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I paccheri di Da Vittorio: ricetta di una pasta leggendaria

La Cucina Italiana

Dici paccheri al pomodoro e intendi subito i leggendari paccheri di Da Vittorio, il ristorante tristellato a Brusaporto (nei pressi di Bergamo) degli altrettanto celebri fratelli Cerea, che hanno reso questa pasta un’icona gastronomica.

Una ricetta lanciata 5 decadi fa che fa impazzire ancora tutti (tra i fan anche Michelle Hunziker, Chiara Ferragni e Brunello Cucinelli che li usa in tutti gli eventi della maison in giro per il mondo, solo per citarne alcuni); una ricetta che, nella sua semplicità, è ancora «la più richiesta» confermano gli interessati. Copiata da tutti, è ormai una piccola leggenda della nostra ristorazione, a tutti gli effetti.

La storia

L’origine del piatto ha un che di fantastico: vuole infatti la leggenda che per i loro 25 anni di matrimonio Bruna e Vittorio Cerea, capostipiti della dinastia di ristoratori bergamaschi, decidessero di partire per Disneyland, Orlando, Florida, per festeggiare.

I coniugi si trovavano in uno dei ristoranti italiani all’interno del parco, il cuoco Alfredo serviva tagliatelle in bianco mantecate al tavolo. Cerea tornò a Bergamo e ripropose la stessa ricetta, ma con le mezze maniche (ora i paccheri) in rosso. Fu un successo clamoroso. 
Per il sugo sono utilizzati tre diversi tipi di pomodoro: San Marzano, datterini di Pachino e cuore di bue. «È una delle ricette interattive che ancora oggi è ultimata al tavolo, davanti ai commensali, creando quel dialogo con l’ospite che è diventato un segno distintivo del ristorante», come i famosi cannoncini alla crema pasticcera farciti davanti ai clienti, al momento del dessert, per lasciare croccante la pasta sfoglia.

Dove mangiarli: da Bergamo a Saigon

A oggi in tutti i ristoranti del Gruppo: da Brusaporto in provincia di Bergamo, appunto, a St. Moritz, ma anche a Shanghai e nel nuovissimo ristorante di Saigon, nonché al DaV Milano in Torre Allienz. Insomma: potete fare un giro del mondo intorno ai paccheri, volendo.

Un piatto, 5 segreti

E se sono così voluttuosi nella loro sconvolgente semplicità, i paccheri vogliono regole precise per essere riprodotti. Ecco, allora le 5 cose che si devono sapere per farli bene.

1) Il mix di pomodori 

Più che uno un mix di diversi pomodori che cambia in base alla disponibilità della stagione, «l’importante è creare il giusto blend fra acidità e dolcezza. In inverno vanno benissimo, oltre ai pelati, anche i pomodori ciliegini in latta e naturalmente i Piccadilly». D’estate è imprescindibile la dolcezza del cuore di bue.

2) Mantecatura da risotto

I paccheri vanno mantecati con abbondante burro e parmigiano, rigorosamente a fuoco spento per non far cagliare il formaggio.  

3) Il parmigiano “giovane”

Per ottenere la famosa cremina è fondamentale che il parmigiano sia giovane: massimo 22 mesi di stagionatura.  

4) Il tocco da chef? La chinoise

Ma se volete ottenere quell’effetto vellutato al palato che solo i paccheri di Vittorio vi sanno dare, non basta frullare la salsa: dovete passarla alla chinoise, il colino a maglie sottili tipico delle cucine professionali. Un passaggio in più, d’accordo, ma il risultato vi ripagherà ampiamente dello sforzo.

5) Il bavaglino per gustarli

Ebbene sì, mangiare i paccheri fa tornare tutti un po’ bambini: al momento del servizio, che siate da Vittorio o in qualsiasi altro ristorante dei fratelli Cerea, verrete “protetti” con un grande bavaglio di stoffa anti schizzo con la  scritta «Oggi sono goloso»: una sorta di professione di intenti, ma anche una tradizione gloriosa che potete ripetere pure a casa (il simpatico gadget è in vendita online insieme ai kit per rifare la ricetta a casa).

