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L’insalata di fagioli alla romana, una ricetta autentica

L'insalata di fagioli alla romana, una ricetta autentica

Come preparare l’insalata di fagioli alla romana, un piatto unico estivo che si traveste da contorno

I fagioli alla romana sono una ricetta laziale semplice e ricca di gusto. Spesso proposti come contorno nelle trattorie, sono in realtà preparati in un’insalata perfetta per essere consumata come piatto unico o secondo. Come tutte le ricette rustiche, prevede l’uso di pochi e semplici ingredienti che devono essere scelti con cura per fare la differenza. Per preparare dei buonissimi fagioli alla romana è quindi bene scegliere dei fagioli freschi, una cipolla rossa profumata, un olio extravergine d’oliva saporito e piccantino e delle acciughe di qualità. Per dare una marcia in più al piatto, sono importanti anche gli odori: scegliere un timo appena colto e del pepe in grani da macinare al momento sono piccoli gesti importanti per trasformare una banale insalata di fagioli in un grande piatto.

Gli ingredienti dei fagioli alla romana

600 g fagioli borlotti e cannellini lessati, una cipolla rossa, 8 filetti di acciuga sott’olio, aglio, olio extravergine d’oliva, aceto di vino bianco, timo, pepe e sale

Come preparare l’insalata di fagioli

Affettare la cipolla rossa e metterla in ammollo con acqua e aceto per circa mezz’ora. Intanto sbucciare uno spicchio d’aglio, privarlo dell’anima e tritarlo finemente. Tritare anche le acciughe e metterle in una ciotolina con 4 cucchiai d’olio e uno di aceto, Unire l’aglio, mescolare bene e aggiungere il timo. Scolare bene le cipolle, unirle ai fagioli lessi in una ciotola e condire con l’olio con aglio, acciughe e timo. Mescolare bene e regolare di sale e pepe.

La variante vegetariana e vegana

Per trasformare la ricetta dei fagioli alla romana in un piatto vegano basterà eliminare le acciughe. La spinta sapida e di carattere delle acciughe può essere data da erbe intensamente aromatiche come la menta che è molto usata nella tradizione culinaria romana ed è perfetta per rinfrescare il palato sollecitato dall’aglio. Per creare un piatto unico vegano invece, è possibile aggiungere del tofu tagliato a cubetti.

 

Estate romana: il trend sono i collettivi gastronomici

Estate romana: il trend sono i collettivi gastronomici

L’unione fa la forza anche in fatto di food&drink, basta trovare lo spazio giusto, coinvolgere i migliori esponenti della gastronomia e aggiungere una proposta culturale

È nei momenti di crisi che l’uomo coraggioso aguzza l’ingegno. Gli stessi momenti in cui si riscopre quel vecchio adagio che insegna che «l’unione fa la forza». Così accade che in una città come Roma, in una primavera che segue i mesi di chiusura da pandemia, la soluzione passi dal cercare il posto giusto, all’aperto, e fare squadra fra professionisti del buon bere e del buon mangiare, stando tutti sotto lo stesso cielo. Non senza dimenticare la cultura, perché anche se è vero che il cibo è già cultura di per sé, la musica e il teatro sono spesso l’accompagnamento perfetto. Il risultato di questo mix è una serie di indirizzi che si preparano a diventare i place to be dell’estate romana. Per tornare a condividere emozioni: all’aperto e in sicurezza.

Collettivo Gastronomico Testaccio

La Città dell’Altra Economia, che un tempo aveva ospitato perfino un ristorante stellato, era da tempo alla ricerca del giusto contraltare gastronomico. Finalmente qualcuno si è occupato di questo aspetto, con l’intento di rivitalizzare l’intero spazio dell’ex mattatoio. I protagonisti di questa rivoluzione, che si sono autodefiniti Collettivo Gastronomico, sono Marco Morello (chef del banco Food Box del mercato di Testaccio, ma anche consulente di molti ristoranti romani) e i fratelli Camponeschi dell’osteria Menabò Vino e Cucina di Centocelle. Loro sono i protagonisti dell’Osteria Metropolitana, che strizza l’occhio alla tradizione, nel menù che cambia continuamente e che merita una menzione speciale per il menù bimbi. Ma l’estate è lunga, le idee sono molte e non mancheranno pop-up restaurant ed eventi di ogni tipo, come il vintage market e le scuole di cucina. E, per rimanere in tema di scuola, Morello ha coinvolto anche i ragazzi della scuola di formazione in cui insegna, la Made in Italy.

