranti che vogliono entrare o tornare nel “salotto buono” della cucina ce ne sono decine e decine: nove volte su dieci restano al palo. La premessa, per ribadire che noi per primi ci divertiamo un sacco a fare pronostici sulla Rossa e, come tutti (addetti ai lavori e gourmet), ne azzecchiamo una parte, quando va bene.

Le Stelle

Lo hanno scritto mille volte, ma è giusto ripeterlo. Il fascino (non occulto) della Michelin è non seguire le mode, ma premiare la costanza. A parte che non sempre la Rossa fa seguire il dogma alla pratica, andiamo in controtendenza: talvolta è un errore perché ci sono decine di vecchi stellati fuori dal tempo non per gli arredi bensì per una cucina stanca e non di rado mal eseguita. Non è questione di creatività, né di restare fedeli al copione: si chiama restare sul pezzo, merita rispetto, ma non ha senso metterlo sullo stesso piano di chi spingendo continuamente viene fermato al confine. Vedere dei campioni della nostra cucina (i soliti, scusateci, ma è così: Cracco, Berton, Baronetto, Camanini…) messi sullo stesso piano di onesti cuochi non mi convincerà mai e non si tratta di snobismo. Per non parlare di eccellenti professionisti cui manca sempre la prima Stella o cercano di riprendersela, che sono avanti anni luce a parecchi posti “con la storia”.

Qualche facile previsione

Poi, ovviamente, ci sono anche i pronostici rispettati. La doppia stella di Andrea Aprea e Michelangelo Mammoliti rientra tra queste, partendo da presupposti diversi, ma esemplari in entrambi i casi. Oppure la conferma di Norbert Niederkofler, protagonista di un trasloco esemplare: raramente si è visto un posto e un team che in poche settimane di lavoro è stato capace di offrire esperienze di altissimo livello, in un luogo top, come Atelier Moessmer. Questa è una case history da prendere nota, unita alla capacità del guru altoatesino di aver creato un metodo che i suoi allievi (Alnerto Toé di Horto e Michele Lazzarini di Contrada Bricconi) hanno messo rapidamente a frutto, conquistando la Stella singola.

Regione per regione

Capitolo Sud. Non fa notizia nella misura in cui tanti hanno scritto. La Campania è da sempre una delle regioni più amate (giustamente, sia chiaro) dalla Michelin: evidente sia stata un’edizione memorabile con tre stelle singole in provincia di Salerno, due bistellati in quella di Napoli e il tristellato (a sorpresa) Quattro Passi di Nerano. Alla fine, la richiesta a gran voce di scendere sotto la vecchia linea tra l’Abruzzo e Roma per dare al Sud un tre Stelle ha funzionato. Bravissima la famiglia Mellino a cogliere l’attimo fuggente, bruciando vecchi leoni e giovani rampanti. Tra l’altro, quando tornerà Don Alfonso 1890 in una veste che, dicono, clamorosa, la Campania potrebbe avere un altro massimo riconoscimento.

A livello regionale, considerando che Toscana e Lombardia hanno fatto, come sempre il proprio dovere, ci pare che la maggiore soddisfazione debba risiedere nella piccola Umbria (non bagnata dal mare, quindi con un handicap in partenza) con le tre nuove stelle singole mentre a parte il previsto exploit di Mammoliti con La Rei Natura è stata una stagione triste per il Piemonte che ha perso quattro Stelle per strada. Bene anche la Sicilia, ma senza il colpo d’ala, e la Liguria, che sembra uscita dall’immobilismo di un tempo. Importante: a conferma che le accuse fatte alla Michelin di guardare molto ai giovani cuochi e poco alle cuoche sono insensate, ecco ben tre nuove stelle a locali guidate da signorine e signore. Morale: se ci sono poche donne in cucina, ce ne saranno pochissime brave e da premiare, è una questione di numeri.

Le Stelle Verdi

Invece, di Stelle Verdi, se ne troveranno sempre di più (siamo a 58 da quando è nata l’idea nel 2021) per quanto la classificazione ci appaia onnicomprensiva. Ma il Verde piace, fa sentire persino più buoni e non di rado diventa l’anticamera della Stella Rossa o la targa in più da mettere davanti all’entrata affiancando quella già guadagnata. Al contrario, continuano a mancare i “macaron” per la pizza con alti lamenti da parte degli addetti ai lavori: i maestri nonostante locali chic, comunicazione ad alto livello e un impegno clamoroso per apparire chef continuano a non essere considerati. Anche i più bravi, secondo noi, non prenderanno mai l’agognata Stella perché – non dimenticatelo mai – magari gli ispettori italici nel tempo libero vanno sempre in pizzeria, ma comandano i francesi. Fargli capire che Franco Pepe – tecnicamente e culturalmente – vale quanto (e forse più) un giovane cuoco è praticamente impossibile.