Danni subiti al ristorante: chi paga? L’avvocato risponde

La Cucina Italiana

I danni subiti al ristorante sono un bel problema. Vi è mai capitato, per esempio, che un cameriere vi abbia irrimediabilmente macchiato la giacca rovesciando una portata? Vi è mai successo di scivolare e cadere su un pavimento bagnato non segnalato? Non sono gli unici casi possibili: capita anche – e non di rado – di stare malissimo per un’intossicazione dopo un pranzo o una cena preparati con ingredienti andati a male; oppure semplicemente pericolosi per intolleranti e allergici. Come comportarsi? È possibile essere risarciti almeno a livello economico? E, soprattutto, cosa sono per la legge i «danni subiti al ristorante»? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Elia Ceriani.

Cosa vuol dire “danni subiti”?

«I danni subiti al ristorante possono essere di vario tipo», chiarisce subito l’avvocato Ceriani. «Il primo caso riguarda i danni legati al mancato rispetto del contratto di ristorazione, in base al quale il ristoratore deve garantire anzitutto la sicurezza alimentare dei suoi clienti. Gli esempi sono diversi: il più frequente sono proprio le intossicazioni provocate da ingredienti scaduti o, tra gli altri, da ingredienti pericolosi per i soggetti allergici che non sono stati segnalati. In questo caso non c’è dubbio: il ristoratore deve risarcire». Ma i casi sono potenzialmente infiniti: anche cadere da un gradino o da un pavimento bagnato facendosi male è un altro tra questi. «In questo caso si parla di responsabilità “extracontrattuale”: il ristoratore ne risponde solo se non ha rispettato l’obbligo di segnalarle. Per intenderci: se c’è un cartello a indicare il gradino o il pavimento bagnato, non deve ripagare eventuali danni subiti dal cliente», dice l’avvocato Ceriani.  

Se il danno è provocato dal cameriere, chi paga?

«Il ristoratore» dice Ceriani, «è sempre responsabile dei danni provocati dai propri dipendenti: ha il dovere di permettere ai suoi ospiti di poter mangiare in modo tranquillo e senza rischi. Un esempio da scuola è una recente sentenza della Cassazione che ha ribaltato il giudizio di primo grado del Tribunale condannando il ristoratore a un risarcimento per via di un’ustione provocata a una bambina da una pizza rovesciata dal cameriere dopo essere stato urtato a sua volta da un bambino. Secondo la Suprema Corte, infatti, il proprietario del ristorante avrebbe dovuto preventivare il rischio, considerato il caos che c’era in quel momento nel suo locale». Questo è un caso limite, dà un’idea di quanto numerosi possano essere gli esempi, ed è la riprova del fatto che è sempre il gestore del locale a pagare. Anche in caso di danni meno ingenti, ma potenzialmente più frequenti, come quello citato all’inizio della giacca macchiata dal personale durante il servizio. Però attenzione: «Se la responsabilità è del cameriere ovviamente il cliente ha diritto alla pulizia, ma non a un capo nuovo a meno che non dimostri, con uno scontrino, di averlo appena comprato», puntualizza l’avvocato. «Se il capo è irrimediabilmente rovinato si applicano le regole dell’usura: il risarcimento è sempre proporzionato al danno subito e, quindi, al tempo effettivo in cui il capo è stato utilizzato».

Quando si può chiedere il risarcimento?

Non è piacevole avviare un iter per il risarcimento danni: richiede tempo e denaro. Perciò è sempre meglio tentare di risolvere tutto in modo amichevole e rispettoso. «Si può chiedere il risarcimento ogni volta che c’è un incidente e il ristoratore si sottrae alla responsabilità» conferma l’avvocato Ceriani.

Quali sono i danni risarcibili?

Quali sono, di preciso, i danni risarcibili? «Tutti quelli che dipendono da fatti, questioni oggettive. Per esempio l’ustione della bimba citata prima, l’intossicazione, la giacca sporcata con la salsa. Non è risarcibile, per intenderci, un cliente che si lamenta per aver trascorso una brutta serata a causa di un servizio che ritiene scadente» spiega l’esperto.

Chi è obbligato a risarcire?