Parco Appio

Anche se il nome Collettivo Gastronomico è un copyright di quelli di Testaccio, va detto che pure il Parco Appio già da due anni almeno è un grande collettivo che ruota attorno al cibo e al buon bere. Siamo alla Fonte Egeria, dove i romani vanno a comprare l’acqua, ma in questo caso trovano la sorpresa di poter fare colazione, pranzo, aperitivo e cena con i prodotti d’eccezione. Andiamo con ordine: da una parte c’è il Natural Bar, dove la mattina si fa colazione con i lievitati provenienti dalle migliori pasticcerie a rotazione (primi 15 giorni troverete Casa Manfredi) e servizio bar/caffetteria. A pranzo la palla passa ad Antonella Giuffrè, che prepara bowl mediterranee, panini del contadino e ospita i piatti da trattoria dell’Elementare. L’aperitivo, le selezioni di salumi e formaggio e gli hamburger sono invece in collaborazione con i Natural Born Drinkers. Fa eccezione il fine settimana, quando nello stesso spazio arrivano i deliziosi cibi giapponesi di Umami. Altro capitolo è dedicato alla pizza, romana, bassa e scrocchiarella, affidata alle sapienti mani di Mirko Rizzo de L’Elementare, che propone anche i suoi celebri fritti e che da quest’anno si occupa anche della linea della trattoria romana. A questo si aggiunge la possibilità di lavorare in uno spazio di co-working attrezzato e i numerosi eventi culturali previsti in cartellone, fra concerti, spettacoli, presentazioni di libri e dischi, dj-set e talk.

Il Capanno di Ostia

Tutto inizia da quello che era un semplice lido del litorale di Ostia, ma pian piano una serie di tasselli si sono aggiunti, rendendo il Capanno non solo uno stabilimento balneare, ma anche una vera e propria destinazione gourmet. Due i nomi di punta della proposta del Capanno: Simone Curti e Pier Daniele Seu. Il primo è lo chef di Molo Diciassette, famoso locale di pesce di Ostia che, non avendo tavoli all’aperto, ha stretto questo fortunato accordo con il patron del lido il Capanno, Cristiano Giacometti. Non appena il clima lo consentirà, la raffinata cucina di pesce di Curti salirà sulla terrazza, per godere a pieno dei tramonti sul mare. Al piano di sotto, trova spazio invece Tac – Thin & Crunchy, la nuova versione di pizza di Pier Daniele Seu di Seu Pizza Illuminati, pensata appositamente per il Capanno di Ostia. Bassa e sottile, strizza l’occhio alla romanità, sorprendendo al palato per la capacità di essere comunque soffice. Last but not least, c’è la sezione bar, che funziona con le colazioni fin dalla mattina presto e continua con i drink fino a tarda sera, coordinata da Valerio Mazziotti ed Helena Fabiani. Al bancone, Dario Araneo e Andrea Cardinale stupiscono con l’ottima proposta di pairing, che ben si adatta sia alla pizza che ai piatti dello chef Curti. E con l’avvicinarsi dell’estate si intensificherà anche la proposta culturale, con una radio propria, eventi musicali e scenografie e luminarie che rimandano alle feste di paese del Sud Italia.