A proposito di cugini d’Oltralpe: per quanto ci sia gioia diffusa per essere sempre più vicini a loro (e in effetti, almeno sui piatti non hanno più niente da insegnarci, anzi spesso siamo noi a emigrare per dar loro energia), 395 locali stellati in Italia sono un’enormità che non ci convince. Teniamoceli, per carità, ma vent’anni fa entrare nel “salotto buono” era decisamente più complicato e il livello medio – soprattutto dei neo stellati – era superiore. Chiedere a chi viveva quell’epoca da cuoco o gourmet, se non ne siete convinti. Ma la Michelin, per quanto ami raccontarsi inamovibile, è una vecchia signora che sa adattarsi al mondo che cambia e si concede pure il piacere della (finta) tendenza. Quella che può apparire la sorpresona dell’anno, ossia la doppia stella al milanese Verso, locale minimal in tutto, nel menù e nell’arredo con un bancone in stile omakase davanti alla cucina, da un lato è un riconoscimento a due super professionisti quali i fratelli Capitaneo e dall’altro pare lanciare un messaggio che il ristorante del futuro possa uscire dai canoni della tradizione. Calma e gesso, possiamo elencare le Stelle fuori dalle rotte, rimaste tali: nella notte dei tempi il ristorante vegetariano (Joia, tuttora il solo in guida), la macelleria con cucina Damini e Affini (senza imitatori), il locale etnico Iyo (tale è rimasto). Ergo, è la sorpresa richiesta dal copione: quindi se volete che l’amata pizza colga il “macaron” non parlatene più per un paio di anni.

Perché abbiamo voglia di cibi grassi? La spiegazione scientifica

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Perché abbiamo voglia di cibi grassi e dolci? Tutto sta nel nostro cervello: sono in grado di aumentare il livello di dopamina, neurotrasmettitore da cui dipende la sensazione di piacere. Insomma, rendono felici, anche se è una felicità illusoria: la soddisfazione presto svanisce, perché questi alimenti provocano infiammazioni intestinali dovute al repentino aumento di glicemia, che fa venire fame. La scienza però non smette di approfondire la questione: i cibi grassi sono i principali responsabili dell’epidemia di obesità nei Paesi occidentali (Italia inclusa) e non è ancora chiaro perché, nonostante si sappia che fanno male alla salute, in molti non riescano a farne a meno. 

Perché abbiamo voglia di cibi grassi? Lo studio di Oxford

L’ultima novità è una ricerca di un team di scienziati di Oxford pubblicata sul Journal of Neuroscience che, combinando nuovi approcci di ingegneria alimentare con il neuroimaging funzionale, ha indagato su quanto conti la consistenza di questi cibi grassi con il nostro desiderio di volerli mangiare. Si è concentrata in particolare sui frullati, che sono i più semplici e veloci da deglutire, perciò potenzialmente più “pericolosi”.

Cosa succede nel nostro cervello se si mangiano grassi

Nella prima fase dell’esperimento il team di ricercatori ha scelto una serie di frullati differenti per contenuto di grassi e zuccheri, per individuarne il cosiddetto “coefficiente di attrito radente”: quanto cioè ciascun frullato tra quelli proposti fosse in grado di “scivolare” sulla lingua. Nella seconda fase, questi stessi frullati sono stati offerti a 22 volontari che, dopo l’assaggio, hanno quantificato la cifra che sarebbero stati disposti a pagare per berne un altro bicchiere pieno. Nel frattempo ciascuno dei volontari è stato sottoposto a una scansione cerebrale per misurare il livello di attività della corteccia orbitofrontale (coinvolta nell’elaborazione cognitiva del processo decisionale, e che in particolare determina le decisioni in base alla ricompensa), a seconda della consistenza dei liquidi grassi ingeriti.

Alla fine, mettendo a confronto l’offerta economica per il bis di frullato di ciascuno, e la rispettiva attività della corteccia orbitofrontale, gli studiosi hanno visto che i più disposti a “spendere” erano i soggetti che avevano provato più piacere nel bere quei frullati. La conclusione? Il nostro comportamento alimentare dipende da valutazioni economiche soggettive che il cervello fa di volta in volta: è come se decidessimo quanto possa convenirci o meno mangiare un determinato alimento in base al fascino che esercita, e questo fascino può dipendere anche dal livello di “attrito” del cibo, dalla sensazione di ricchezza di gusto che dà.

Un meccanismo assolutamente soggettivo: è letteralmente questione di gusti. Gli scienziati hanno infatti provato che i partecipanti allo studio più sensibili alla consistenza dei liquidi più grassi, sono quelli che abitualmente mangiano cibi più grassi. Questo grazie a una sorta di sotto-esperimento in cui i tester sono stati invitati a un pranzo a base di piatti curry con quantità di grassi differenti.

La scienza contro l’obesità

Siamo predestinati? Sicuramente l’inclinazione soggettiva conta molto: la capacità di “controllarsi” anche in fatto di cibo varia da individuo a individuo. Questi esperimenti sono fatti apposta: l’obbiettivo dei ricercatori, di Oxford e non solo, è infatti progettare dei cibi che abbiano lo stesso impatto di quelli grassi, a livello di consistenza e gusto, sul nostro cervello, ma a basso contenuto calorico. Un esempio? Il biscotto anti-fame che sta mettendo a punto l’Università Cattolica di Piacenza. È la nuova frontiera della scienza alimentare, che potrebbe essere un valido aiuto per milioni di persone obese nel mondo. 

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