«Dato che ne è responsabile, è sempre il ristoratore a dover pagare per il danno. In teoria dovrebbe essere assicurato. Del resto» fa notare l’avvocato, «è sempre un’ottima cosa avere una polizza per tutelarsi da ogni problema».

Cosa succede se i danni, invece, li provocano i clienti?

Non è detto che sia sempre il cliente a subire. Anzi, a sua volta il cliente può essere responsabile di danni, piccoli o grandi. Esempi? Si può rompere una sedia, inciampare in una vetrina facendola cadere, rovesciare il piatto sull’abito del cameriere. Cosa succede? «L’inverso: è il cliente a dover pagare il ristoratore. Però vige sempre la regola dell’usura: se si rompe una vetrina, non si è tenuti a comprarne una nuova, ma a pagare per il danno provocato. La cifra è sempre proporzionale. Naturalmente è una scelta del ristoratore non chiedere il risarcimento danni al cliente, soprattutto per piccoli importi».

Store granny: nonna del Sud cercasi per lavoro al ristorante

La Cucina Italiana

Dolci, amorevoli e – non da ultimo – impareggiabili cuoche: chi, se non le nonne? Ora c’è chi ne cerca una particolarmente speciale: una «store granny», cioè una nonna che con la sua sola presenza porti calore e gioia. La cerca un ristorante di Milano, SlowSud, specializzato in cucina siciliana e pugliese, che ha pensato evidentemente mancasse un dettaglio decisivo per portare al nord l’accoglienza che ci fa tanto amare il sud. Una nonna, appunto, come quelle che tra le strade e i vicoli dei paesi e delle città del Meridione si mettono fuori dalla porta di casa con la loro sediolina e trascorrono giornate intere a chiacchierare tra loro e a passare il tempo guardando la strada e salutando i passanti.

Store granny: la novità

Può anche darsi sia una (bella) trovata di marketing dato che la «store granny» sarà la grande novità del secondo locale della catena (in via Luigi Sacco 3), ma l’annuncio è serio: sarà regolarmente assunta. SlowSud lo ha annunciato con un post su Facebook pubblicando peraltro proprio una foto dell’ingresso con un sediolina vuota: «Quella che vedete nell’angolo vuota, non è una sedia come le altre. È la sedia delle nonne del Sud, di quelle che tutto il giorno regalano un saluto ai passanti», ha scritto il locale nel post, spiegando nel dettaglio i requisiti della persona che cerca.

L’annuncio di lavoro

«Per ristorante di cucina meridionale in Milano, stiamo cercando una nonna abilissima a raccontare le nostre ricette “diversamente settentrionali”, in quanto solo una vera nonna meridionale è in grado di trasmettere lo spirito della cucina e l’atmosfera conviviale e genuina delle case del Sud Italia, quando ci si raccoglie tutti con le gambe sotto a un tavolo», recita l’annuncio. E poi elenca i requisiti nel dettaglio: la nonna meridionale deve avere esperienza ultradecennale tra i fornelli domestici, capacità di narrazione del menu e delle tradizioni culinarie del Sud, propensione ad accogliere e sfamare più di 200 nipoti al giorno. Il requisito preferenziale? Buona conoscenza del dialetto. 

Le mansione della store granny

Le mansioni non saranno troppe, complesse o pesanti. D’altronde non sarebbero adatte a una nonna. L’annuncio specifica infatti che la «store granny» non dovrà servire ai tavoli, né lavorare in cucina. Dovrà accogliere i clienti, magari accompagnarli ai tavoli, illustrare il menù in cui ci sono tutte le grandi specialità di Puglia e Sicilia, dalle panelle alla parmigiana passando per Norma e orecchiette alle cime di rapa. Ma soprattutto – unica mansione obbligatoria – la nonna dovrà sorridere. Essere felice, rendendo felici le persone che le sono attorno come solo una nonna può fare.

L’offerta di lavoro

In cambio la nonna potrà sottoscrivere un contratto con retribuzione in linea con quelle del Contratto Nazionale. Per candidarsi basta inviare via messaggio su Facebook oppure via email all’indirizzo storegranny@slowsud.it , entro il 18 giugno 2023, una breve presentazione (possibilmente in video) accompagnata dalla ricetta più amata dai nipoti (possibilmente in dialetto). 

Ricerche frequenti:

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