Eur Social Park

Siamo in zona Eur Magliana, proprio davanti alla fermata della metro, in uno spazio all’aperto nato fra gli alberi dell’ex Bibliotechina, all’interno del Parco del Turismo. Su un’area verde di oltre 2000 metri quadrati, fra conifere e giardini, la festa dell’Eur Social Park inizia dopo il tramonto, fra musica live e dj-set, oppure spettacoli di stand-up comedy per risollevarsi il morale. Non possono mancare birra artigianale e cocktail per riscaldare l’atmosfera, nonché il cibo dei food truck (a rotazione) per rinfrancare i corpi e completare l’offerta.

Pinsa romana a Milano: Ai Balestrari dal 1862

Pinsa romana a Milano: Ai Balestrari dal 1862

Dal 1862 la trattoria romana per eccellenza, oggi anche a Milano con pinsa e cucina romana

Iniziamo subito col chiarire una cosa. La pinsa richiama e ricorda la pizza tanto nel nome quanto nella preparazione. Ma si tratta di due cose diverse, che non costituiscono affatto un’alternativa tra cui dover scegliere, anzi; possiamo tranquillamente mangiarne una un giorno e l’altra il giorno dopo, come suggerisce Andrea Liso, il mastro pinsaiolo dei Balestrari, la storica trattoria romana grazie al quale oggi possiamo degustare questa prelibatezza (e non solo) anche a Milano.

Che cos’è la pinsa romana

La pinsa deriva dal latino pinsere, che significa stendere, allungare. Per questo si ipotizza che sia una delle focacce più antiche, quella che i contadini in Lazio si portavano al pascolo, “la madre di tutte le pizze”. In passato veniva preparata con un insieme di farine, mentre oggi invece si utilizza un mix di 1 e 2 e un 30% circa di farina di soia e di riso, anche se sono in corso vari esperimenti perché come dice Andrea, «la pinsa è un mondo ancora tutto da scoprire e devo ringraziare il maestro Marcello Costanzo che mi ha fatto appassionare di questo prodotto, che prevede davvero una lunga lavorazione».

L’impasto avviene con la tecnica della biga, cioè non in modo diretto ma indiretto, con un preimpasto di acqua, farina e lievito e un’idratazione alta, circa dell’80%. In seguito si passa l’impasto nella semola e a tal proposito ci sono due scuole di pensiero: c’è chi preferisce la farina di riso; e chi invece, come Andre, la semola «perché quella che non serve va via e quella resta non diventa amara in cottura, ma anzi, crea un effetto sfizioso molto piacevole al palato».
Successivamente si fa lievitare e maturare per 72 ore a temperatura controllata di 3 gradi, per poi passare alla stesura, un momento fondamentale che richiede arte, metodo e soprattutto delicatezza, poiché l’impasto va maneggiato poco e nel modo giusto, allungandolo secondo la tipica forma ovale o rettangolare della pinsa e facendo pressione con le tre dita centrali.

Foto di Carlo Manzo

A questo punto si può procedere con la precottura (quindi senza nessun altro ingrediente sopra come nel caso della pizza), che avviene per meno di un minuto, circa 55 secondi, a 300 gradi, fase indispensabile che caratterizza fortemente la struttura della pinsa, dandole quell’alveolatura unica. «L’alveolatura è la cosa che più mi emoziona, perché è il risultato visibile di tutto il lavoro che c’è dietro, perché è una cosa naturale che viene esattamente come l’hai immaginata», racconta Andrea. Da questo momento in poi, la pinsa può durare da 24 ore a una settimana in frigo, pronta per essere poi cotta al momento del consumo. «Questa è un’altra grande differenza con la pizza», continua Andrea, «cioè che nelle pizzerie hai molto più lavoro sul momento, mentre con la pinsa romana la maggior parte del lavoro avviene prima». Infatti, come avrete notato, si tratta di un processo estremamente lungo; ma è questo che alla fine determina le sue caratteristiche principali, ovvero croccantezza, fragranza, leggerezza e, soprattutto, digeribilità.

