Perché abbiamo voglia di cibi grassi? La spiegazione scientifica

La Cucina Italiana

Perché abbiamo voglia di cibi grassi e dolci? Tutto sta nel nostro cervello: sono in grado di aumentare il livello di dopamina, neurotrasmettitore da cui dipende la sensazione di piacere. Insomma, rendono felici, anche se è una felicità illusoria: la soddisfazione presto svanisce, perché questi alimenti provocano infiammazioni intestinali dovute al repentino aumento di glicemia, che fa venire fame. La scienza però non smette di approfondire la questione: i cibi grassi sono i principali responsabili dell’epidemia di obesità nei Paesi occidentali (Italia inclusa) e non è ancora chiaro perché, nonostante si sappia che fanno male alla salute, in molti non riescano a farne a meno. 

Perché abbiamo voglia di cibi grassi? Lo studio di Oxford

L’ultima novità è una ricerca di un team di scienziati di Oxford pubblicata sul Journal of Neuroscience che, combinando nuovi approcci di ingegneria alimentare con il neuroimaging funzionale, ha indagato su quanto conti la consistenza di questi cibi grassi con il nostro desiderio di volerli mangiare. Si è concentrata in particolare sui frullati, che sono i più semplici e veloci da deglutire, perciò potenzialmente più “pericolosi”.

Cosa succede nel nostro cervello se si mangiano grassi

Nella prima fase dell’esperimento il team di ricercatori ha scelto una serie di frullati differenti per contenuto di grassi e zuccheri, per individuarne il cosiddetto “coefficiente di attrito radente”: quanto cioè ciascun frullato tra quelli proposti fosse in grado di “scivolare” sulla lingua. Nella seconda fase, questi stessi frullati sono stati offerti a 22 volontari che, dopo l’assaggio, hanno quantificato la cifra che sarebbero stati disposti a pagare per berne un altro bicchiere pieno. Nel frattempo ciascuno dei volontari è stato sottoposto a una scansione cerebrale per misurare il livello di attività della corteccia orbitofrontale (coinvolta nell’elaborazione cognitiva del processo decisionale, e che in particolare determina le decisioni in base alla ricompensa), a seconda della consistenza dei liquidi grassi ingeriti.

Alla fine, mettendo a confronto l’offerta economica per il bis di frullato di ciascuno, e la rispettiva attività della corteccia orbitofrontale, gli studiosi hanno visto che i più disposti a “spendere” erano i soggetti che avevano provato più piacere nel bere quei frullati. La conclusione? Il nostro comportamento alimentare dipende da valutazioni economiche soggettive che il cervello fa di volta in volta: è come se decidessimo quanto possa convenirci o meno mangiare un determinato alimento in base al fascino che esercita, e questo fascino può dipendere anche dal livello di “attrito” del cibo, dalla sensazione di ricchezza di gusto che dà.

Un meccanismo assolutamente soggettivo: è letteralmente questione di gusti. Gli scienziati hanno infatti provato che i partecipanti allo studio più sensibili alla consistenza dei liquidi più grassi, sono quelli che abitualmente mangiano cibi più grassi. Questo grazie a una sorta di sotto-esperimento in cui i tester sono stati invitati a un pranzo a base di piatti curry con quantità di grassi differenti.

La scienza contro l’obesità

Siamo predestinati? Sicuramente l’inclinazione soggettiva conta molto: la capacità di “controllarsi” anche in fatto di cibo varia da individuo a individuo. Questi esperimenti sono fatti apposta: l’obbiettivo dei ricercatori, di Oxford e non solo, è infatti progettare dei cibi che abbiano lo stesso impatto di quelli grassi, a livello di consistenza e gusto, sul nostro cervello, ma a basso contenuto calorico. Un esempio? Il biscotto anti-fame che sta mettendo a punto l’Università Cattolica di Piacenza. È la nuova frontiera della scienza alimentare, che potrebbe essere un valido aiuto per milioni di persone obese nel mondo. 

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