Foto di Carlo Manzo

Ai Balestrari dal 1862

Molto probabilmente è proprio per questo che la pinsa romana ha fatto un gran successo, tra tutti target ed età, in particolare negli ultimi dieci anni, da quando è stata rilanciata da un produttore che a Roma ha fondato la Pinsa School. Da questo momento in poi si è diffusa prima nella capitale, poi anche a Milano, dove ormai ci sono tantissime pinserie. «Ma il problema», ci spiega Andrea, «è che moltissimi la prendono già pronta e congelata, eludendo così tutto quel lungo processo di artigianalità prima». Ai Balestrari, invece, no: sono stati loro, infatti, a portare la pinsa romana in città, quella buona, artigianale, fatta bene, a regole d’arte.

Ma si sa, sono abituati a essere i primi: aperti dal 1862 a Campo De’ Fiori (ora anche in altre due sedi a Prati e Porta Pia) in via dei Balestrari dal nome dei fabbricanti e venditori di balestre, sono approdati a Milano con l’attuale proprietario Fabrizio Verdolin, che ha lavorato per anni nel marketing finché non si è innamorato perdutamente della cacio e pepe e ha deciso di lasciare tutto e tornare nella sua città d’origine. Per anni ha viaggiato (e mangiato) in giro per il mondo, trascorrendo un lungo periodo a Roma, dove ha respirato pienamente l’atmosfera delle sue osterie. «Devi viverla questa città, per questo mando ogni pinsaiolo o cuoco per qualche settimana in una trattoria romana prima che inizi a lavorare da noi, in modo che possa assorbire e capire che cosa significhi veramente». Per questo a chi lo accusa di fare locali turistici o commerciali, Fabrizio risponde: «noi qui portiamo avanti la tradizione romana, quella vera», tant’è che a Roma sono da sempre la trattoria numero uno da visitare, presente nelle guide al primo posto come “Una questione di fede”. Ma anche a Milano il successo è stato immediato: oltre ai Balestrari sui Navigli, hanno aperto A Qua se Magna a Cusago e Piazza Roma nello storico ristorante Pace di Via Washington. A tal proposito, lo sapevate che Milano è l’unica città d’Italia a non avere vie o piazze dedicata alla capitale? Così oggi tutti quelli che la cercano, si ritrovano nel suo locale; insomma, una mossa geniale.

Foto di Carlo Manzo

In ogni caso, da una sede all’altra, che sia a Roma o a Milano, non cambia assolutamente nulla: ci sono sempre locandine di cinema, attori e registi appese alle pareti arancioni (colore non della squadra di calcio ma della città), con grandi film che scorrono di sottofondo, proprio come aveva voluto il grande attore Aldo Fabrizi, che era un habituè ai Balestrari; per questo in ogni sala è presente una sua foto al centro, che guarda i commensali mentre mangiano. La cucina è quella classica romana, con i piatti della tradizione preparati dallo chef Davide Melloni: in primis la loro carbonara, vincitrice “solo” della Miglior Carbonara Social; ma anche tutto il resto non è da meno, da gricia, amatriciana e cacio e pepe, a carciofi alla giudia e coratelle, prese al mercato. Questo perché non c’è alcun risparmio sulle materie prime: solo il meglio, scelto con cura e attenzione da Fabrizio, dal guanciale al pecorino, fino alla pasta. Di fianco alla proposta della cucina, prima c’era solo la pizza romana, fino all’incontro con Andrea Liso, che ha voluto fortemente portare la pinsa ai Balestrari. «Ha solo un difetto, è interista», scherza Fabrizio, «Ma è troppo bravo e il suo contributo è stato un gran successo». Qui la trovate in tutti gusti: da classiche margherite e marinate, a vegane e vegetariane fino a quella con la porchetta di Ariccia o alla preferita di Andrea, con stracciatella di Noci (lui è pugliese, di Bitonto), prosciutto crudo e pomodoro pachino, perfetta; in più sono in corso esperimenti su integrali e senza glutine. Insomma, fate attenzione, perché la pinsa è tornata.

Foto di Carlo Manzo

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